Nel 2001 un gruppo di
religiosi del Movimento
dei Focolari ha organizzato un seminario sugli Esercizi
spirituali. Nella preparazione venne proposto un questionario. Le
risposte sono il primo tentativo di ordinare alcuni appunti.
Qual è la tua esperienza di
Esercizi Spirituali,
come predicatore e come ascoltatore?
Eviterei le parole
«predicatore» e «ascoltatore»: sanno di vecchio, di uno stile che spero non
esista più, almeno per quanto riguarda gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. E cioè quello stile che
consisteva nel fare ogni giorno quattro conferenze di circa 45 minuti che
praticamente eliminavano di fatto la preghiera personale. Alle quattro
conferenze, poi, si aggiungeva il rosario, la visita al Santissimo e
naturalmente la messa.
Eviterei anche la parola
«direttore» (vecchia anche questa e tipica di una spiritualità individuale e
clericale). Oggi si usa certamente di più quella di «guida» o
«accompagnatore», colui cioè che si fa compagno di cammino, sta accanto,
«assiste».
E poiché non c‘è una parola che
sostituisca quella di «ascoltatore», forse la cosa migliore è proprio quello
che fa Ignazio: parlare di «colui che dà» e «colui che riceve» gli esercizi.
La mia esperienza, grazie a
Dio, non è stata quella di ascoltare un predicatore. Colui che mi dava gli
esercizi (personalmente o in gruppo) raramente parlava più di 30 minuti e non
più di due volte al giorno (la mattina e il pomeriggio). Quando poi sono
diventato più esperto nel ricevere gli esercizi, bastava anche una sola volta
al giorno, magari la sera, o la mattina. Poi distribuivo durante il giorno 4
o 5 tempi di preghiera personale (in camera o in cappella o in altri luoghi),
quindi la messa e il colloquio personale.
Ho fatto l’esperienza di quanto
sia relativo il «contenuto» degli esercizi, cioè di «ciò che dice» o «deve
dire» chi dà gli esercizi. Ricordo che a distanza di circa un anno e mezzo ho
fatto due volte gli esercizi con la stessa persona. E che in tutte e due le
occasioni questo gesuita ha dato gli stessi punti di meditazione. Dico
proprio gli stessi, giorno per giorno. Per me sono state due esperienze
completamente diverse: la prima travagliata, la seconda serena. E non ho
avuto difficoltà a pregare con gli stessi testi, ecc.
Così ora per esempio mi
preoccupo meno di «cosa devo dire», perché so che le mie parole sono
«relative» a ciò che è la situazione dell’anima di chi mi ascolta, di chi si
mette in ascolto del Signore. Va anche detto che gli Esercizi di sant’Ignazio offrono già una linea di «contenuti»
che ha la sua grazia «interna», che va adattata, ecc. ma è un sicuro punto di
riferimento.
La mia esperienza
come «colui che dà»
Chiaramente quando si è
trattato di dare io gli esercizi, certamente non sono stato un predicatore.
Qualche volta ho inserito, sempre alla luce dell’esperienza fatta, un breve
incontro, prima del pranzo, per spiegare qualcosa sul modo di pregare, ecc.
Da quando Chiara Lubich ci ha
fatto «scoprire» la spiritualità collettiva, inserisco sempre alla sera, dopo
cena, un incontro di comunione d’anima (circa un’ora), nella quale invito chi
lo desidera a mettere in comunione «il frutto della giornata», ciò che il
Signore ha donato a ciascuno. È un incontro che per qualcuno può sostituire
il quinto tempo di preghiera personale. Questo incontro di comunione non
sostituisce però il colloquio personale.
All’inizio degli esercizi, poi,
esplicito sempre in una forma o in un’altra il patto di amore reciproco, per
esempio commentando il Presupposto (n. 22) e suggellandolo alla messa. Invito
tutti e ciascuno a dire l’un l’altro nel nome di Gesù “ho fiducia in te”. A
volte, e secondo le circostanze, propongo che questa parola sia detta solo
interiormente.
Posso dire che, seguendo le indicazioni
di Ignazio, ogni giorno la persona vive, oltre gli strumenti «tradizionali»
della spiritualità individuale (il silenzio, il distacco dalle creature, la
preghiera personale), un «di più» rappresentato dagli strumenti della
spiritualità collettiva: il patto, il colloquio personale e la comunione
d’anima che è anche comunione sulla Parola «vissuta» e «pregata» durante il
giorno.
Ad alcuni gruppi ho proposto
anche l’ora della verità (correzione fraterna). Per esempio ai responsabili
della CVX (Comunità di Vita Cristiana) di Reggio Calabria. Nel programma l’ho
inserita alla fine degli esercizi, l’ultima sera, quando si erano create le
condizioni interiori ed esteriori. Ho letto come introduzione un testo di
Chiara Lubich sull’ora della verità e un testo di Ignazio sulla correzione
fraterna, in modo tale da far vedere che non si tratta di «sostituire», ma di
«rinnovare» ciò che già c’è. Poi abbiamo seguito il metodo proposto da Chiara
Lubich, dato che su questo punto Ignazio non propone delle modalità particolari.
Ti
sembra che LA
SPIRITUALITà DELL’UNITà
possa offrire un contributo specifico a questa tradizione?
Vorrei
rispondere a queste due domande, rifacendomi alla «tradizione» che conosco
meglio. Vorrei cioè mettere in evidenza, alla luce di alcuni testi, come gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio
trovano la loro piena luce nella spiritualità dell’unità. Dico «piena
luce», perché per la mia esperienza non si tratta di «confrontare»,
«sintetizzare» o «sostituire» contenuti a contenuti, ma di «entrare dentro» e
di trovare «nella» Luce dell’unità, cioè in Dio, il carisma di Ignazio, il
«suo» Gesù, e da lì leggere i «suoi» testi.
Normalmente gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio
e la sua spiritualità vengono presentati come il «prototipo» di un’esperienza spirituale «personale» se non
addirittura individuale. Questa impostazione viene tradotta con la
frase «solo con Dio solo» e riceve la sua fondazione dalla divulgazione
dell’immagine di Ignazio che «solo» va in giro per l’Europa «cercando e
trovando la volontà di Dio». Ricerca che lo conduce a fondare la Compagnia di Gesù «per
la missione». Nel carisma ignaziano, e quindi nella spiritualità che ne
deriva, alla luce di questi fondamenti, l’esperienza comunitaria, in quanto
dà maggiore forza e garanzia, è di fatto proposta e vissuta come «funzionale»
all’esperienza personale (individuale) del singolo e alla missione del
singolo o dell’Istituto.
Tutto questo ha in sé un «germe» di verità. Ignazio riceve il
carisma come risposta ad un’epoca che già vede i segni di ciò che verrà:
l’esplosione, la valorizzazione e la centralità del «soggetto»,
dell’individuo, della persona. Epoca che arriva fino ai nostri giorni.
Ignazio e i suoi Esercizi,
insieme a santa Teresa d’Avila, sono sicuramente il
«prototipo», rappresentano la vetta di una spiritualità «interiore»che
cerca Dio «dentro di sé». Di questa spiritualità il pellegrinaggio è la cifra
esteriore, mentre la solitudine, il silenzio ne sono le condizioni di
possibilità. La sua finalità è quella di rinnovare «dal di dentro» la persona
per renderla più capace di amare Dio e il prossimo.
Però tutto questo non è tutta la
verità. Non lo è innanzitutto alla luce dello stesso carisma ignaziano. Gli
stessi Esercizi vanno infatti
letti alla luce dell’esperienza personale di Ignazio e di tutto ciò che da
quella è nata, cioè alla luce di tutto il corpo degli scritti di Ignazio. Ma
non è tutta la verità, semplicemente perché le parole di Ignazio non vanno «unicamente» nella direzione di una
spiritualità individuale. Certamente non ne fondano una collettiva,
questo è il carisma di Chiara Lubich. Ma ne hanno «dentro» i tratti fondamentali
e vorrei dire già tutti gli strumenti, ma come messi in secondo piano. Per
trovarli occorre avere «gli occhi giusti» e «la mente giusta» per spiegarli
«dal di dentro» del carisma ignaziano.
Come esempio possiamo leggere
il numero [1] e [22] degli Esercizi
Spirituali (la traduzione italiana è mia).
«[1] Anotaciones para tomar alguna
inteligencia en los ejercicios espirituales que se siguen, y para ayudarse,
asi el que los ha de dar como el que los ha de recibir».
«[1] Annotazioni per prendere qualche intelligenza negli esercizi
spirituali che si seguono, e per aiutarsi, così colui che li deve dare come
colui che li deve ricevere».
Ignazio non parla negli Esercizi di uno che predica e un
altro che ascolta, di uno che insegna e un altro che fa. Egli parla di «uno
che dà» e «uno che riceve». Egli sottolinea fortemente e discretamente, come
è nel suo stile, la dinamica
trinitaria che sta sotto tutta l’esperienza degli Esercizi Spirituali.
Il riflessivo (aiutarsi) e la
distinzione (così… come) normalmente vengono letti solo in chiave
individuale, come se queste annotazioni fossero date a uno e all’altro in
modo separato, in modo tale che ciascuno dei due si aiuti da sé solo. Ora
questo senso sarebbe l’unico valido per questa frase, se il numero delle
persone fosse uno. Ma qui le persone sono due. Il riflessivo, quando è
associato ad un plurale, esprime anche la relazione reciproca che intercorre
tra i «due o più». Va anche detto che se Ignazio avesse voluto sottolineare
soltanto la dimensione individuale, avrebbe potuto distinguere chiaramente
due gruppi separati di annotazioni, uno per chi dà e uno per chi riceve.
Invece Ignazio le mette tutte insieme.
Ignazio quindi mette subito i
due «protagonisti» degli esercizi nella prospettiva dell’unità, che viene
prima, e nella distinzione. Egli
indica loro come relazionarsi l’uno all’altro, affinché tra loro durante gli
Esercizi ci sia l’amore reciproco e quindi Colui che realmente dà e riceve
gli esercizi, Gesù in mezzo. «Dare» e «ricevere», quindi l’amore
reciproco, quindi un’esperienza di esercizi che è ecclesiale, perché vissuta
dalla sua «cellula» fondamentale: «Dove
sono due o più riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Le annotazioni quindi possono essere lette anche in chiave comunitaria.
E lo devono essere, per garantire la ecclesialità
di questa esperienza e affinché siano di aiuto a coloro che desiderano dare e
ricevere gli esercizi alla luce di una spiritualità comunitaria e collettiva.
«[22] Prosupuesto. Para que así el que da los
ejercicios espirituales, como el que los recibe, más se ayuden y se
aprovechen, se ha de presuponer que todo buen cristiano ha de ser más pronto
a salvar la proposición del prójimo que a condenarla; y si no la puede
salvar, inquira cómo la entiende; y, si mal la entiende, corríjale con amor;
y si no basta, busque todos los medios convenientes para que, bien
entendiéndola, se salve».
«[22] Presupposto. Affinché così colui che dà gli esercizi
spirituali, come colui che li riceve, più si aiutino e si servano nel trovare
frutto (si sfruttino), si deve presupporre che ogni buon cristiano deve
essere più pronto a salvare l'affermazione del prossimo che a condannarla; e
se non la può salvare, indagherà in che modo la intende; e, se la intende
male, lo corregga con amore; e se non basta, cerchi tutti i mezzi convenienti
affinché, intendendola bene, si salvi».
Anche in questo testo, al quale
si fa riferimento moltissime volte anche fuori degli Esercizi, troviamo l’amore
reciproco come base degli esercizi. Anche qui il riflessivo va letto
nella linea della reciprocità, dell’unità e della distinzione.
Nel dare gli esercizi chiaramente ho
utilizzato il metodo di sant’Ignazio. Però mi pare che fondamentale non è il
metodo o il contenuto. Ignazio stesso lascia molta libertà. Fondamentale è
«farsi uno» con «colui che
riceve» gli esercizi e lasciare che in questo nulla d’amore lo Spirito Santo dica quale
tipo di esercizio spirituale dare alla persona o al gruppo.
Il metodo mi aiuta a «tenere la
linea», a sapere qual è l’itinerario oggettivo. Ma tutto dipende dal tipo e
dalla condizione interna ed esterna della persona, da ciò che lo Spirito
Santo fa in lei e dalla mia capacità di ascoltarla.
A livello di contenuti,
normalmente seguo la linea
delle meditazioni così come sono proposte da Ignazio negli Esercizi, adattandole alla persona
o al gruppo. A volte, insieme alla meditazione o contemplazione, offro alcuni
brani di altri testi ignaziani (Autobiografia,
Costituzioni, Lettere, ecc.) per far vedere alla
persona «la vita che c’è sotto», cioè come quelle parole hanno una radice
nella vita di Ignazio, o meglio, nell’azione di Dio in lui.
Ancora più profondamente, seguo una «linea ideale»,
quella che ho intuito durante i miei esercizi del 1993 in preparazione al
diaconato. Ho capito che gli Esercizi
sono il cammino di «Gesù obbediente affinché tutti siano uno».
Dove «Gesù obbediente» è il Gesù «di Ignazio» che vive il carisma
dell’obbedienza avendo come radice e scopo l’unità.
Tappe degli Esercizi
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L’unità
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Principio e Fondamento
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L’unità: Il progetto di Dio UniTrinità
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Prima Settimana
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L’unità: Il progetto di Dio rifiutato
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L’esercizio del Re
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L’unità: Il progetto di Dio in Gesù Cristo:
«Che tutti siano uno!»
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Seconda Settimana
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L’unità: Lo stile, le condizioni, la chiamata
personale
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Terza Settimana
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L’unità: Gesù Abbandonato e l’unità
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Quarta Settimana
|
L’unità: «Gesù in mezzo»
e l’unità realizzata
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Contemplatio
ad amorem
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L’unità: “Tutto nasce
dall’UnoTrino e tutto ritorna all’UnoTrino
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Chiaramente
c’è maggior frutto quando la persona o il gruppo inserisce gli esercizi in un contesto personale e comunitario che
ne garantisce la «perseveranza» o la continuità. La domanda sulla
perseveranza apre una riflessione sul «come si arriva» all’esperienza degli
esercizi, sul contesto che li precede e li segue. E anche un approfondimento
sul rapporto tra vita comunitaria ed esercizi spirituali.
In un contesto di spiritualità
individuale la vita di comunità è funzionale agli Esercizi, poiché il fine
ultimo della vita spirituale è l’imitazione interiore di Gesù.
In un contesto di spiritualità
di comunione invece tutti gli altri strumenti, quindi anche gli esercizi
spirituali, diventano funzionali alla vita comunitaria, poiché il fine ultimo
della vita spirituale è l’essere tutti uno in Gesù, del quale l’imitazione
interiore, l’essere io Gesù, è certamente condizione necessaria ma anche
passaggio intermedio.
In altre parole, la spiritualità individuale vede
l’aspetto ascetico degli
Esercizi. La spiritualità di comunione completa, e nello stesso tempo
capovolge questa visione, proponendo gli
Esercizi come via alla mistica comunitaria, all’esperienza di Gesù in mezzo.
Inizio
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