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Esercizi >
Discernimento

Il discernimento spirituale personale

Uno strumento per l’accompagnamento spirituale

 

 

 

 

pdficona

 

 

 

 

Pubblicato in
Unità e Carismi”
3 (2018) 17-23

 

 

 

 

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Un mezzo abituale e necessario

 

Le “mozioni interiori”

 

L’affettività

 

Accompagnare un processo
di discernimento

 

 

 

 

Nella vita consacrata e più in generale nella vita della Chiesa saper accompagnare una persona nel discernimento spirituale sta diventando sempre di più una competenza indispensabile per coloro che sono chiamati a svolgere un servizio di leadership. Un breve approfondimento sulle mozioni interiori e sull’affettività. Qualche indicazione su come accompagnare un discernimento spirituale.

 

Con la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate la dimensione personale della vita cristiana viene recepita tra i documenti del Magistero. Da quindici anni svolgo il servizio di accompagnatore spirituale e animatore di esercizi spirituali: è mio pane quotidiano aiutare le persone di ogni vocazione e carisma a “sentire” in verità se stessi come condizione essenziale di un ascolto più vero e profondo della Parola di Dio e di un esercizio più consapevole ed evangelico della propria libertà.

 

Questa dimensione personale della vita cristiana è una sfida del Concilio Vaticano II ancora da integrare nel tessuto ordinario della Chiesa a tutti i livelli, soprattutto nella iniziazione cristiana e nei programmi formativi dei sacerdoti e dei consacrati e consacrate: “Perché una formazione sia efficace è necessario che sia basata su una pedagogia strettamente personale, e non si limiti ad una proposta uguale per tutti di valori, di spiritualità, di tempi, di stili e di modi. Siamo di fronte alla sfida di una personalizzazione della formazione in cui si recuperi realmente il modello iniziatico. L’iniziazione esige il contatto del maestro con il discepolo, un camminare fianco a fianco, nella fiducia e nella speranza” (16).

 

Una pedagogia personale richiede che il formatore, l’accompagnatore spirituale, il confessore e chi riveste un ruolo di leadership siano preparati nel discernimento spirituale[1].

 

Un mezzo abituale e necessario

 

Discernere per scegliere è un’attività quotidiana e abituale di tutti. Ciascuna persona in ogni momento si trova di fronte a una scelta da fare che orienterà verso il bene oppure no la propria esistenza: “Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento” (GE 167).

 

Il discernimento spirituale personale è un mezzo necessario che tutti i cristiani sono chiamati a utilizzare per trovare la propria via di santità: “‘Ognuno per la sua via’, dice il Concilio. […] Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza” (GE 11).

 

La partecipazione personale alla comunione trinitaria avviene per la mediazione di Gesù Risorto nella storia e attraverso molteplici vie sociali ed ecclesiali. Occorre accompagnare la crescita di Gesù nella persona secondo la sua concreta umanità (età, condizione, cultura ecc.): “Il disegno del Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché ‘la santità non è altro che la carità pienamente vissuta’. Pertanto, ‘la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua’. Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo” (GE 21).

 

Discernere significa “ascoltare la voce” dello Spirito che parla in me, nell’altro, nell’umanità e nella Chiesa, rivelandomi la volontà del Padre e il mio desiderio più profondo e autentico. In ogni circostanza c’è una “Parola” che invita/esige/causa un discernimento per una scelta del bene da fare: “Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione. Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi. Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita (GE 23-24).

 

Discernere, in ultima analisi, vuol dire partecipare del discernimento che Gesù compie nella sua interiorità (Spirito santo), che è anche la nostra, per cercare, trovare, scegliere e fare la volontà del Padre: “E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 22-23). Il Vangelo ci rivela che Gesù stesso ha imparato, e poi insegnato, a riconoscere in sé (mozioni interiori) e negli altri (mediazioni esteriori) la volontà del Padre e gli inganni del nemico. Come pure ha insegnato agli apostoli ad accompagnare nel discernimento le persone e la Chiesa.

 

Il discernimento spirituale è possibile se i due (chi discerne e chi accompagna) si relazionano tra loro “come il Padre e il Figlio”. Vivendo il comandamento nuovo (cf. Gv 13, 34-35) i due si dispongono a sentire più fortemente la presenza del Risorto (cf. Mt 18, 20) che rende i due partecipi del suo Spirito, ovvero, della sua intima relazione con il Padre: è in questo “ambiente umano-divino” (mariano-ecclesiale) che essi possono ascoltare più intensamente e chiaramente la voce del Padre.

 

Le “mozioni interiori”

 

Che cosa bisogna discernere? “È opportuno chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio. Questo implica non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo” (EG 51)[2].

 

Ecco il discernimento: riconoscere, interpretare e scegliere le mozioni interiori. Cosa sono? Per “mozione interiore” si intende un movimento dell’affettività, percepito come un impulso, un’inclinazione ad agire che può venire dalla mia libertà e volontà, oppure da due forze (spiriti) opposti: uno buono o uno cattivo.

 

Bisogna infatti essere consapevoli che nelle nostre decisioni possiamo essere ingannati o possiamo ingannarci da noi stessi. Ogni volta che recitiamo il Padre nostro diciamo: “E non ci abbandonare nella tentazione, ma liberaci dal male [maligno, ndr]” (Mt 6, 13). E nella preghiera per l’unità Gesù dice: “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno” (Gv 17, 15).

 

La maggior parte delle nostre scelte di ogni giorno avviene non in base a ragionamenti e conclusioni, ma sotto la spinta reale, anche se non consapevole, di sensazioni, sentimenti, desideri, paure ecc. Come pure sotto l’influsso di tanti condizionamenti esterni che minacciano la nostra libertà: “Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i ‘segni dei tempi’ – per riconoscere le vie della libertà piena: ‘Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono’ (1 Ts 5, 21)” (GE 168).

 

Non si tratta di vedere se quello che facciamo è bene o male, ma di prendere atto di quanto avviene dentro di noi anche a nostra insaputa, in modo da progredire sempre più verso una maggiore trasparenza. Non c'è vero progresso spirituale se non si prende consapevolezza del mondo che portiamo dentro.

 

Il cammino di fede proposto nella Bibbia, in particolare il cammino dei discepoli al seguito di Gesù, è caratterizzato dall'emergere progressivo di queste reazioni umane. Proprio perché queste realtà nascoste vengono alla luce, Gesù ha la possibilità di educare i suoi discepoli, purificando i pensieri e i sentimenti del loro cuore. Se invece questi movimenti rimanessero nell'ombra, continuerebbero ad esercitare la loro azione, lasciando nell'illusione di essere penetrati nelle vie di Dio.

 

Bisogna notare che nella letteratura magisteriale le “mozioni interiori” sono quasi del tutto inesistenti oppure vengono citate senza nessun approfondimento, rispetto alla lunga e articolata presentazione delle “mediazioni esteriori”[3].

 

L’affettività

 

Le mozioni interiori sono un movimento dell’affettività. Ma cos’è l’affettività? “È la presa di coscienza della reazione globale dell’essere vivente a contatto con il suo ambiente vitale, in modo tutto particolare a contatto con il suo ambiente interpersonale[4]. Possiamo individuare tre livelli o dimensioni dell’affettività.

 

Affettività sensibile: quando lo stimolo che provoca la nostra reazione è di ordine sensibile ed è percepito attraverso i sensi (il timore, la paura di fronte ad una minaccia alla nostra integrità fisica, alla malattia o alla violenza di un aggressore ecc.).

 

Affettività culturale: quella destata in noi dalla percezione di un valore o disvalore appreso attraverso l’intelligenza (l’entusiasmo per la giustizia o lo sdegno per l’ingiustizia ecc.).

 

Questi due livelli sono distinti, non riducibili uno all’altro, ma non separati, perché unico è il soggetto che li sente ed esprime. Uno risuona nell’altro, ciò che si percepisce nell’affettività culturale “ridonda” in quella sensibile e viceversa: la confusione per aver commesso un errore mette in movimento la sensibilità magari fino al pianto; una febbre mette in difficoltà l’esercizio dell’affettività culturale come potrebbe essere il godimento estetico ecc.

 

Affettività spirituale: lo Spirito Santo opera una ricreazione, in quanto infonde la fede nella nostra intelligenza e la rende capace di cogliere valori specificamente cristiani. In risposta al loro stimolo reagiamo con le altre due “energie” infuse, cioè con la speranza e la carità. Nasce dunque in noi, mediante il dono dello Spirito, un’affettività nuova, spirituale, quella specifica dei figli di Dio. Non sta però sospesa in aria, ma si inserisce nel soggetto umano, nelle nostre facoltà e nella nostra affettività naturale. E, a motivo dell’unità del soggetto, si verifica anche qui una sorta di intercomunicazione o di “ridondanza”, analoga a quella sopra descritta.

 

Accompagnare un processo di discernimento

 

Come accompagnare un processo di discernimento? Ricette che valgano sempre e comunque e che soprattutto diano una certezza matematica non ce ne sono. Si tratta innanzitutto di mettersi alla scuola dello Spirito perché ci renda sempre più partecipi della capacità di Cristo di sentire la volontà del Padre e di compierla. Ignazio di Loyola spesso concludeva le sue lettere con questa preghiera: “Termino pregando la santissima Trinità che per la sua infinita e somma bontà ci dia grazia piena perché sentiamo la sua santissima volontà e la compiamo interamente[5].

 

In ampi settori ecclesiali prevale ancora la visione della vita cristiana come obbedienza a una mediazione esteriore (personale o collettiva) ritenuta la sola capace o autorizzata a discernere la volontà di Dio. La mediazione esteriore invece è in qualche modo al servizio del discernimento che avviene nel cuore delle persone e nella rete di relazioni del popolo: “Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37).

 

Senza voler esaurire l’argomento, proponiamo alcune considerazioni che speriamo siano utili.

 

Lasciarsi educare dallo Spirito Santo a rileggere il vissuto nella luce del Risorto, ovvero, a partire dal futuro: ne sono esempi fondanti il colloquio di Gesù con i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24, 13ss) e il dialogo di Pietro con la comunità dopo l’esperienza con Cornelio (cf. At 10-11).

 

Esercitarsi nella contemplazione per sviluppare un rapporto personale con Cristo: “In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti” (GE 20).

 

Dilatare la propria anima per accogliere l’altro con tutto il cuore, facendosi “uno” con lui (cf. 1 Cor 9, 19-23), senza pregiudizi o risposte preconfezionate, evitando atteggiamenti moralistici o indagini psicologizzanti. Fare il vuoto dentro di sé perché l’altro si senta amato, ascoltato, rispettato, capito, stimato qualunque cosa abbia fatto o pensi di aver fatto. Mai far diventare la vita unica di una persona un “caso” spirituale, morale o psicologico.

 

Coraggio di scendere con la persona dentro il buio, l’oscurità, la tragedia, il trauma, il dolore che si porta dentro e lasciare che possa versarlo in me. Se io sono vuoto di me di fronte a lei, chi raccoglie quel sangue è Gesù in me. E la persona lo sente. Sente Gesù in sé che l’accoglie dentro quel buio e la rimette in piedi, donandole nuova luce, forza, coraggio. Solo dopo questo passaggio, questa pasqua vissuta insieme, la persona potrà anche sentire più chiaramente e liberamente il desiderio o la necessità di un ulteriore aiuto terapeutico. Ma questo non diventerà una via di fuga dell’accompagnatore che ha paura di quel buio, forse perché non è mai entrato dentro il suo buio. O il tentativo inutile di spingere le persone a migliorare al massimo la propria affettività naturale pensando così di poter arrivare a conquistare l’amore di Dio.

 

Umiltà: può succedere di non avere la risposta, di non sapere cosa dire, di rimanere senza parole. È il momento spesso più bello, perché se c’è veramente un cuore che ama e ascolta, lo Spirito santo trova la via libera per illuminare le menti, consigliare i cuori, suggerire le parole, muovere le volontà.

 

Verità, trasparenza, onestà, obiettività nel proporre l’oggetto del discernimento, senza altri interessi neppure religiosi, spirituali o pastorali e senza nascondere informazioni anche di natura economica e finanziaria.

 

Aiutare a impostare il discernimento tenendo presente le indicazioni del Magistero attuale. L’accompagnatore spirituale ha la responsabilità di assumere e ricordare alla persona le linee di rinnovamento e cambiamento che la Chiesa oggi, per esempio, chiede alla vita consacrata.

 

Stare in equilibrio come l’ago della bilancia senza spingere la persona da una parte piuttosto che dall’altra: “È più conveniente e molto meglio, nel cercare la divina volontà, che lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola nel suo amore e lode e disponendola per la via nella quale potrà meglio servirlo in futuro. Di modo che chi li dà [gli esercizi] non propenda né si inclini verso l’una o l’altra parte; ma, stando nel mezzo, come una bilancia, lasci immediatamente operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore[6].

 

Aiutare la persona a fare un discernimento “possibile” che tenga conto delle proprie condizioni di età, salute, storia, responsabilità ecc.

 

Avere fiducia nella persona che si accompagna; rispettare la sua dignità e libertà; guardarla con il cuore; lasciare che sbagli per imparare dai propri errori; darle coraggio quando è necessario andare al di là delle convenzioni, tradizioni e abitudini ormai superate; sostenerla con pazienza nella fatica di sostenere un processo di cambiamento.

 

 

 

Inizio

 

 

 

 

 

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[1] Cf. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, AdP, Roma 2007, n. 32. Bibliografia consigliata: M. Ruiz Jurado, Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pratica, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997; Jean-Claude Dhotel, Per discernere insieme, Edizioni AdP, Roma 2002; S. Rendina, La pedagogia degli esercizi spirituali, AdP, Roma 2002; M.I. Rupnik, Il discernimento, Lipa, Roma 2004; S. Fausti, Occasione o tentazione. Discernere e decidere, Ancora, Milano 2005; P. Schiavone, Il discernimento. Teoria e Prassi, Paoline, Milano 2009; G. Costa, Il discernimento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.

[2] Papa Francesco fa riferimento alle Regole per il discernimento degli spiriti di sant’Ignazio di Loyola, in Gli scritti, op. cit., nn. 313-336. È da notare che proprio questi tre verbi hanno rappresentato lo schema dell’instrumentum laboris del Sinodo dei vescovi sui giovani: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

[3] Valga come esempio: CIVCSVA, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, nn. 9-15.

[4] C. Bernard, Pour mieux donner les exercíces spirituels, CIS, Roma 1980, p. 102.

[5] Ignazio di Loyola, Lettera a Teresa Rejadell, 18 giugno 1536, in MI Epp I 99-107.

[6] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 15, in Gli scritti, op. cit.