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Generare la profezia

Oltre il buio della crisi attuale

 

 

 

 

 

 

Articolo pubblicato
in
Unità e Carismi
3 (2013) 23-24,
Unidad y Carismas
88 (2013) 17-18

 

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Partecipo al forum di «Unità e Carismi», dopo aver vissuto da Piazza San Pietro l’ultimo angelus di Benedetto XVI. Il suo gesto rende evidente, fisico, il momento di crisi che stiamo vivendo. Le persone accolgono la sua scelta con serenità, intensità, profondità, rispetto e l’attesa di qualcosa di nuovo.

 

Mi domando quale sia il valore positivo di questa crisi, il suo esito finale. Mi aiuta un articolo in cui vengono riportate alcune considerazioni di Ratzinger che nel 1969, concludendo un ciclo di lezioni radiofoniche, getta uno sguardo (profetico) sul futuro della Chiesa, in particolare nel mondo occidentale:

 

«Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. […] Si farà povera e diventerà la Chiesa dei miti. […] Il processo sarà lungo e faticoso. […] Quando il processo di discernimento sarà concluso, una grande forza scorrerà da una Chiesa più spirituale e semplice. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamento il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Allora vedranno quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto… Mi sembra che senza dubbio la Chiesa sta affrontando tempi molto duri. La vera crisi è solo all’inizio. Dovremo affrontare sconvolgimenti formidabili. Ma sono altrettanto sicuro di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico [Church of the political cult] […] ma la Chiesa della fede. Potrebbe non essere più la forza sociale dominante nella misura in cui lo è stata fino a poco tempo, ma potrà godere di una fresca fioritura ed essere vista come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte»[1].

 

Una Chiesa più povera, comunità ecclesiali ridotte per numero di credenti, dove la vita cristiana è vissuta più intensamente e radicalmente. Una Chiesa riportata all’essenziale del cristianesimo e alla sua vocazione di profezia della presenza di Dio nell’umanità.

 

È sotto gli occhi di tutti la miopia di coloro che nel post-Concilio hanno visto il futuro, sapevano che sarebbero arrivati questi tempi, e hanno continuato a costruire grandi opere, a cercare privilegi, a sottoscrivere accordi con politici e mafiosi, a costringere in una vita disumana generazioni di consacrati e consacrate. Per mantenere ricchezza, potere e onore: i tre elementi costitutivi della superbia, direbbe sant’Ignazio di Loyola[2].

 

È sotto gli occhi di tutti il tentativo di rendere vano il rinnovamento iniziato dal Concilio Vaticano II, mantenendo viva l’immagine sacrale e piramidale della Chiesa. Il rifiuto pratico, e spesso anche teorico, dell’ecclesiologia di comunione e della spiritualità di comunione. La resistenza a farne principi educativi «in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità» (NMI 43), per trovare nuovi percorsi e nuove strutture di formazione.

 

Un esempio. Una religiosa, d’accordo con il suo direttore spirituale, chiede alla superiora di poter fare gli esercizi spirituali annuali, lasciandosi accompagnare dall’esperienza di un movimento ecclesiale. La superiora risponde negativamente, perché altrimenti dovrebbe dire di sì a tutte le altre religiose che chiedono di poter fare un’esperienza simile.

 

Papa Francesco, il 17 aprile, in una delle sue quotidiane omelie ha detto: «Dopo cinquant’anni abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel concilio?». «No», ha risposto. «Festeggiamo questo anniversario» - ha continuato - quasi erigendo «un monumento» al concilio, ma ci preoccupiamo soprattutto «che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare». Anzi, ce n’è

 

«di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama “essere testardi”, questo si chiama voler “addomesticare lo Spirito Santo”, questo si chiama diventare “stolti e lenti di cuore” […] per dirlo chiaramente, lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella trasfigurazione: “Ah, che bello stare così, tutti insieme!”. Ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca. Vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E questo non va. Perché lui è Dio e lui è quel vento che va e viene, e tu non sai da dove. È la forza di Dio; è quello che ci da la consolazione e la forza per andare avanti. Ma andare avanti! E questo dà fastidio. La comodità è più bella»[3].

 

Dobbiamo difenderci dalla crisi o accoglierne l’appello profondo? La crisi è una tappa del cammino che l’esperienza cristiana sta vivendo per maturare una parola significativa, comunicabile e comprensibile per il mondo di oggi. Occorre prendere questa crisi come la nostra “croce quotidiana” e così, da questa posizione “crocifissa” poter generare dal di dentro una parola, un grido, da offrire all’umanità. Sta qui, mi pare, la vocazione profetica della Chiesa.

 

Gli avvenimenti della quaresima 2013, indimenticabile, con la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Papa Francesco sono l’inizio della realizzazione di questa profezia? Lo spero. E lo credo, perché so che l’umanità in Gesù abbandonato e risorto è per sempre amata di un amore infinito.

 

 

 

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[1] J. Ratzinger, 24 dicembre 1969, conclusione del ciclo di lezioni radiofoniche presso la Hessian Rundfunk, ripubblicati nel volume «Faith and the Future», Ignatius Press, pp. 116-118.

[2] Cf. «Esercizi spirituali», nn. 136-147.

[3] «L’Osservatore Romano», mercoledì 17 aprile 2013, p. 8.