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Il discernimento spirituale personale Uno strumento per l’accompagnamento spirituale |
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Un mezzo abituale e
necessario Accompagnare un
processo |
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Nella
vita consacrata e più in generale nella vita della Chiesa saper accompagnare
una persona nel discernimento spirituale sta diventando sempre di più una
competenza indispensabile per coloro che sono chiamati a svolgere un servizio
di leadership. Un breve approfondimento sulle mozioni interiori e
sull’affettività. Qualche indicazione su come accompagnare un discernimento
spirituale. Con
la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate la
dimensione personale della vita cristiana viene recepita tra i documenti del
Magistero. Da quindici anni svolgo il servizio di accompagnatore spirituale e
animatore di esercizi spirituali: è mio pane quotidiano aiutare le persone di
ogni vocazione e carisma a “sentire” in verità se stessi come condizione
essenziale di un ascolto più vero e profondo della Parola di Dio e di un
esercizio più consapevole ed evangelico della propria libertà. Questa
dimensione personale della vita cristiana è una sfida del Concilio Vaticano
II ancora da integrare nel tessuto ordinario della Chiesa a tutti i livelli,
soprattutto nella iniziazione cristiana e nei programmi formativi dei
sacerdoti e dei consacrati e consacrate: “Perché una formazione sia
efficace è necessario che sia basata su una pedagogia strettamente personale,
e non si limiti ad una proposta uguale per tutti di valori, di spiritualità,
di tempi, di stili e di modi. Siamo di fronte alla sfida di una personalizzazione
della formazione in cui si recuperi realmente il modello iniziatico.
L’iniziazione esige il contatto del maestro con il discepolo, un camminare
fianco a fianco, nella fiducia e nella speranza” (16). Una
pedagogia personale richiede che il formatore, l’accompagnatore spirituale,
il confessore e chi riveste un ruolo di leadership siano preparati nel
discernimento spirituale[1]. Un mezzo abituale e necessarioDiscernere
per scegliere è un’attività quotidiana e abituale di tutti. Ciascuna persona
in ogni momento si trova di fronte a una scelta da fare che orienterà verso
il bene oppure no la propria esistenza: “Al giorno d’oggi l’attitudine al
discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale
offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta
come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono
esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi
simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali.
Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in
burattini alla mercé delle tendenze del momento” (GE 167). Il
discernimento spirituale personale è un mezzo necessario che tutti i
cristiani sono chiamati a utilizzare per trovare la propria via di santità: “‘Ognuno
per la sua via’, dice il Concilio. […] Quello che conta è che ciascun
credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto
di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si
esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti
siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di
testimonianza” (GE 11). La
partecipazione personale alla comunione trinitaria avviene per la mediazione
di Gesù Risorto nella storia e attraverso molteplici vie sociali ed
ecclesiali. Occorre accompagnare la crescita di Gesù nella persona secondo la
sua concreta umanità (età, condizione, cultura ecc.): “Il disegno del
Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché
‘la santità non è altro che la carità pienamente vissuta’. Pertanto, ‘la
misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da
quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita
sulla sua’. Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae
dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo” (GE 21). Discernere
significa “ascoltare la voce” dello Spirito che parla in me, nell’altro,
nell’umanità e nella Chiesa, rivelandomi la volontà del Padre e il mio
desiderio più profondo e autentico. In ogni circostanza c’è una “Parola” che
invita/esige/causa un discernimento per una scelta del bene da fare: “Anche
tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione.
Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli
ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni
momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il
posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel
mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi. Voglia
il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di
Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita (GE 23-24). Discernere,
in ultima analisi, vuol dire partecipare del discernimento che Gesù compie
nella sua interiorità (Spirito santo), che è anche la nostra, per cercare,
trovare, scegliere e fare la volontà del Padre: “E la gloria che tu hai
dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una
sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo
conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me” (Gv
17, 22-23). Il Vangelo ci rivela che Gesù stesso ha imparato, e poi
insegnato, a riconoscere in sé (mozioni interiori) e negli altri (mediazioni
esteriori) la volontà del Padre e gli inganni del nemico. Come pure ha
insegnato agli apostoli ad accompagnare nel discernimento le persone e la
Chiesa. Il
discernimento spirituale è possibile se i due (chi discerne e chi accompagna)
si relazionano tra loro “come il Padre e il Figlio”. Vivendo il comandamento
nuovo (cf. Gv 13, 34-35) i due si dispongono a sentire più fortemente la
presenza del Risorto (cf. Mt 18, 20) che rende i due partecipi del suo
Spirito, ovvero, della sua intima relazione con il Padre: è in questo
“ambiente umano-divino” (mariano-ecclesiale) che essi possono ascoltare più
intensamente e chiaramente la voce del Padre. Le “mozioni interiori”Che
cosa bisogna discernere? “È opportuno chiarire ciò che può essere un
frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio. Questo implica non
solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello
spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello
spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo” (EG 51)[2]. Ecco
il discernimento: riconoscere, interpretare e scegliere le mozioni interiori.
Cosa sono? Per “mozione interiore” si intende un movimento dell’affettività,
percepito come un impulso, un’inclinazione ad agire che può venire dalla mia
libertà e volontà, oppure da due forze (spiriti) opposti: uno buono o uno
cattivo. Bisogna
infatti essere consapevoli che nelle nostre decisioni possiamo essere
ingannati o possiamo ingannarci da noi stessi. Ogni volta che recitiamo il
Padre nostro diciamo: “E non ci abbandonare nella tentazione, ma liberaci
dal male [maligno, ndr]” (Mt 6, 13). E nella
preghiera per l’unità Gesù dice: “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma
che tu li custodisca dal Maligno” (Gv 17, 15). La
maggior parte delle nostre scelte di ogni giorno avviene non in base a
ragionamenti e conclusioni, ma sotto la spinta reale, anche se non
consapevole, di sensazioni, sentimenti, desideri, paure ecc. Come pure sotto
l’influsso di tanti condizionamenti esterni che minacciano la nostra libertà:
“Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella
propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da
Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del
diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci
inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere
l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello
Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare
quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello
che accade fuori di noi – i ‘segni dei tempi’ – per
riconoscere
le vie della libertà piena: ‘Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono’ (1 Ts
5, 21)” (GE 168). Non
si tratta di vedere se quello che facciamo è bene o male, ma di prendere atto
di quanto avviene dentro di noi anche a nostra insaputa, in modo da
progredire sempre più verso una maggiore trasparenza. Non c'è vero progresso
spirituale se non si prende consapevolezza del mondo che portiamo dentro. Il
cammino di fede proposto nella Bibbia, in particolare il cammino dei
discepoli al seguito di Gesù, è caratterizzato dall'emergere progressivo di
queste reazioni umane. Proprio perché queste realtà nascoste vengono alla
luce, Gesù ha la possibilità di educare i suoi discepoli, purificando i
pensieri e i sentimenti del loro cuore. Se invece questi movimenti
rimanessero nell'ombra, continuerebbero ad esercitare la loro azione,
lasciando nell'illusione di essere penetrati nelle vie di Dio. Bisogna
notare che nella letteratura magisteriale le “mozioni interiori” sono quasi
del tutto inesistenti oppure vengono citate senza nessun approfondimento,
rispetto alla lunga e articolata presentazione delle “mediazioni esteriori”[3]. L’affettivitàLe mozioni
interiori sono un movimento dell’affettività. Ma cos’è l’affettività? “È
la presa di coscienza della reazione globale dell’essere vivente a contatto
con il suo ambiente vitale, in modo tutto particolare a contatto con il suo
ambiente interpersonale”[4]. Possiamo individuare tre livelli o dimensioni
dell’affettività. Affettività
sensibile: quando lo stimolo che provoca la nostra
reazione è di ordine sensibile ed è percepito attraverso i sensi (il timore,
la paura di fronte ad una minaccia alla nostra integrità fisica, alla
malattia o alla violenza di un aggressore ecc.). Affettività
culturale: quella destata in noi dalla percezione
di un valore o disvalore appreso attraverso l’intelligenza (l’entusiasmo per
la giustizia o lo sdegno per l’ingiustizia ecc.). Questi due
livelli sono distinti, non riducibili
uno all’altro, ma non separati, perché unico è il soggetto che li
sente ed esprime. Uno risuona nell’altro, ciò che si percepisce
nell’affettività culturale “ridonda” in quella sensibile e viceversa: la
confusione per aver commesso un errore mette in movimento la sensibilità
magari fino al pianto; una febbre mette in difficoltà l’esercizio
dell’affettività culturale come potrebbe essere il godimento estetico ecc. Affettività spirituale: lo
Spirito Santo opera una ricreazione,
in quanto infonde la fede nella nostra intelligenza e la rende capace di
cogliere valori specificamente cristiani. In risposta al loro stimolo
reagiamo con le altre due “energie” infuse, cioè con la speranza e la carità.
Nasce dunque in noi, mediante il dono
dello Spirito, un’affettività nuova, spirituale, quella specifica dei
figli di Dio. Non sta però sospesa in aria, ma si inserisce nel soggetto umano, nelle nostre facoltà e nella nostra
affettività naturale. E, a motivo dell’unità del soggetto, si verifica
anche qui una sorta di intercomunicazione
o di “ridondanza”, analoga a quella sopra descritta. Accompagnare un processo di discernimentoCome
accompagnare un processo di discernimento? Ricette che valgano sempre e
comunque e che soprattutto diano una certezza matematica non ce ne sono. Si
tratta innanzitutto di mettersi alla scuola dello Spirito perché ci renda
sempre più partecipi della capacità di Cristo di sentire la volontà del Padre
e di compierla. Ignazio di Loyola spesso concludeva le sue lettere con questa
preghiera: “Termino pregando la santissima Trinità che per la sua infinita
e somma bontà ci dia grazia piena perché sentiamo la sua santissima volontà e
la compiamo interamente”[5]. In
ampi settori ecclesiali prevale ancora la visione della vita cristiana come
obbedienza a una mediazione esteriore (personale o collettiva) ritenuta la
sola capace o autorizzata a discernere la volontà di Dio. La mediazione
esteriore invece è in qualche modo al servizio del discernimento che avviene
nel cuore delle persone e nella rete di relazioni del popolo: “Stentiamo
anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono
quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare
avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono
tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di
sostituirle” (AL 37). Senza
voler esaurire l’argomento, proponiamo alcune considerazioni che speriamo
siano utili. Lasciarsi
educare dallo Spirito Santo a rileggere il vissuto nella luce del Risorto,
ovvero, a partire dal futuro: ne sono esempi fondanti il colloquio di Gesù
con i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24, 13ss) e il dialogo di Pietro con
la comunità dopo l’esperienza con Cornelio (cf. At 10-11). Esercitarsi
nella contemplazione per sviluppare un rapporto personale con Cristo: “In
fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita.
Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e
personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche
implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita
terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli
ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La
contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci
orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti”
(GE 20). Dilatare
la propria anima per accogliere l’altro con tutto il cuore, facendosi “uno”
con lui (cf. 1 Cor 9, 19-23), senza pregiudizi o risposte
preconfezionate, evitando atteggiamenti moralistici o indagini
psicologizzanti. Fare il vuoto dentro di sé perché l’altro si senta amato,
ascoltato, rispettato, capito, stimato qualunque cosa abbia fatto o pensi di
aver fatto. Mai far diventare la vita unica di una persona un “caso”
spirituale, morale o psicologico. Coraggio
di scendere con la persona dentro il buio, l’oscurità, la tragedia, il
trauma, il dolore che si porta dentro e lasciare che possa versarlo in me. Se
io sono vuoto di me di fronte a lei, chi raccoglie quel sangue è Gesù in me.
E la persona lo sente. Sente Gesù in sé che l’accoglie dentro quel buio e la
rimette in piedi, donandole nuova luce, forza, coraggio. Solo dopo questo
passaggio, questa pasqua vissuta insieme, la persona potrà anche sentire più
chiaramente e liberamente il desiderio o la necessità di un ulteriore aiuto
terapeutico. Ma questo non diventerà una via di fuga dell’accompagnatore che
ha paura di quel buio, forse perché non è mai entrato dentro il suo buio. O
il tentativo inutile di spingere le persone a migliorare al massimo la
propria affettività naturale pensando così di poter arrivare a conquistare
l’amore di Dio. Umiltà:
può succedere di non avere la risposta, di non sapere cosa dire, di rimanere
senza parole. È il momento spesso più bello, perché se c’è veramente un cuore
che ama e ascolta, lo Spirito santo trova la via libera per illuminare le
menti, consigliare i cuori, suggerire le parole, muovere le volontà. Verità,
trasparenza, onestà, obiettività nel proporre l’oggetto del discernimento,
senza altri interessi neppure religiosi, spirituali o pastorali e senza
nascondere informazioni anche di natura economica e finanziaria. Aiutare
a impostare il discernimento tenendo presente le indicazioni del Magistero
attuale. L’accompagnatore spirituale ha la responsabilità di assumere e
ricordare alla persona le linee di rinnovamento e cambiamento che la Chiesa
oggi, per esempio, chiede alla vita consacrata. Stare
in equilibrio come l’ago della bilancia senza spingere la persona da
una parte piuttosto che dall’altra: “È più conveniente e molto meglio, nel cercare la divina volontà, che lo
stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola
nel suo amore e lode e disponendola per la via nella quale potrà meglio
servirlo in futuro. Di modo che chi li dà [gli esercizi] non
propenda né si inclini verso l’una o l’altra parte; ma, stando nel mezzo, come una bilancia, lasci
immediatamente operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo
Creatore e Signore”[6]. Aiutare
la persona a fare un discernimento “possibile” che tenga conto delle proprie
condizioni di età, salute, storia, responsabilità ecc. Avere
fiducia nella persona che si accompagna; rispettare la sua dignità e libertà;
guardarla con il cuore; lasciare che sbagli per imparare dai propri errori;
darle coraggio quando è necessario andare al di là delle convenzioni,
tradizioni e abitudini ormai superate; sostenerla con pazienza nella fatica
di sostenere un processo di cambiamento. |
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Questa opera è distribuita
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[1] Cf. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli
scritti, AdP, Roma 2007, n. 32. Bibliografia consigliata: M. Ruiz Jurado, Il discernimento
spirituale. Teologia, storia, pratica, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo 1997; Jean-Claude Dhotel, Per discernere insieme, Edizioni AdP,
Roma 2002; S. Rendina, La pedagogia degli esercizi
spirituali, AdP, Roma 2002; M.I. Rupnik, Il discernimento, Lipa,
Roma 2004; S. Fausti, Occasione o tentazione. Discernere e decidere,
Ancora, Milano 2005; P. Schiavone, Il discernimento. Teoria e Prassi,
Paoline, Milano 2009; G. Costa, Il discernimento, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo 2018.
[2] Papa Francesco fa
riferimento alle Regole per il discernimento degli spiriti di
sant’Ignazio di Loyola, in Gli scritti, op. cit., nn. 313-336. È da notare che proprio questi tre verbi hanno
rappresentato lo schema dell’instrumentum laboris del
Sinodo dei vescovi sui giovani: “I giovani, la fede e il discernimento
vocazionale”.
[3] Valga
come esempio: CIVCSVA, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, nn. 9-15.
[4] C.
Bernard, Pour mieux
donner les exercíces spirituels, CIS,
Roma 1980, p. 102.
[5] Ignazio
di Loyola, Lettera a Teresa Rejadell, 18 giugno 1536, in MI Epp I
99-107.
[6] Ignazio
di Loyola, Esercizi spirituali, n. 15, in Gli scritti, op. cit.