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by Paolo Monaco sj

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Tre modi

Tre modi di pregare [238-260]

Altri autori

 

 

 

 

P. SCHIAVONE, Esercizi Spirituali,

Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1976, pp. 253-258.

 

 

 

pdficona

 

 

 

 

SCHEDE EVO

 

Introduzione

 

Altri autori

 

Brou

 

Casanovas

 

Longridge

 

Schiavone

 

Tre modi di
pregare

 

Addizione

 

Primo modo

 

Secondo modo

 

Terzo modo

 

 

Tropici

30. Tre modi di pregare. 1

 

Introduzione. 1

 

I. – Primo modo di orare. 2

 

II. – Secondo modo. 4

 

III. – Terzo modo di orare. 5

 

 

 

 

 

 

30. tre modi di pregare (Es. sp. 238-260)

 

Introduzione

 

1. La contemplazione per ottenere amore, oltre a darci una sintesi, fa da ponte di congiunzione tra il periodo degli Esercizi e le attività normali cui l’Esercitante dovrà dedicarsi nel riprendere il suo abituale e quotidiano lavoro. I quattro punti della Contemplazione danno altrettanti suggerimenti per calare nella realtà della vita i principi degli Esercizi. «Dio in tutto e tutto in Dio» (cfr. Const. 288) è una formula che ben sintetizza il pensiero del nostro Autore e che deve ispirare ogni attività di chi lo ha seguito fino in fondo. Questo Dio – Padre che, oggi, dà di persona e agendo, Figlio che, oggi, redime, Spirito Santo che, oggi, santifica – deve veramente essere il punto di riferimento costante per chi, nella fedeltà alla logica e all’amore, ha realizzate che vale la pena vivere alla luce esaltante del messaggio di Gesù.

 

Ignazio ci ha portato alle soglie del Paradiso, ci ha quasi costretto, per motivi di logica ma soprattutto di amore, a guardare in alto, alla fonte di ogni bene, a ripercorrere la traiettoria del raggio, a risalire la corrente dell’acqua fino ad arrivare alla sorgente, alla fonte, a Dio: «come dal sole scendono i raggi, dalla fonte le acque» (Es. sp. 237). Un cammino a ritroso e ascendente, nella purezza e nella rettitudine, per incontrarsi con il Datore dei beni, ringraziarLo e adorarLo in atteggiamento di «simpatia», di comunione e di dedizione incondizionata: «Dio mio e Signore mio», «Deus meus et omnia», «Soli Deo», «Ad amorem Dei gloriam»… sono espressioni coniate dai Santi che dicono il rapporto di fiducia e di abbandono di chi, avendo scoperto Dio, ha capito che solo in Dio è possibile realizzarsi; di chi più che a badare a trovare o ritrovare la propria identità vuole, per motivo di puro amore, essere «uno» con Dio, perdersi in Dio.

 

2. Ma la vita di ogni giorno non facilita il raggiungimento di questo ideale. L’Esercitante, come ogni altro uomo e donna, deve reinserirsi e vivere questa vita dal di dentro: non estraniandosi ed assentandosi, non astraendo dai problemi di questo mondo, ma vivendoli, affrontandoli per cercare di risolverli alla luce del pensiero di Cristo; avendo nella mente e nel cuore la destinazione finale e, in quanto possibile, attuando questa vita di comunione con Dio.

 

Gesù, nella sua ultima preghiera, quella sacerdotale, ha sviluppato anche questa tematica: ha insistentemente pregato perché sia gli Apostoli che tutti quelli che avrebbero creduto in Lui fossero «una sola cosa» (Gv 17,11): «affinché tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me ed io in te, affinché anch’essi siano una cosa sola in noi» (v. 21). Ed ha pure sottolineato che  i «suoi» pur non essendo «del» mondo restavano, tuttavia, «nel» mondo. Non ha chiesto al Padre di toglierli dal mondo, ha però pregato affinché il Padre «li custodisca dal maligno» (v. 15).

 

Anzi, per loro Gesù consacrò se stesso: «per essi io consacro me stesso, affinché siano anch’essi consacrati in verità» (v. 19): affinché, cioè, i discepoli potessero veramente e compiutamente attendere alla loro missione.

 

Abbiamo, quindi, in questa preghiera di Gesù, la previsione estasiante della comunione perfetta, dell’unita tra tutti noi, Lui e il Padre, ma anche della visione realistica della situazione in cui, fino a quando rimaniamo su questa terra, dobbiamo vivere, e le difficoltà contro cui dobbiamo lottare. C'è il «maligno», c'è il «mondo» che non facilitano questa comunione; c'è, soprattutto, l’«io» che bisogna continuamente «consacrare», perché continuamente soggetto a ripensamenti, a ripiegamenti, a sconsacrazione.

 

 

I. – Primo modo di orare

 

Ad Ignazio, uomo dalla visuali concrete e globali, non poteva sfuggire questa realtà. Perciò, nel concludere la Quarta settimana[1] e, anche qui, per lanciare un ponte che congiunga e inserisca nella vita di oggigiorno, egli pone tre nuovi tipi di preghiera, di cui il primo corrisponde a un approfondito esame di coscienza sui comandamenti, sui vizi capitali, sulle potenze dell’anima e sui cinque sensi del corpo (Es. sp. 238-248).

 

1. Scopo di questo primo modo è conoscere in che cosa si è mancato e «chiedere grazia e aiuto per emendarsi in avvenire» (Es. sp. 240). Ignazio ne aveva parlato nella diciottesima Annotazione (Es. sp. 18), quando, trattando di chi non è in grado di attendere agli Esercizi così come sono, suggeriva di spiegare anche questo modo di pregare (ib. 18b).

 

Da ciò non ci sembra di poter concludere[2] che tale tipo di preghiera non possa essere adottato da chi sta per ultimare gli Esercizi. Si tratta, indubbiamente, di un metodo di cui servirsi per «affinarsi» nelle vie dello Spirito, molto adatto per chi è ancora invischiato nel peccato. Ignazio, tuttavia, sa bene che tutti e sempre andiamo soggetti a tentazioni e a cadute[3].

 

2. Così come sa, e abbondantemente sottolinea, che non è possibile vivere in vera unita con Dio, nell’ascolto e nella docilità alle mozioni dello Spirito, se non si tolgono gli ostacoli che coprono e snaturano la voce di questo Spirito.

 

Da qui la necessità di attendere, in maniera permanente, alla purificazione e di ricorrere spesso al sacramento della Riconciliazione (cfr. Es. sp. 354); da qui la piena giustificazione del primo modo di orare da proporre anche a chi ha percorso tutto l’itinerario proposto da Ignazio.

 

3. Tanto più che esso non si riduce a un semplice esame in ordine alla purificazione della coscienza; non si tratta solo di un sussidio da proporre «ai più rozzi e analfabeti» (Es. sp. 18), ma di un metodo di preghiera che

 

a) ha anche lo scopo di ottenere una «perfetta conoscenza di essi (i comandamenti) per meglio osservarli, a maggior gloria e lode di sua divina Maestà» (Es. sp. 240);

 

b) può avere come oggetto anche la virtù; chi, infatti, si esercita in esso può anche proporre e procurare «con santi esercizi, di acquistare e possedere dette virtù» (Es. sp. 245).

Tutto questo ben si addice anche a chi a già fatto progressi sostanziali nella vita spirituale.

 

4. Supposto questo lavoro di permanente attenzione a purificarsi, è possibile essere veramente «contemplativi nell’azione», vivere secondo i quattro punti della Contemplazione per ottenere amore e anche procedere con frutto alla preghiera che Ignazio spiega negli altri due modi di orare.

 

 

II. – Secondo modo di orare

 

1. Oggetto di questo secondo tipo di preghiera sono alcune preghiere che sogliono essere classificate come vocali: il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, l’Anima Christi e la Salve Regina. Sono preghiere, tra le più diffuse, sia ai tempi di Ignazio che ai nostri giorni, tra il popolo cristiano.

 

2. Il modo con cui procedere, tuttavia, non si riduce alla preghiera vocale. Ignazio parla di «contemplazione»: «contemplare il significato di ogni parola della preghiera» (Es. sp. 249), di «considerazione» delle singole parole,di ricerca di «significati, paragoni, gusto e consolazione» (ib. 252), di riflessione (ib. 254).

 

Il termine che ricorre di più è contemplare (ib. 249.254.255). Che cosa?

 

a) La persona cui la preghiera è rivolta[4].

 

1) Fin dall’orazione preparatoria si è invitati a mettersi dinnanzi a questa persona: «L’orazione preparatoria si farà conforme alla persona a cui si rivolge la preghiera (Es. sp. 251).

 

2) Anche nella conclusione bisogna rivolgersi «alla persona alla quale è diretta la preghiera» (ib. 257).

 

b) Nel corso della «contemplazione», poi, bisogna trovare «significati, paragoni, gusto, consolazione nelle considerazioni appartenenti a tale parola» (Es. sp. 252).

 

Ora le parole di cui si compongono le preghiere non sono altro che attributi delle persone cui ci si rivolge, non fanno altro che descrivere quello che esse sono o fanno. Punto di riferimento costante, dunque, deve essere la persona cui le parole si riferiscono: il Creatore, il Redentore, il Santificatore (cfr. il Credo e l’Anima Christi) il Padre che è in cielo, che dà a noi il pane quotidiano… (cfr. il Pater)[5].

 

Si tratta, in altre parole, di intrattenersi con queste Persone per contemplarle secondo i loro attributi, nel loro essere di amore e nel loro agire di perdono e di benevolenza.

 

Si tratta di rivivere, in sintesi[6], le verità proposte dagli Esercizi e, cioè, tutto il mistero cristiano, ma centrato essenzialmente su Dio e sulla Vergine.

 

c) Chi attende a questo tipo di orazione è lì con tutta la sua umanità e limitatezza. Ignazio non lo dimentica. Gli suggerisce, anzi, la posizione da prendere: «in ginocchio o seduto» (Es. sp. 252). Ma vuole che si metta a suo agio e cerchi «la maggiore devozione» (ibid.).

 

Non è la posizione che interessa, ma l’incontro con Dio: «in ginocchio o seduto, secondo la maggiore disposizione in cui si trova e la maggiore devozione che l’accompagna» (ibid.).

 

Devozione: «id est, (…) facilità di trovare Iddio» (Autob. 99)!

 

d) La persona, infine, è tenuta ancora presente alla fine della preghiera. Ignazio è sempre più realista e conclusivo. L’amore, ci aveva insegnato, consiste più nelle opere che nelle parole. Perciò, nella conclusione, egli suggerisce di chiedere «con poche parole, le virtù o grazie, di cui sente di avere maggiore necessità» (Es. sp. 257).

 

Il gusto e la consolazione provati non devono essere sterili, ma portare, sempre con l’aiuto di Dio, all’impegno di amore fattivo.

 

 

III. – Terzo modo di orare

 

1. Il Dio così a lungo e così profondamente contemplato durante gli Esercizi, e nel secondo modo, dovrebbe essere definitivamente entrato a fare parte delle realtà più intime della persona.

 

Dovrebbe essere sufficiente una sola parola delle preghiere che Ignazio elenca, o di altre su cui si sarà pregato con quel metodo, per fare ricordare, anche nel breve spazio di un sospiro, le realtà che racchiude.

 

a) Quando, per esempio, si è contemplato a lungo[7] sulla parola «Pater», il semplice pronunciarla non può non suscitare una piena di sentimenti, di ricordi, di affetto, di dedizione, di amore; ma anche di umiltà, di dolore, di odio.

 

b) L’attenzione, infatti, quando si pronunzia una parola delle preghiere indicate,  può essere portata non solo «sulla persona cui è rivolta», ma anche «sulla bassezza di se stesso, o anche sulla differenza tra tanta altezza e tanta bassezza propria» (Es. sp. 258)[8].

 

2. Quello che caratterizza questo terzo modo di pregare è il ritmo: «a ogni anelito o respiro, si deve pregare mentalmente, dicendo una parola del Pater noster o di altra preghiera che si recita, in modo che una sola parola si dica tra un respiro e l’altro» (Es. sp. 258).

 

Stranezze?

 

No, nella maniera più assoluta, ma: esigenza di cuore, in armonia anche con le aspirazioni della natura[9].

 

Quando si ha «dentro» una persona la si invoca, la si ha sempre presente, sia di notte che di giorno, la si «sospira»[10].

 

Per attendere con vero frutto a questo tipo di preghiera è, dunque, necessario lasciarsi infiammare dall’amore di Dio (cfr. Es. sp. 15) e anche, condizione indispensabile, essere poveri in spirito, liberi da ogni affetto disordinato (cfr. ib. 16)[11].

 

Quando si è autenticamente liberi, si può anche «cercare di unire l’uomo che prega, all’uomo che respira o meglio, prendere l’uomo che respira come egli è, e portarlo dolcemente in un uomo che prega»[12].

 

 

 

Inizio

 

 

 

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[1] Che i tre modi di orare appartengano alla Quarta settimana lo afferma Ignazio stesso nella quarta Annotazione (Es. sp. 4).

[2] Come sembra fare il P. PETERS, Gli Esercizi spirituali di S. Ignazio, p. 317s.

[3] È interessante, a proposito del senso del reale di Ignazio ricordare che gli Esercizi si concludono con queste affermazioni: «Sebbene si debba stimare sopra ogni cosa il servire molto Dio nostro Signore per puro amore; dobbiamo tuttavia lodare molto il timore di sua divina Maestà; perché non soltanto il timore filiale è cosa pia e santissima, ma anche il timore servile aiuta molto ad uscire dal peccato mortale, quando l’uomo non arriva ad altra cosa migliore e più utile e uscitone, facilmente arriva al timore filiale, che è tutto accetto e gradito a Dio nostro Signore per essere una cosa sola con l'amore divino» (Es. sp. 370).

[4] Il terzo modo di orare, che, come vedremo, suppone il secondo, suggerisce esplicitamente di riflettere «principalmente sul significato di tale parola, o sulla persona a cui è rivolta, o alla bassezza di se stesso, o anche alla differenza tra tanta altezza e tanta bassezza propria» (Es. sp. 258).

[5] Anche altre preghiere possono essere oggetto di questo modo di pregare.

[6] È quanto possiamo dedurre dal fatto che Ignazio considera le preghiere proposte per la contemplazione come un tutt’uno. Egli, infatti, stabilisce di fermarsi «un’ora in tutto il Pater noster, finito il quale dirà un’Ave Maria, il Credo, l’Anima Christi e la Salve Regina, vocalmente o mentalmente, secondo il modo solito» (Es. sp. 253).

[7] «… si fermi nella considerazione di questa parola tanto tempo, quanto trova significati, paragoni, gusto e consolazione nelle considerazioni appartenenti a tale parola» (Es. Sp. 252).

[8] Importante, ancora una volta, questo senso del reale di Ignazio. anche in questo momento, che possiamo definire finale dell’itinerario, egli non dimentica di richiamare l’attenzione sulla propria «bassezza» per alimentare il senso dell’umiltà: in Dio e con Dio, ma ricordandosi sempre di essere ben poca cosa, di avere sempre bisogno del suo aiuto e della sua misericordia.

[9] Il metodo presenta analogie con certi modi di pregare in uso presso gli Esicasti della Chiesa di Oriente (cfr. la Filocalia di Gregorio di Palamas, Migne, PG. 150, 909-1225) e anche tra i non cristiani, per esempio, tra i Buddisti (cfr. Hervé Coathalem, Commentare du livre des Exercises, p. 272).

[10] I racconti di un pellegrino russo, a cura di Carlo Carretto, descrivono a lungo la preghiera del cuore (cfr. p. 108): «Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di noi». Citiamo alcuni brani: «… Mi misi in viaggio recitando senza posa la preghiera. Dopo un po’ di tempo sentii che la preghiera scorreva da sola nel mio cuore, o meglio, il mio cuore, battendo regolarmente, si metteva in certo qual modo a recitare da sé le parole sante a ogni battito; per esempio: 1: Signore; 2: Gesù; 3: Cristo; e via dicendo» (p. 30);

«… Arrivai a introdurre nel mio cuore la preghiera di Gesù e a farvela uscire, seguendo il ritmo del respiro, secondo l’insegnamento di S. Gregorio il Sinaita, di Callisto e di Ignazio (di Antiochia); perciò, guardando con lo spirito nel mio cuore, inspirai l’aria e la tenni nel petto, dicendo: Signore Gesù Cristo, e la espirai, dicendo: abbiate pietà di me» (p. 49).

[11] Citiamo ancora i Racconti di un pellegrino russo: «Fa’ così, allora. Immagina il tuo cuore, volgi gli occhi come se tu lo vedessi attraverso il petto, e ascolta con l’orecchio teso come esso batte un colpo dopo l’altro. Quando ti sarai abituato, cerca di adattare a ogni battito del cuore senza perderlo di vista, le parole della preghiera. Ossia, con il primo battito dirai o penserai: Signore, con il secondo: Gesù, con il terzo: Cristo, con il quarto: abbi pietà, con il quinto: di me; e ripeti spesso l’esercizio. Ti riuscirà facile perché sei già abituato alla preghiera del cuore. Poi, quando ti sarai abituato a questa attività, comincia a introdurre nel tuo cuore la preghiera di Gesù e a farla uscire con il ritmo del respiro. Ossia, ispirando l’aria, di’ o pensa: Signore Gesù Cristo, ed espirando: Abbi pietà di me! Se tu fai in questo modo abbastanza spesso e per un certo tempo, proverai un lieve dolore al cuore, poi poco a poco sentirai sorgere un benefico calore. Con l’aiuto di Dio, giungerai così all’azione costante della preghiera all’interno del cuore. Ma guardati specialmente da ogni rappresentazione, da ogni immagine che nasca nel tuo spirito mentre preghi. Respingi ogni fantasia, perché i Padri ci raccomandano, per non cadere nell’illusione, di serbare vuoto lo spirito da ogni immagine durante la preghiera» (p. 108 s.)

[12] Peters, Gli Esercizi spirituali di S. Ignazio, p. 330.