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La gioia di servire il
popolo. Papa Francesco e la
mistica |
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Articolo pubblicato Altre pagine La gioia di servire Mondanità
Il
motto di Giovani,
Si
apre una Esercizi
spirituali Maria
Desolata Il
coraggio Per
una società Gli
strumenti |
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Dalle parole e dai gesti di papa Francesco emerge una
visione del popolo, la “fraternità mistica”, che trova le sue radici nella
dimensione mistica del carisma di sant’Ignazio di Loyola. |
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A volte basta un gesto per dire chi è una persona, i valori
in cui crede, la visione originaria che anima la sua vita. Papa Francesco, la
sera della sua elezione, prima di dare la sua benedizione, china il capo di
fronte al popolo radunato in Piazza San Pietro chiedendone la benedizione. Il
papa che si lascia benedire dal popolo. Una
fraternità mistica Mi sono chiesto da dove potesse nascere questo gesto
profetico. Ho cominciato a trovare la risposta nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Pagina dopo pagina è apparsa sempre più intensamente una chiave di lettura
fondamentale: il popolo. Considerato soprattutto come rete di relazioni
interpersonali vissute alla luce di una visione mistica: Oggi, quando le reti e gli
strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi,
sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme,
di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di
partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera
esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo
pellegrinaggio (87). […] il modo di relazionarci
con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una
fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza
sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa
sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che
sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come
la cerca il loro Padre buono (92). Nel Documento di
Aparecida si descrivono le ricchezze che lo Spirito Santo dispiega nella
pietà popolare con la sua iniziativa gratuita. In quell’amato continente,
dove tanti cristiani esprimono la loro fede attraverso la pietà popolare, i
Vescovi la chiamano anche «spiritualità popolare» o «mistica popolare». Si
tratta di una vera «spiritualità incarnata nella cultura dei semplici». Non è
vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via
simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede
accentua maggiormente il credere in Deum che
il credere Deum (124). La fraternità mistica è alimentata da un
principio: il tutto è superiore alla parte. Possiamo
riconoscere in queste parole un’eco della preghiera di Gesù per l’unità: A noi
cristiani questo principio parla anche della totalità o integrità del Vangelo
che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. […] La “mistica popolare”
accoglie a suo modo il Vangelo intero e lo incarna in espressioni di
preghiera, di fraternità, di giustizia, di lotta e di festa. La Buona Notizia
è la gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli.
Così sboccia la gioia nel Buon Pastore che incontra la pecora perduta e la
riporta nel suo ovile […] Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli
è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a
tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché
non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno (237). Vivere la fraternità mistica, infine, dilata la
nostra interiorità sulla misura di quella divina, ce ne rende partecipi e ci
permette di sentire la “pienezza di Dio”, la presenza del Signore in mezzo a
noi che, in fondo, è il suo più bel regalo: L’amore per
la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in pienezza con Dio
fino al punto che chi non ama il fratello «cammina nelle tenebre» (1 Gv
2, 11), «rimane nella morte» (1 Gv 3, 14) e «non ha conosciuto Dio» (1
Gv 4, 8). Benedetto XVI ha detto che «chiudere gli occhi di fronte al
prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio», e che l’amore è in fondo l’unica
luce che «rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di
vivere e di agire». Pertanto, quando viviamo la mistica di avvicinarci agli
altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra
interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci
incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di
scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi
per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per
riconoscere Dio (272). La radice
ignaziana Questa visione mistica del popolo ha le sue radici
nell’esperienza ignaziana di papa Francesco. Ne parla lui stesso in vari
modi. Innanzitutto quando, nell’intervista a La Civiltà Cattolica, ci
racconta come vede il gesuita: L’aura
mistica non definisce mai i suoi bordi, non completa il pensiero. Il gesuita
deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto[1]. Poi, quando ci rivela il suo rapporto con Pietro Favre, il primo compagno di sant’Ignazio di Loyola e con
Ignazio stesso: Il dialogo
con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa
ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo [di Favre,
ndr]
attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti
decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce […] Ignazio è un
mistico, non un asceta. Mi arrabbio molto quando sento dire che gli Esercizi spirituali sono ignaziani
solamente perché sono fatti in silenzio. In realtà gli Esercizi possono essere perfettamente ignaziani anche nella vita
corrente e senza il silenzio. Quella che sottolinea l’ascetismo, il silenzio
e la penitenza è una corrente deformata che si è pure diffusa nella
Compagnia, specialmente in ambito spagnolo. Io sono vicino invece alla
corrente mistica, quella di Louis Lallemant e di
Jean-Joseph Surin. E Favre era un mistico[2]. Nell’intervista a Eugenio Scalfari (1 ottobre 2013), papa
Francesco ritorna su questo punto, comunicandoci anche una sua personale
esperienza successiva al momento dell’elezione: «[…] Ignazio
che fondò la Compagnia, era anche un riformatore e un mistico. Soprattutto un
mistico». E pensa che i mistici sono stati importanti
per la Chiesa? «Sono stati fondamentali. Una religione senza
mistici è una filosofia». Lei ha una vocazione mistica? «A
lei che cosa le sembra?». A me sembra di no. «Probabilmente
ha ragione. Adoro i mistici; anche Francesco per molti aspetti della sua vita
lo fu ma io non credo d’avere quella vocazione e poi bisogna intendersi sul
significato profondo di quella parola. Il mistico riesce a spogliarsi del
fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità
missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini.
Brevi momenti che però riempiono l’intera vita ». A lei è mai capitato? «Raramente. Per esempio quando il
Conclave mi elesse Papa. Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare
per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza.
La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per
farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche
quello di rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura
liturgica consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività.
Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò
lunghissimo. Poi la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi diressi nella
stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di
accettazione. Lo firmai, il cardinal Camerlengo lo controfirmò e poi sul
balcone ci fu l’“Habemus Papam”». Rileggendo le parole di papa Francesco mi ritornano
in cuore le visioni di Cristo e di Maria che Ignazio sperimenta a Manresa: Molte volte, e per molto tempo, mentre era in
preghiera, gli accadeva di vedere con gli occhi interiori l’umanità di
Cristo, e quello che vedeva era come un corpo bianco, non molto grande né
molto piccolo, ma senza alcuna distinzione di membra. […] Ha visto anche
nostra Signora, nello stesso modo, senza distinzione di membra
(Autobiografia, 28). L’umanità (gloriosa, in quanto nella visione si rende
visibile una persona viva) di Cristo e Maria “senza distinzione di membra”
evoca una visione di popolo nella sua unità, non perché le singole membra
siano annullate, ma perché tutte insieme, e ciascuna in particolare,
esprimono (un solo) Cristo e (una sola) Maria. Il bianco, sintesi dei colori
dell’iride, va in questa direzione. Il fatto che Maria si mostri “nello
stesso modo” fa pensare che questo popolo ha una dimensione mariana,
femminile, inclusiva, uguale per dignità a quella, istituzionale, espressa da
Cristo. Bisognerà ulteriormente approfondire nella nostra
vita quotidiana e nella riflessione teologica questa sfida tipica del nostro
tempo: vivere da “mistici”. |
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