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Diventare compagni di Gesù Una
cosa sola nei desideri Come Gesù ha guidato
Ignazio e i primi gesuiti |
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Come
Ignazio ha guidato i suoi compagni? Leggendo alcuni racconti dei protagonisti
ho ricavato l’impressione che Ignazio, pur rimanendo il punto di riferimento
e lo strumento privilegiato della comunicazione del carisma, non abbia voluto
guidare i primi gesuiti. Egli, infatti, li riteneva non “suoi” compagni, ma
“di Gesù”, il quale, «attraverso la via della preghiera»[1] aveva chiamato ciascuno,
Ignazio compreso, a vivere una nuova esperienza evangelica. Lo
testimonia il processo di fondazione della Compagnia, di cui il primo gruppo
di gesuiti è soggetto attivo e protagonista. Lo manifesta, per esempio, il
motivo che spinge il gruppo a decidere il proprio nome. Juan Alfonso Polanco, segretario di Ignazio, scrive: «Poiché non avevano nessun capo tra loro, né altro
superiore se non Gesù Cristo, che solo desideravano servire, parve loro che
avrebbero dovuto prendere il nome di colui che avevano per capo, chiamandosi
Compagnia di Gesù. Su questo nome Ignazio ebbe tante visitazioni e tanti
segni della sua approvazione e conferma, che lo sentii dire che avrebbe
pensato di andare contro Dio e offenderlo se avesse dubitato di questo nome
(…) Una sicurezza così irremovibile Padre Maestro Ignazio è solito averla
nelle cose che ha per via superiore a quella umana, nelle quali non si
arrende di fronte a nessuna ragione»[2]. Il
nome, quindi, è frutto di una decisione comune del gruppo, mentre Ignazio ne
riceve la conferma. Jeronimo Nadal
completa questo racconto aggiungendo che fu Ignazio a proporre il nome: «Per iniziativa personale propose a tutti i suoi
compagni e li pregò con ferma determinazione che innanzitutto, qualora fosse
stata fondata, la nostra Compagnia si sarebbe dovuta chiamare Compagnia di
Gesù. E tutti furono d’accordo»[3]. La
domanda vera allora è: come Gesù ha guidato Ignazio e i primi gesuiti verso
la fondazione della Compagnia di Gesù e nell’esperienza di una nuova
spiritualità? Parigi
Ignazio
stesso ci racconta alcuni passaggi fondamentali. A Rouen, vicino Parigi, vuole
visitare un giovane spagnolo con l’intenzione di convincerlo a farsi suo
compagno. L’anima di Ignazio è pesante, gli sembra di tentare Dio, ma va
avanti. Fino a quando non viene liberato da questo travaglio spirituale con «una grande consolazione e coraggio
spirituale con tanta gioia, che cominciò a gridare, per quei campi e a
parlare con Dio»[4]. Risultato: Ignazio aiuta
il giovane spagnolo ad imbarcarsi per Tornato
a Parigi, decide di non parlare più delle cose di Dio e di dedicarsi soltanto
allo studio. Ed è proprio in questo tempo che Ignazio «era in contatto con il maestro Pietro Favre e
col maestro Francesco Saverio, che più tardi guadagnerà al servizio di Dio
per mezzo degli Esercizi»[5]. Così
Pietro Favre ricorda quel periodo: «Vivevamo sempre insieme,
condividendo la camera, la borsa; e poi egli mi era insegnante di vita
spirituale, dandomi la possibilità di ascendere alla conoscenza della volontà
divina e della mia propria. Così fu che divenimmo una cosa sola nei desideri,
nella volontà e nel fermo proposito di scegliere la vita, che ora seguiamo
tutti noi, i quali facciamo o faremo parte di questa Compagnia»[6]. Giacomo
Laynez gli fa eco e scrive, riferendosi al voto di
Montmartre: «Ciascuno rinnovava e confermava questo voto il
giorno di nostra Signora di Agosto, in Santa Maria di Montmartre (…)
fermandoci poi lì a mangiare in carità. Cosa che continuavamo anche durante
l’anno. Di tanto in tanto, infatti, andavamo a mangiare in casa di uno e la
volta dopo a casa di un
altro. Questo modo di fare, insieme alle frequenti visite e all’infervorarci
reciprocamente, credo che ci aiutasse molto a mantenerci costanti. In quel
periodo il Signore ci aiutò in modo particolare sia negli studi (…) sia
nell’avere un amore speciale gli uni per gli altri, aiutandoci per quanto
potevamo anche nelle cose materiali»[7]. Come
Ignazio avesse conquistato Pietro Favre e Francesco
Saverio lo spiega bene Polanco: «Durante gli studi faceva delle opere buone (…),
aiutando molti studenti poveri, non solamente con quanto aveva, ma anche con
quanto riceveva da altri amici: faceva in modo che alcuni potessero studiare
con tranquillità, ad altri faceva portare del cibo, a qualcuno procurava
degli studenti, ad altri offriva consigli e li aiutava in vari modi. E con
questi mezzi (…) conquistava l’amore di molti»[8]. E
aggiunge a quanto già detto da Laynez: «Al di sopra di tutti i mezzi, Dio li conservava
perché li voleva come fondamento di una grande opera e di un grande servizio
suo. Bisogna considerare con grande meraviglia che né il padre Ignazio né gli
altri compagni, pur essendo tanto decisi a impegnarsi quanto più possibile
nel servizio di Dio, non entrarono in nessun ordine. E pur avendo la certezza
di non dover seguire alcun istituto, né prevedendo nulla di ciò che poi
avvenne circa la Compagnia, rimasero uniti [en uno]. Essendo persone colte e
intelligenti, il fatto di restare così incerti e sospesi, non sarebbe potuto
accadere senza una grande provvidenza di Dio»[9]. Il
mezzo principale attraverso cui Gesù guida Ignazio e i primi gesuiti è
l’unità del gruppo. Questa unità, che sembra riattualizzare in qualche modo
l’esperienza degli apostoli attorno a Gesù e della prima comunità di
Gerusalemme attorno a Maria, è il segno di una particolare grazia di Dio. Il
primo gruppo è costituito come “fondamento” della Compagnia ed è condotto da
Gesù a stabilire quel patto d’amore reciproco che precede tutto quanto
successivamente si concretizzerà nella nuova forma di vita consacrata. Veneto
Terminati
gli studi, ritroviamo il gruppo a Venezia, in attesa della nave per
Gerusalemme. Mentre sperano di prendere finalmente il largo verso la Città
Santa, e coronare finalmente il loro sogno, si dividono negli ospedali di
Venezia. Scrive Laynez: «Cinque andarono nell’ospedale degli incurabili e
cinque in quello dei santi Giovanni e Paolo, dove, fino alla metà della
quaresima, lasciati gli studi, ci esercitavamo nel servizio dei poveri; il
maestro Favre si occupava in modo speciale delle
confessioni»[10]. Dopo
essere stati ordinati presbiteri, si disperdono a gruppi di due o tre in
varie città del Veneto e università. Scrive ancora Laynez:
«In questi luoghi, mentre ci preparavamo alla prima
messa e ci esercitavamo nel chiedere l’elemosina, cominciammo ad annunciare
il Vangelo nelle piazze con poca o nessuna preparazione, più per
mortificazione nostra che per altre ragioni e comunque sempre si raccoglieva
qualche frutto. A Vicenza, per avere di che vivere, come prima cosa fu
necessario elemosinare due volte al giorno. Non mangiavamo né vino né carne,
qualche volta un poco di burro oppure olio. Non avevamo un letto, né la porta
né le finestre, e dormivamo sopra un poco di paglia»[11]. È
in questo periodo che il gruppo prende le prime decisioni sul proprio stile
di vita. Raccontando il viaggio da Parigi a Venezia, Polanco
mette in evidenza un’altra esperienza fondamentale: cercare insieme la volontà
di Dio. Scrive: «Nelle cose che bisognava risolvere, dopo aver
pregato le risolvevano nella quiete, scegliendo la parte verso la quale si
inclinavano di più. E questo modo lo conservarono fino a quando non elessero
un superiore»[12]. L’unità
del gruppo è fondamento del discernimento in comune che i primi gesuiti
sperimentano “prima” di avere un superiore. Il patto d’amore si incarna in
un’obbedienza vissuta innanzitutto insieme. Essendo un cuor solo e un’anima
sola, il primo gruppo di gesuiti impara a riconoscere la voce di Gesù
presente fra di loro, nella Chiesa-comunità, “in mezzo” a loro (cf. Mt 18, 20), prima che nel “superiore” (cf. Lc 10, 16). Per mantenere e
rafforzare l’unità, come pure per orientare le decisioni dei superiori, nella
Compagnia di Gesù emergerà successivamente uno strumento particolare, penso,
frutto di quel modo di conversare che i primi gesuiti avevano tra di loro e
della pratica degli Esercizi: il rendiconto di coscienza. Se ne parla nelle
Costituzioni (n. 92): «I superiori, quanto più saranno
informati di tutte le situazioni interne ed esterne dei sudditi, con tanta
maggiore diligenza, amore e cura potranno aiutarli e difendere le loro anime
da diversi ostacoli e pericoli che potrebbero in seguito presentarsi. Di più:
dobbiamo essere sempre pronti, conforme alla nostra professione e al nostro
genere di vita, ad andare qua e là, per l’una o l’altra parte del mondo,
tutte le volte che ci fosse comandato dal Sommo Pontefice o dal nostro
superiore immediato; perciò, per azzeccare in queste missioni nell’inviare
questi e non quello, oppure nell’assegnare a questi un ufficio, a quelli
altri uffici, non solo è importante, ma importantissimo che il superiore
abbia piena conoscenza delle inclinazioni e delle mozioni dell’animo e conosca
a quali difetti o peccati sono stati o sono maggiormente propensi e inclinati
quelli che si trovano sotto la sua responsabilità. In tal modo, in base a
questa conoscenza, potrà meglio indirizzarli, senza esporli, al di là delle
loro forze, a pericoli e a lavori superiori a quelli che potrebbero
sopportare per amore nel Signore nostro; e in questo modo, pur mantenendo il
segreto circa quello che avrà udito, il superiore potrà più saggiamente
organizzare e predisporre quello che conveniente al corpo universale della
Compagnia». Roma
Nella
Città Eterna il gruppo definirà la nuova forma di vita evangelica fino alla
piena incorporazione del nuovo carisma nella Chiesa. Nella Deliberazione dei
primi padri si racconta il discernimento comunitario che porta alla fondazione
del nuovo ordine. Due i punti più importanti: rimanere uniti, eleggere uno
del gruppo come superiore. Leggiamo: «Tutti avevamo la stessa mente, la stessa volontà,
cioè: cercare con perfezione la volontà e il beneplacito di Dio, come
richiede la nostra vocazione. Quanto poi ai mezzi più idonei e fruttuosi, sia
per noi che per il nostro prossimo, avevamo una certa pluralità di giudizi
(…) lungo il giorno, ci fermavamo a riflettere e a meditare, e la nostra
ricerca continuava anche nella preghiera. La notte poi ciascuno proponeva
all’attenzione degli altri ciò che aveva ritenuto più giusto ed efficace, di
modo che tutti abbracciassimo unanimi il parere più vero che, sottoposto a esame, raccoglieva più consensi ed era confortato da più valide motivazioni.
Alla prima riunione notturna fu presa in esame la questione: dopo aver
offerto e consacrato noi stessi e la nostra vita a Cristo nostro Signore e al
suo vero e legittimo Vicario in terra perché egli disponga di noi e ci mandi
là dove giudica che noi possiamo portare frutto (...) è più utile che siamo
tra noi così strettamente uniti in un solo corpo che nessuna separazione e
distanza, per quanto grande, ci possa dividere? O forse questo non è così
utile? (…) Alla fine decidemmo per la prima alternativa e cioè: dal momento
che il Signore nella sua generosa bontà ha voluto adunare e unire insieme
noi, così deboli e provenienti da regioni e civiltà tanto diverse, non
dobbiamo spezzare questa unione e comunità voluta da Dio; dobbiamo anzi
mantenerla salda e rafforzarla, stringendoci in un solo corpo, attenti e
premurosi gli uni verso gli altri, in vista del bene maggiore delle anime»[13]. L’unità
ritorna come valore primario e fondante la Compagnia di Gesù. I primi
compagni riconoscono che la loro unità è voluta da Gesù e, come risposta a
questo dono, sentono di dover rafforzare ancora di più l’amore reciproco che
aveva segnato la loro vita fin dall’inizio. È l’unità che la Compagnia di
Gesù sarà chiamata a vivere e irradiare. È l’unità che ispirerà le successive
redazioni della Formula e delle Costituzioni: valga come esempio luminoso il
Proemio delle Costituzioni che richiama, come “norma delle norme”, l’unità e
l’amore reciproco (nn. 134-135). Gli “esperimenti”
Abbiamo
cercato brevemente di raccogliere alcuni pensieri su come Gesù abbia guidato
il primo gruppo di gesuiti verso la fondazione della Compagnia di Gesù. Le
tappe vissute dal primo gruppo saranno il punto di riferimento per delineare
il percorso della formazione. Nelle Costituzioni, poi, le esperienze dei
primi diventeranno gli “esperimenti” proposti ai candidati per introdurli al
Vangelo, al carisma e allo stile di vita della Compagnia. Troviamo l’elenco
nell’Esame generale (nn. 65-70): «Il primo esperimento
consiste nel fare gli Esercizi spirituali per la durata di un mese circa,
cioè nell’esaminare la propria coscienza, passare in rassegna tutta la vita
trascorsa, fare una confessione generale, riflettere sui propri peccati,
contemplare le scene e i misteri della vita, morte, resurrezione ed ascensione
di Cristo nostro Signore (…) Il secondo
esperimento consiste nel servire in uno o più ospedali, per un altro mese,
consumando là i pasti e là dormendo, oppure per una o più ore al giorno,
aiutando e servendo tutti, infermi e sani (…) per servire in ogni cosa il
loro Creatore e Signore crocifisso per essi. Il terzo
esperimento consiste nell’intraprendere un pellegrinaggio di un mese, senza
denaro (anzi, chiedendo, a tempo opportuno elemosina di porta in porta, per
amore di Dio nostro Signore), per potersi abituare a mangiare male e a
dormire disagiatamente e anche perché, lasciando ogni speranza che si
potrebbe fondare sul denaro o su altre cose create, la si riponga
interamente, con vera fede e amore intenso, nel suo Creatore e Signore (…) Il quarto
esperimento consiste, una volta che uno è entrato in casa di probazione,
nell’esercitarsi con ogni diligenza e cura in diversi uffici umili e
ordinari, dando sempre buon esempio di sé. Il quinto
esperimento consiste nell’insegnare la dottrina cristiana o una parte di essa
ai bambini e ad altre persone incolte, in pubblico o in privato (…)
adattandosi sempre alle persone (…) Sesto
esperimento, che consiste nel predicare o nel confessare o nell’esercitarsi
in tutti e due i ministeri, secondo i tempi, i luoghi e le capacità di
ciascuno». Succede
spesso che mi chiedano: come si fa a diventare gesuiti? Di solito i miei
interlocutori accompagnano questa domanda con l’esclamazione: chissà quanto
avrai dovuto studiare!, esaltando le doti intellettuali dei seguaci di
Ignazio, innegabili, viste le tante istituzioni accademiche gestite dalla
Compagnia di Gesù. Nella mia risposta cerco di arricchire questa visione dei
gesuiti, mettendo in risalto la luce carismatica che di quell’impegno
intellettuale, come di tutti gli altri, è la radice. Qualcuno
immagina i gesuiti come delle persone individualiste e solitarie. Per capire
quanto falsa sia questa idea, anche se probabilmente ben vissuta da molti gesuiti
(e non solo), valga una frase di Polanco
sull’esperienza di Ignazio a Manresa e sugli
Esercizi spirituali che «poiché lavorarono molto la sua anima, così egli
desiderava con essi aiutare altre persone. E sempre ebbe questo desiderio di
comunicare al prossimo ciò che Dio gli dava, scoprendo attraverso
l’esperienza che non soltanto non diminuiva in lui ciò che comunicava ad
altri, ma al contrario cresceva molto»[14]. |
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[1] J.A. Polanco, Summarium hispanium de origine et progressu
Societatis Iesu (1547-1548),
FN I, MHSI, Roma 1943, p. 183.
[2] Ibid.,
p. 204.
[3] J. Nadal, Prediche nel Collegio Romano (1557), FN II, cit., p.
10.
[4]
Ignazio di Loyola, Autobiografia, in Id., Gli scritti, ADP, Roma
2007, p. 143.
[5] Ibid., p. 146.
[6] P. Favre, Memorie
spirituali, a cura di Giuseppe Mellinato, PIEMME, Casale Monferrato
1990, p. 18.
[7] G. Laynez, Epistola Patris Laynes de P. Ignatio (Bologna 16
giugno 1547), FN I, cit., pp. 102-104.
[8] J.A. Polanco, op. cit., pp. 181-182.
[9] Ibid., pp. 184-185.
[10] G. Laynez, op. cit., p.
110.
[11] Ibid.,
pp. 118-120.
[12] J.A. Polanco, op. cit., p. 189.
[13]
Deliberazione dei primi padri, in Ignazio di Loyola, Gli scritti, cit., pp.
483-484.
[14] J.A. Polanco, op. cit., pp. 163-164.