Che cos’è il «corpo mistico»?
E che cosa lo fa uno?
Chi è “Gesù in
mezzo”?
Sentire
il fratello di fede
come «uno che mi appartiene»
CHE
COS’È IL «CORPO MISTICO»? E CHE COSA LO FA UNO?
Novo millennio inuente, 43
«Spiritualità della comunione
significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che
abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci
stanno accanto.
Spiritualità della comunione
significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda
del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere
le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi
cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.
Spiritualità della comunione è pure
capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per
accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per
il fratello che lo ha direttamente ricevuto.
Spiritualità della comunione è infine
saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal
6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e
generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie».
La parola
chiave di questo testo è «fratello». Il fratello infatti è essenziale per
vivere la spiritualità di comunione, perché per fare l’unità bisogna essere
almeno in due. Ricordiamo anche l’altro elemento essenziale per la
spiritualità di comunione: la parola, perché essa è il mezzo di
comunicazione privilegiato che ci fa essere uniti con il fratello.
Questo corpo
viene chiamato «mistico», quando si vuole indicare la realtà invisibile della Chiesa, quella che, insieme alla sua
struttura visibile (gerarchia, liturgia, attività, ecc.), rende la Chiesa un «mistero», ne
determina l’identità profonda e la fa «una».
Questo
«mistero» è Gesù, Gesù in mezzo a noi, che in virtù del Battesimo tutti ci
unisce a Lui e tra noi. Dice san Paolo nella Lettera ai Galati: «Non c'è più
giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna,
poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28), dove «uno in Cristo
Gesù» vuole dire «la persona di Cristo Gesù».
L’unità della
Chiesa, allora, non è un’idea, un sentimento, un’attività, un’organizzazione,
una struttura. L’unità è una Persona, è Gesù in mezzo a noi, è Dio «sceso» in
mezzo a noi (cfr Es 3,8).
Mt 1,23 Ecco, la vergine concepirà e
partorirà un figlio
che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi.
Mt 18,20 dove sono due o tre riuniti
nel mio nome,
io sono in mezzo a loro.
Mt 28,20 Ecco, io sono con voi tutti i
giorni fino
alla fine del mondo.
Lc 17,21 Il regno di Dio non viene in
modo da attirare
l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là.
Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!.
Gv 1,14 E il
Verbo si è fatto carne e vene ad abitare in mezzo a noi.
Gv 20,19
venne Gesù, si fermò in mezzo a loro….
Gv 20,26
Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro….
Ap 1,12-13
Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri
d'oro e in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio di uomo, con un
abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro.
Ap 2,1 All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla
Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette
candelabri d'oro.
Ap 22,3 Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei.
Gesù non è un
fondatore di cui ricordiamo le gesta e le parole e di cui cerchiamo per
quanto è possibile di imitare la vita … Gesù è vivo! Dice san Pietro il
giorno di Pentecoste (At 2,29-33): «Fratelli, mi sia lecito dirvi
francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e la
sua tomba è ancora oggi fra noi. Poiché però era profeta e sapeva che Dio gli
aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente,
previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli
inferi, né la sua carne vide corruzione (Sal 15,10). Questo Gesù Dio l'ha
risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di
Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso,
lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
Senza la fede
nella risurrezione di Gesù, qui non parleremmo di Chiesa, di Corpo mistico,
di unità, di Gesù in mezzo a noi… Come d’altra parte non parleremmo di
Eucaristia… insomma di tutta la nostra fede.
Gesù è rimato
presente in mezzo a noi con diverse modalità: nell’Eucaristia, nella Parola,
nel fratello, nella comunità, negli apostoli.
La presenza
di Gesù in mezzo a noi è «vera, reale, sostanziale», cioè Gesù in mezzo è «tutto
intero«: Corpo e Sangue, anima e divinità (cfr. CCC 1374 che cita il Concilio
di Trento sull’Eucaristia).
Se la
presenza di Cristo nell’Eucaristia è detta «reale», quella in mezzo a noi,
pur se chiamata «mistica» è altrettanto reale. Anzi nei primi secoli era
proprio il contrario: la
Chiesa era chiamata il «corpo reale» e l’Eucaristia il
«corpo mistico».
Così dice
Giovanni: «venne Gesù, si fermò in mezzo a loro». La sua presenza è un dato
di fede che va creduto sulla base della testimonianza degli apostoli, come
Gesù ha detto a Tommaso: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che
pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29).
Gesù infatti
dice: «io sono in mezzo a loro», non dice «sarei, potrei essere, sarò…». Se
noi ci riuniamo nel suo nome Lui che già c’è in mezzo a noi, si «manifesta»,
si «fa sentire» come duemila anni fa si è fatto «vedere» dagli apostoli, cioè
da coloro che dovevano poi testimoniare la sua risurrezione.
Giovanni
infatti nel suo vangelo dice che Gesù «si manifestò» (Gv 21,1.14) nel senso
che già era presente, ma che in quel momento sul lago di Tiberiade «si è
fatto vedere». Non è che veniva da un’altra parte…
Quindi la presenza
di Gesù in mezzo a noi non è che «va e viene», un po’ c’è e un po’ non c’è.
Il fatto è che dipende da noi ricevere quella grazia, sentire o non sentire
la sua presenza. Siamo noi che ci dobbiamo mettere nelle giuste disposizioni
per «avere» Gesù in mezzo a noi e sentire la sua presenza in mezzo a noi.
1Cor 12,12-13
«Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra,
pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi
tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo,
Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo
Spirito».
1Cor 12,27
«Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte».
È Gesù che
continua per mezzo nostro a percorrere le strade di questo mondo per chiamare
tutti gli uomini a seguirlo verso la casa del Padre… a costruire il Suo Regno
di pace… a realizzare la fratellanza universale, un mondo unito e in pace…
E qui vorrei
riportare alcuni brani del Concilio Vaticano II che, come sappiamo, è il
concilio della comunione, dell’unità, di Gesù in mezzo.
Costituzione
sulla Sacra Liturgia, SC 7 «È presente infine quando la Chiesa prega a loda, Lui che promesso: “Dove
sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
Decreto sul
rinnovamento della vita religiosa, PC 15 «Sull'esempio della chiesa primitiva
in cui la moltitudine dei credenti era d'un cuore solo e di un'anima sola
(cf. Atti 4,32), la vita da condurre in comune, nutrita dagli insegnamenti
del vangelo, dalla sacra liturgia e soprattutto dall'eucaristia perseveri
nell'orazione e nella comunione dello stesso spirito (cf. Atti 2,42). I
religiosi, come membra di Cristo, in fraterna comunanza di vita si prevengano
gli uni agli altri nel rispetto scambievole (cf. Rom. 12,10), portando i pesi
gli uni degli altri (cf. Gal 6,2). Infatti in forza della carità di Dio
diffusa nei cuori per mezzo dello Spirito santo (cf. Rom. 5,5), la comunità
come una vera famiglia unita nel nome del Signore gode della sua presenza
(cf. Mt, 18,20). La carità poi è il compimento della legge (cf. Rom, 13, 10)
e il vincolo della perfezione (cf. Col. 3,14), e per mezzo di essa noi
sappiamo di essere passati dalla morte alla vita (cf. 1Gv. 3,14). Anzi
l'unità dei fratelli manifesta la venuta di Cristo (cf. Gv 13,35; 17,21), e
da essa promana una grande energia per l'apostolato».
Decreto
sull’apostolato dei laici, AA 18 «I fedeli sono chiamati ad esercitare
l'apostolato individuale nelle diverse condizioni della loro vita; tuttavia
ricordino che l'uomo, per natura sua, è sociale e che piacque a Dio riunire i
credenti in Cristo nel popolo di Dio (cf. 1Pt. 2,5-10) e in un unico corpo
(cf. 1Cor 12,12). Quindi l'apostolato associato corrisponde felicemente alle
esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si presenta come segno
della comunione e dell'unità della chiesa in Cristo che disse: "Dove
sono due o tre riuniti in mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt.
18,20). Perciò i fedeli esercitino il loro apostolato in spirito di unità».
Costituzione
sulla Chiesa, LG 22 «Questo collegio (dei Vescovi), in quanto composto da
molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto
raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo».
Ef 1,22-23
«Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le
cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che
si realizza interamente in tutte le cose».
Ef 4,15-16
«vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa
verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben
compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo
l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da
edificare se stesso nella carità».
Col 1,18 Egli
è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di
coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.
Gesù, come
capo presente in mezzo alla sua Chiesa, agisce per fare la Chiesa «come Sé», bella
come «il più bello tra i figli degli uomini» (Sal 44,3), santa come la nuova
Gerusalemme «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2), come
Maria…
Gesù in mezzo
agisce attraverso i sacramenti con i quali ci dona la Sua forza, cioè il suo
Spirito. È Gesù infatti che ci battezza partecipandoci la sua figliolanza
divina, che ci dona da mangiare la sua parola e il suo corpo e sangue, che ci
dona lo Spirito Santo, che ci perdona con la sua misericordia, che ci
consacra sacerdoti al servizio di tutti, che ci unisce in matrimonio al
servizio della vita, che ci guarisce dalle malattie e dalla paura della morte
e preparandoci all’incontro «faccia a faccia» con lui…
Gesù in mezzo
poi continua a pascere il suo gregge attraverso gli Apostoli: «Chi ascolta
voi ascolta me» (Lc 10,16).
Rom 12,4-5 «Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte
membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi,
pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte
siamo membra gli uni degli altri».
Ef 4,25 «Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la
verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri».
Non si deve
intendere, evidentemente, nel senso che il fratello è mia proprietà, è una cosa
mia…
Il fratello
«mi appartiene» ed io appartengo a lui, perché io e il fratello siamo «uno»,
cioè, siamo lo stesso «corpo»: quello di Gesù in mezzo che ci unisce a Lui e
tra noi.
In virtù di
questo legame «mistico» soprannaturale il fratello è parte di me e io parte
di lui, perché io e il fratello siamo «un solo corpo».
Il fratello allora mi è stato dato in dono da Dio per poter
mettere Gesù in mezzo con lui. Ed io sono stato dato in dono al fratello per
lo stesso motivo: affinché siamo uno.
È questa visione «mistica» e soprannaturale del fratello
che ci può permettere di mettere in pratica gli atteggiamenti che ci
suggerisce il Papa: «condividere… intuire… prendesi cura… offrirgli amicizia…
vedere il positivo».
Questa visione mistica e soprannaturale è il fondamento
della nostra comune appartenenza alla Chiesa. Appartenere alla Chiesa
significa appartenere a Gesù in mezzo. Significa decidersi liberamente,
consapevolmente e responsabilmente di amare in modo soprannaturale il
fratello che mi sta accanto, cercando con lui di mettere Gesù in mezzo e di
rinnovare questa presenza quando ci si accorge che è venuta meno.
Perché tutto il resto della nostra vita ecclesiale, locale
e universale, prende senso, valore e significato se è espressione di Gesù in
mezzo, cioè, del nostro amore reciproco, ciò di cui siamo chiamati ad essere
testimoni, appunto, in tutto il resto…
Per essere testimoni dell’amore bisogna che prima di fare
qualsiasi cosa, prima di pregare, parlare, annunciare il vangelo, cantare,
giocare, prima di tutto bisogna assicurarsi che ci sia Gesù in mezzo a noi. È
la premessa, la base della nostra vita di fede, personale ed ecclesiale.
È il minimo, perché se non c’è Gesù in mezzo nulla vale.
Ed è il massimo, perché con Gesù in mezzo c’è già tutto:
c’è Dio in mezzo a noi!
Bisogna dichiararsi reciprocamente di essere pronti a dare
la vita l’uno per l’altro: «Io sono pronto a dare la vita per te». Bisogna
cioè fare un patto nel quale ci diciamo che vogliamo amarci come Gesù ci ha
amato, con la stessa misura…
Bisogna proprio dirlo. Magari la prima volta sarà
difficile, forse sarà opportuno prepararsi con un ritiro, perché sappiamo di
prenderci una responsabilità forte davanti a Dio e ai fratelli.
Però, una volta fatto questo passo, si fa l’esperienza di
scoprire quasi una realtà nuova: si sente Gesù in mezzo. E con Gesù si
sentono i «frutti dello Spirito»: il cuore s’infiamma, la mente si illumina,
la volontà si rafforza, la gioia dilaga, le persone si convertono, la comunità
cresce… insieme a persecuzioni…
Bisogna prepararsi perché non ci verrà spontaneo.
Istintivamente siamo portati a «difendere» la nostra vita, piuttosto che a
metterla a disposizione degli altri.
Siamo infatti a un bivio: da una parte conosciamo il valore
della nostra vita e desideriamo difenderla per paura della morte.
Dall’altra parte sappiamo che amare come Gesù ci ha amati
significa morire a me stesso, cioè mettere in gioco la mia vita. E non tanto
l’idea della mia vita o le cose esteriori della mia vita e nemmeno una certa
immagine della mia vita. Ma proprio la mia persona reale, concreta, quella che
sperimento e curo ogni giorno.
Sappiamo e desideriamo amare come Gesù ci ha amati,
intuiamo che lì la nostra piena felicità. Però ci rendiamo conto che dobbiamo
fare un passo: andare contro la nostra sensibilità naturale, a volte contro
la mentalità di chi ci sta accanto… vincere noi stessi e la nostra paura
della morte… e non è facile.
Perché non si tratta solo di convertire la nostra mente ai
valori che ci propone Gesù. Si tratta soprattutto di convertire la nostra
affettività, di agire sulla nostra volontà… la paura della morte è appunto
paura, cioè sentimento, qualcosa di razionale e irrazionale insieme… che mi
prende le viscere… è energia che devo orientare, gestire…
Quindi non basta decidere con la mia ragione di credere in Gesù.
Bisogna che poi armonizzo la mia sensibilità e affettività in modo corrispondente
ai suoi valori, alla sua mentalità, ai suoi sentimenti.
Ed è qui che sento male, dolore, fatica, paura…
Perché io posso «far spazio»al fratello nella mia
razionalità. Ma per amare come Gesù mi ha amato io devo fargli spazio nella
mia affettività, «dentro» di me…
Ma questo lo vedremo la settimana prossima.
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