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by Paolo Monaco sj

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Esercizi

Seconda parte
L’esercizio del re
dal 1599 al Vaticano II

 

 

 

L’ESERCIZIO
DEL RE NELLA
tRADIZIONE
DELLA
COMPAGNIA
DI GESù

I nn. 91-98 degli
Esercizi spirituali
di sant’Ignazio di
Loyola da Nadal
ai giorni nostri

 

Introduzione

 

Prima parte
L'esercizio del re
secondo Nadal

 

Seconda parte
L’esercizio del
re dal 1599 al
Vaticano II

 

Terza parte
L’esercizio del
re negli anni
postconciliari

 

L’esercizio del re
nella tradizione
della Compagnia
di Gesù

 

Bibliografia

 

 

 

 

 

 

 

 

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spirituali
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Introduzione  1

Joseph De Guibert 2

Pedro Arrupe  2

 

Il «Direttorio» del 1599  3

 

Luis de la Palma (1560-1641) 3

 

Antonio Ciccolini (1804-1880) 4

 

Antoine Denis (1818-1892) 5

 

Moritz Meschler (1830-1912) 6

 

Albert Valensin (1873-1944) 7

 

Henri Pinard de la Boullaye (1874-1958) 8

 

Antonio Encinas (1883-1963) 9

 

Jean Clémence (1925-1981) 10

 

 

 

Introduzione

 

In questa seconda parte del nostro lavoro vogliamo seguire con rinnovata attenzione la tradizione interpretativa dell’esercizio del re, per cogliere in essa i momenti più significativi, quelli che ne fanno intravvedere il filo d’oro. Inizieremo la nostra ricerca dal Direttorio del 1599 per giungere ai giorni nostri. Ci lasciamo guidare da Joseph de Guibert e da Pedro Arrupe, generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983, due punti di riferimento fondamentali nella riscoperta del carisma ignaziano.

 

 

Joseph De Guibert

 

Per De Guibert la storia della spiritualità della Compagnia di Gesù ci insegna che gli Esercizi spirituali sono il punto di partenza e il principio di sviluppo della spiritualità ignaziana, poiché in essi possiamo ritrovare ciò che dell'esperienza di sant’Ignazio è

 

comunicabile, insegnabile, utilizzabile da altre anime nei loro sforzi verso la santità, ciò che può illuminarle, guidarle, sostenerle nei diversi gradi della loro ascensione verso Dio, tutto ciò che può in particolare dirigere la loro ricerca della volontà di Dio su di esse[1].

 

Inoltre, questa storia ci fa capire che gli Esercizi non contengono tutta l'esperienza spirituale di sant’Ignazio e neppure tutta la spiritualità della Compagnia di Gesù.

 

Per questo, bisogna aggiungere allo studio del testo materiale quello dei molteplici apporti della tradizione vivente sull' interpretazione del testo, il suo uso pratico e i suoi adattamenti e arricchimenti, in

 

una presa di coscienza sempre più completa e più chiara, di ciò che è il pensiero profondo di sant'Ignazio, la struttura essenziale dei suoi Esercizi, di ciò che rende il loro valore durevole e universale, indipendentemente da certi particolari, interessanti, preziosi sotto molti aspetti, ma tutto sommato secondari e che si potranno perciò lasciar talora cadere senza nulla togliere alla forza dell'insieme; indipendentemente anche da molte idee e pratiche che potranno inserirsi in questo tutto come elemento di varietà o anche di attualità, senza tuttavia prendere il sopravvento su questa struttura essenziale o cambiarne l'economia[2].

 

Infine, la tradizione spirituale della Compagnia di Gesù ci consegna gli Esercizi Spirituali non come un seme nascosto dal quale nascerà un grande albero, ma come

 

l'albero già formato, con la sua fisionomia propria e che deve solamente estendere i propri rami e moltiplicare i suoi frutti. Su quest'albero potranno innestarsi rami nuovi presi da altri alberi, ma questi rami non saranno presi a caso: saranno, com in ogni innesto ben riuscito, dei getti che abbiano già la loro affinità con l'albero che vengono ad arricchire. E' esattissima quindi la formula che vede negli Esercizi l'anima stessa della spiritualità della Compagnia di Gesù, il principio che ne segna l'orientamento, che ne mantiene l'unità in mezzo a tutti i suoi arricchimenti successivi[3].

 

 

Pedro Arrupe

 

In una sua conferenza del 1980 al Centro Ignaziano di Spiritualità, così Arrupe diceva a tutti i gesuiti:

 

Credo che né il modo de proceder (modo d'agire), né il carisma fondamentale della Compagnia possano essere compresi e posti pienamente in luce, se non arriviamo fino al principio di tutto: fino alla Trinità. Nel ritorno alle fonti che ci chiede il Concilio Vaticano II la Compagnia non si può fermare fino a che non è giunta a questo livello. Solo alla luce dell'intimità trinitaria di Ignazio può essere compreso il carisma della Compagnia e può essere accettato e vissuto da ogni gesuita, non perché è un compito storico che ha la sua origine nell'intuizione, riflessione e capacità legislativa e di ispirazione di un uomo, anche se è un genio, ma perché, per un disegno della Provvidenza che deve riempirci a un tempo di umiltà e fedeltà, sappiamo che è una vocazione ispirata dalla contemplazione dei più alti misteri[4].

 

Vogliamo quindi svolgere la nostra ricerca tenendo presente due criteri fondamentali: il posto che gli Esercizi Spirituali hanno nella spiritualità della Compagnia di Gesù e l'ispirazione trinitaria del carisma ignaziano.

 

 

Il «Direttorio» del 1599

 

Il Direttorio fu pubblicato nel 1599 dopo la revisione fatta secondo le osservazioni delle diverse province gesuitiche. È un testo quindi che raccoglie in sintesi le indicazioni su come fare e dare gli Esercizi nel XVI secolo. Esso presenta l’esercizio del re in un orizzonte trinitario: Gesù Cristo è il Figlio che realizza l'opera del Padre e che chiama tutti gli uomini «in societatem» a partecipare di quest'opera, ognuno secondo il suo grado.

 

Primum Exercitium secundae hebdomada quid sit. Primum Exercitium in hac secunda Hebdomada, est de Regno Christi, quod tamen non computatur inter meditationes, quia prima est de Incarnatione Domini. Est igitur quasi fundamentum quoddam, aut proemium totius huius tractatus, et summa ac compendium vitae et operum Christi Domini, in eo negotio, quod ei commiserat Pater, de quo Isaias: Opus illius coram eo [Is. 62,11]. Et ipse Dominus: Opus quod dedisti mihi, ut facerem [Gv. 17,4]. Et statim addit quidnam id esset: Clarificavi te super terram [Gv. 17,4]: Manifestavi nomen tuum hominibus [Gv. 17,6]. Vocat autem omnes homines in societatem tanti et tam gloriosi operis, unumquemque iuxta suum gradum. Ex quo iam incipitapparere diversitas graduum in imitatione Christi[5].

 

Il re eterno, allora, non è solo Signore e Salvatore, ma Figlio. Infatti la sua opera è quella di glorificare il Padre sulla terra e manifestare il suo nome agli uomini (Gv. 14,6), affinché essi, una volta chiamati, si associno ad essa. Rispondere positivamente all'invito del Figlio, significa, quindi, cercare la volontà di Dio all'interno della dinamica di relazione Padre-Figlio.

 

 

Luis de La Palma (1560-1641)

 

Il XVII secolo è per la Compagnia di Gesù il tempo in cui il suo carisma si ordina e, potremmo dire, si incarna progressivamente in istituzioni stabili. Essa si concentra sulla fedeltà della pratica religiosa e sulla povertà della vita comune, sull'esecuzione e sull'osservanza, sull'orazione e sullo spirito proprio della vocazione gesuitica da conservare e sviluppare. Così, aumentano considerevolmente anche le pubblicazioni sugli Esercizi Spirituali. Molto interessante e originale è la riflessione di La Palma sull'imitazione di Gesù Cristo come imitazione di Gesù crocifisso. Infatti

 

conviene presuponer que esta que llamamos via iluminativa, no es otro cosa sino camino de paciencia, ejercicio de padecer, imitacion de Jesucristo crucificado, y el camino real de la santa cruz[6].

 

E ancora

 

que cierto no está nuestro merecimiento, ni la perfeccion de nuestro estado en muchas consolaciones y suavidades, mas en sufrir grandes pesadumbres y tribulaciones. Porque si alguna cosa fuere mejor y mas útil para la salud de los hombres, que sufrir adversidades, por cierto Cristo nuestro Señor la hubiera enseñado por palabra y ejemplo: mas él manifiestamente amonesta á sus discípulos y á todos los que desean seguirle, que llevan la cruz, y dice: Si alguno quisiere venir en pos de mí, niéguese á sí mismo, y tome su cruz, y sígame. Así que leidas y bien escudriñadas todas las cosas, sea esta la postrera conclusion: Que por muchas tribulaciones nos conviene entrar en el reino de Dios[7].

 

Alla luce di Gesù crocifisso, cinque sono i passi da fare per cercare di partecipare alla via della croce e riviverla: decidersi in modo generale di imitare Gesù e di obbedire alla sua volontà, impegnarsi nell'imitazione spirituale-affettiva di Gesù crocifisso, chiedere solo la consolazione spirituale nella imitazione effettiva, imitare Gesù che nell'abbandono non chiede neppure la consolazione e confermarsi nella decisione vivendo sempre come inchiodati sulla croce:

 

El primero es en general la determinacion de imitar á Jesucristo y obedecer á su llamamiento. El segundo, esta imitacion de Jesucristo la determina á la imitacoin de su cruz, quanto al afecto, quitando el amor de la hacienda y de la honora mundana, y poniéndole en la pobreza y deshonras de Jesucristo. El tercero pasa mas adelante, á querer imitar esta cruz, cuanto al efecto, en la pobreza actual, y en las deshonras efectivamente padecidas. Y porque al que así padece no le queda otro alivio sino el de las consolaciones espirituales, el cuarto se adelanta mas, á querer andar por este camino de la cruz, ora sea con muchas visitaciones espirituales, ora sin ellas, á imitacion de aquel Señor, que estando padeciendo en la cruz non significó la falta de consuelo que tenia en la parte inferior de su alma, cuando dijo: Dios mio, Dios mio, ¿porque me desamparaste? Y este Señor que así padecia estaba clavado en su cruz con clavos, y mucho mas con su amor, sin querer bajar de ella, aunque sus enemigos se lo pedian y le ofreian el creer en el. Y á imitacion de esto, el quinto grado es afirmarnos en nuestras determinaciones, clavándonos con la fuerza de nuestro propósito en nuestra cruz, sin volver jamás atrás, antes andando siempre adelante en la via del divino servicio[8].

 

Per La Palma, quindi, nella contemplazione del Regno di Cristo, il Figlio per eccellenza, al quale l'esercitante è chiamato ad associarsi, è Gesù crocifisso, contemplato nel suo massimo dolore, l'abbandono del Padre.

 

 

Antonio Ciccolini (1804-1880)

 

Nel commento di Ciccolini è significativa la presentazione del fine dell'incarnazione: ristabilire nell'uomo redento la sua vera immagine, essere figlio di Dio e fratello di Gesù e, in virtù di questa eredità, fratello di ogni uomo e partecipe della costruzione di una sola famiglia umana:

 

Altrimenti che cosa sarete al cospetto di Dio? Voi sarete come un ritratto, in cui, tirati i primi lineamenti di un bellissimo volto, si è guastato il lavoro con pennellate tirate a capriccio ed a sproposito da riuscirne una mostruosità ributtante. Né avvenenza, né gran sapere, né le molte ricchezze, né il favore degli uomini, vi basteranno agli occhi di Dio, affinché egli ponga la sua compiacenza in voi e vi ricompensi con l'eterna felicità. Egli vi mira nel suo divino Figlio, vi confronta con quello, vi giudica secondo la sapienza e la santità ch'egli ama in quello. Or vedete quanto vi manca ad avere con quello una conveniente somiglianza! Noverate le virtù che avete fin qui trascurate, le massime stolte che avete fin qui mantenute. Proponete riforma dietro agli esempi del Figliuolo di Dio, e chiedete, grazia da tanto [...] Ma riflettete di più come parla espressamente di questa eterna legge del Padre celeste l'apostolo S. Paolo. Egli dichiara che tutta l'opera della misericordiosa provvidenza di Dio sopra le cose di quaggiù, in ordine alla salute eterna degli uomini, si aggira nel proporzionare a ciascun uomo il mezzo di acquistare questa conformità e somiglianza col suo divino Figliuolo: Ut sit ipse primogenitus in multis fratribus (Rom. 8,29); quasi dicesse che mentre Dio ci previene con amore di padre per tirarci a sé nella beatitudine del cielo, non puòvoler altro, se non che noi formiamo tutti insieme come una sua famiglia, dov'egli riconosca le medesime fattezze, le medesime virtù del primogenito suo prediletto. Or che fate voi quando trascurate gli esempi di Gesù Cristo? Vi fate degenere da quella nobile qualità in cui siete adottato come fratello di lui, e come figlio di Dio, insieme con tutti i santi suoi imitatori. Oh indegno veramente di pretendere alla celeste eredità![9].

 

Vediamo così approfondirsi la dimensione trinitaria dell’esercizio del re, poiché è alla luce del rapporto di unità tra il Padre e il Figlio che si comprende il fine dell’incarnazione.

 

 

Antoine Denis (1818-1892)

 

Il 27 dicembre 1834 Roothan, generale della Compagnia di Gesù, scriveva ad essa una lettera Sullo studio e sull'uso degli Esercizi. Egli si interrogava sul poco frutto ricavato dagli Esercizi dati o fatti dai gesuiti e ne individuava la causa nel progressivo allontanamento dal testo ignaziano. Per il padre generale non sono più sufficienti dei surrogati che con gli Esercizi hanno in comune solo il nome. Anzi, essi vanno abbandonati per ritornare al testo di sant'Ignazio, quello originario, come fonte primaria.

 

Certamente, dopo la soppressione e il ristabilimento della Compagnia, Roothan vive il tempo della nuova fondazione nella percezione che tutto il corpo della Compagnia di Gesù deve riallacciarsi autenticamente al carisma di sant'Ignazio e che per questo è di importanza capitale riprendere in mano e riscoprire la fonte primaria dello spirito ignaziano. Nel 1835, come segno concreto di tale urgenza, lo stesso padre generale pubblica una nuova traduzione latina degli Esercizi. Egli rivedrà più volte il testo, fino alla definitiva pubblicazione del 1852.

 

 Denis è uno tra gli autori che hanno profondamente studiato il testo ignaziano. Egli sembra rappresentare il punto di riferimento degli autori del XIX e XX secolo. Insieme con Roothan infatti reimposta il modo di leggere gli Esercizi Spirituali, diventandone il paradigma metodologico e contenutistico. L'ultima parte del commento di Denis alla meditazione del re si concentra sul n. 98, che egli chiama oblazione:

 

Oblatio illa tanti momenti est, ut verbis hoc vix dici possit: non enima simplex hic habetur oratio, aut sanctus aliquis affectus, aut pium propositum, sed plena oblatio sui, qua tota anima transit in Christum, ut soli Christo vivat in posterum, eique ex amore se assimilare procuret. Atque iterum vel ex sola hac oblazione luculentissime patet, non omnibus, sed iis tantum a quibus magna expectari possint, sua integra Exercitia S. Ignatium destinasse. Nisi enim haec oblatio serio, per integram sui abnegationem et traditionem facta fuerit, poterunt quidem in secunda hebdomada, et boni affectus et bona proposita elici, sed nequaquam magnifica illa obtinebitur in Christum transformatio, quam S. Fundator prosequitur. Requiritur igitur hic magnanimitas; neque haec ipsa tamen sufficit, nisi supernaturalis Spiritus Sancti gratia accedat. Sed volentibus et orantibus, in re Deo tam honorifica, Spiritus ille certe non deerit[10].

 

Da questo punto di vista, allora, l'imitazione di Cristo assume un senso nuovo. Se l'oblazione non è una semplice preghiera, nè un qualche affetto santo, nè un pio proposito, ma una piena offerta di sé, nella quale tutta l'anima opera un «transitum in Christum» ed ottiene per opera dello Spirito Santo una «in Christum transformatio», l'imitazione del cristiano sarà caratterizzata, allora, dalla progressiva identificazione interiore con Cristo[11].

 

 

Moritz Meschler (1830-1912)

 

Tra i più noti autori spirituali di lingua tedesca, nel suo commento segue molto da vicino il Direttorio del 1599 ed ha come chiave di lettura dell’esercizio del re il concetto di imitazione. Nel commento di Meschler all’esercizio del re ci sembra di aver notato per la prima volta un riferimento esplicito alla Chiesa: Gesù viene sulla terra per fondare il suo Regno divino, cioè la Chiesa, che vuole essere fondato prima all'interno dell'uomo.

 

Le Sauveur esquisse son entreprise et montre en quoi consiste son imitation. Dans ce but, il faut pénétrer dans la vie de Jésus-Christ, considérer la fin de sa venue, c'est-à-dire comment il est venu sur la terre fonder, pour la gloire de Dieu et le salut des hommes, le grand Royaume divin qui n'est autre que l'Eglise; nous verrons ensuite comment il veut que nous l'aidions à établir ce Royaume. - Sa volonté est que nous l'établissions d'abord en nous-mêmes, qui sommes membres de l'Eglise, parl'observation de ses enseignements, la fidélité àson exemple, la guerre contre le péché et les passions, ensuite dans les coeurs de tous les hommes. - Par conséquent, voici en quoi consiste l'imitation de Notre Seigneur: combattre en soi le péché et les passions déréglées, pour devenir un instrument du Règne de Jésus-Christ dans le coeur des autes. Dans ce sens, l'imitation du Sauveur est vraiment une expédition guerrière, pleine de combats: tel est le caractère de la vie de Jésus et de celle de tous ses sujets. - Les peines de l'expédition sont adoucies par la considération de sa nécessité, l'assurance de la victoire, la sublimité du plan; car ce plan est le même dont Notre Seigneur et l'Eglise et toutes les grandes âmes poursuivent la réalisation, en accomplissant de grandes choses pour la gloire de Dieu et le salut des hommes[12].

 

L'imitazione del Signore riguarda allora il combattimento contro le passione disordinate nel cuore dell'uomo perché questi sia poi strumento del Regno di Cristo, cioè della Chiesa, nel cuore degli altri. Il Regno è cosi attuato nella Chiesa secondo diversi gradi: l'osservanza dei comandamenti, l'osservanza dei consigli, la vita apostolica.

 

 

Albert Valensin (1873-1944)

 

Lo sviluppo degli studi ignaziani intorno alla svolta epocale del Concilio Vaticano II, e delle Congregazioni Generali XXXI e XXXII della Compagnia di Gesù, è stato caratterizzato da una rinnovata urgenza e necessità di rinnovamento che hanno proiettato moltissimi autori nei primi tempi di fondazione. Da questo punto di vista alcuni di loro riprendono e approfondiscono l’orizzonte ecclesiale dell’esercizio del re: Gesù Cristo non si presenta solo come Uomo-Dio, ma anche come Figlio nella sua relazione alla Chiesa (Capo-Corpo).

 

 Valensin, per esempio, rispettando la connessione interna degli elementi strutturali della parabola e l'autenticità del pensiero ignaziano, presenta un commento profondamente legato alla realtà sociale ed ecclesiale del suo tempo.

 

Innanzitutto egli vuole condurre l'esercitante verso un contatto intimo con Gesù Cristo, affinché egli comprenda le esigenze della vita cristiana e sia attratto dall'unità del corpo mistico. In esso egli sarà associato al re eterno, attraverso l'azione redentrice e glorificatrice del Padre, affinché nella carità diventi immagine vivente del Figlio. Valensin, quindi, ci presenta da una parte Gesù vivente e operante oggi (Cristo-carità che tutti e tutto unisce in sé) e dall'altra esprime la realtà fondamentale della fede (tutti e tutto nella carità sono una sola cosa in Cristo risorto).

 

Il punto qualificante del commento di Valensin, a nostro giudizio, è la lettura che egli fa del re temporale. Pur mantenendo la parabola all'interno del quadro storico vicino a sant'Ignazio, l'autore riesce a rendere attuale l'immagine del re-Regno. Sant'Ignazio, riflettendo sulla situazione del suo tempo, sogna un re che sia capace di realizzare un mondo unito non come dominatore né attraverso un'azione imperialista, ma come un re umile e liberale, cioè come un uomo scelto e inviato da Dio.

 

Ciò che il nostro autore vede espressa nella prima parte dell'esercizio è quell'aspirazione all'unità che attraversa come desiderio e nostalgia l'epoca di sant'Ignazio e giunge altrettanto forte e urgente fino al XX secolo. Il re temporale sarebbe allora la cristallizzazione di un sogno, il frutto di una esperienza da leggere non come elaborazione della fantasia di sant'Ignazio, ma come il modo in cui egli, per ispirazione dello Spirito, legge la storia dell'umanità, il modo in cui sant'Ignazio propone all'esercitante di leggere oggi i segni nel tempo.

 

Il re temporale sarebbe allora l'immagine dell'uomo che cerca di costruire un mondo unito e che sperimenta il proprio fallimento quando vuole realizzare quell'unità con i soli mezzi politici ed economici; il re eterno sarebbe, invece, l'immagine di quell'unità che solo in Gesù Cristo morto e risorto è già realizzata, in quanto dono del Padre a tutti gli uomini di buona volontà, in quanto progetto di vita non ancora attuato eppure possibile:

 

Ainsi la vocatio regis temporalis dont il était question, est comme la cristallisation d'un rêve et le fruit d'une expérience. Nous pourrions refaire ce rêve, mamis il faudrait le colorer des idées de notre temps. Ce ne serait pas un vain jeu de l'imagination. Ce serait exercice utile, qui pourrait éventuellement nous aider à pénétrer l'une des plus emouvantes réalités de l'histoire contemporaine. Car, aujourd'hui plus qu'hier, le hommes ont la nostalgie de l'unité. Aussi élaborent-ils toutes sortes de plans pour substituer à l'anarchie présente l'unité vers laquelle les porte une des plus profondes aspirations de l'humanité: plans économiques et plans politiques. Mais cette unité se dérobe sans cesse à l'effort des hommes. Et, dans l'ordre économique et politique, elle paraît, de moins en moins réalisable, à mesure que s'exaspèrent les conflits des intérêts individuels et des égoismes nationaux. Cependant, dans l'ordre religieux, voici que l'unité se réalise: c'est celle du Royaume de Dieu, ouvert à toutes les âmes de bonne volonté,qui se groupent autour du divin Roi, l'élu du Père céleste, Notre Seigneur Jésus-Christ[13].

 

Questo progetto di vita ha un obiettivo da raggiungere: la realizzazione del regno di Dio nella giustizia e nella pace, come frutti che vengono dall'unione con Cristo (Gv. 14,17) e che in lui i cristiani già realizzano (1 Cor. 1,30) nel vincolo della carità (Col. 3,15). Questo modo di vivere è una via divina (Gv. 10,10) ed è per tutti gli uomini, senza distinzione di razza e vocazione, è messaggio di salvezza (Mt. 28,19).

 

In Valensin, quindi, troviamo la formulazione attuale del progetto del re eterno, così come nel XX secolo lo Spirito Santo sembra farlo comprendere: l'unità della famiglia umana, come nostalgia e ricerca dell'uomo, come progetto divino già donato e responsabilmente da portare a compimento.

 

 

Henri Pinard de la Boullaye (1874-1958)

 

Se Valensin aveva intuito i segni dei tempi nuovi, nel commento di Pinard de la Boullaye si riscontrano i segni di un nuovo movimento di riflessione sul testo degli Esercizi. Due sono gli aspetti su cui egli ferma la sua attenzione: l'immagine di Cristo re e la forma parabolica del testo.

 

Riflettendo su di essi, il nostro autore chiama “mistica del servizio” il modo in cui sant’Ignazio vive il rapporto con la Trinità e individua, poi, il criterio fondamentale alla luce del quale interpretare e adattare l’esercizio del re: il progetto divino di salvezza universale.

 

Secondo il nostro autore Gesù Cristo può essere presentato in questo esercizio a seconda della immagine-titolo che meglio si adatta alla situazione dell'esercitante. Egli cerca cioè di superare l'apparente assolutezza dell'immagine di Cristo re, non riferendosi direttamente al problema dell’applicazione, ma interrogandosi sul senso e l'utilità dell'immagine parabolica: l'immagine del re ha un senso, perché riesce ad associare strettamente da una parte le dimensioni del servizio e dell'imitazione, dall'altra quella dell'intimità affettiva e della comunità di vita tra il re e i più generosi.

 

Ma è utile per Pinard l'immagine di un re militare? Le considerazioni storiche sulla mentalità cavalleresca di sant’Ignazio non lo convincono del tutto. Sant’Ignazio stesso avrebbe potuto cambiare quella immagine e non l'ha fatto; forse, per decidere di mantenerla, deve averne sperimentato la forza: se gli Esercizi sono un metodo e una disciplina per l'elezione di una vita generosa, radicale e totalitaria, l'immagine del re, quando viene presentata, si rivela la più adatta a scuotere i cuori generosi di apostoli, i “compagni di Gesù”, e a condurli verso l'abnegazione di sé. Non solo, essa esprime più di ogni altra quel rapporto di sant’Ignazio con la Trinità che viene chiamata “mistica del servizio”:

 

Or, à ce stade, l'image du Roi Eternel, désireux de conquérir la terre entière et appelant des volontaires à 'le suivre', c'est-à-dire à partager sa compagnie, ses travaux, ses épreuves, finalement les fruits de sa victoire, est plus apte que toute autre à séduire des coeurs généreux, plus apte aussi à leur faire accepter intégralement la discipline chrétienne [...] Il y a donc lieu de la croire: l'expérience que le saint avait acquise, endonnant ses Exercices, et l'influence surnaturelle de la grâce, si ardemment implorée par lui en toutes ses initiatives, ont dû lui suggérer de conserver telle quelle l'image du Roi conquérant. Non seulement elle avait suscité son premier enthousiame et continuait à le soutenir, mais il avait constaté à quel point elle suscitait et soutenait celui de véritables apôtres, soit en sa Compagnie, soit ailleurs. A la même influence de la grâce doivent être attribués, semblet-il, les deux traits que voici: son insistance sur l'abnégation, son appel à l'amour de l'Homme-Dieu[14].

 

In conclusione, per Pinard si può ammettere l'adattamento dell’esercizio del re a condizione, però, che si tenga ben presente il progetto divino che regola l'economia salvifica presente: il Padre manda il Figlio sulla terra non soltanto per espiare il peccato, non soltanto per essere il modello di tutti i figli adottivi, ma perché l'attrazione della sua Persona faccia desiderare in loro, almeno per amore, l'imitazione più stretta e i sacrifici più dolorosi. Questa comprensione del progetto divino è, quindi, l'idea centrale dell'esercizio del Regno.

 

 

Antonio Encinas (1883-1963)

 

Encinas, ancora, interpretando l’esercizio del re alla luce del vangelo di Giovanni, considera la chiamata personale all’interno di un orizzonte ecclesiale: il cristiano è chiamato ad essere una cosa sola con Cristo, come questi lo è con il Padre, e ad essere membro del Corpo di Cristo cioè della Chiesa.

 

Quando il nostro autore, infatti, parla della santità di Gesù, presenta il modo in cui egli vuole comunicare a ciascun uomo la sua santità infinita:

 

Quitándome los pecados; infundiéndome su propia vida de gracia; acrecentándomela de muchos modos y haciéndome uno con El. «Ego in eis et Tu in me ut sint consummati in unum» (Gv. 17,23)[15].

 

La santità dell'uomo consiste nel “consumarsi in unità” con Gesù ad immagine del rapporto trinitario Padre-Figlio.

 

 Encinas, poi, spiega il termine «con migo», attraverso tre significati della preposizione “con”: 1) al suo fianco; 2) in collaborazione con lui; 3) «como miembro de Cristo, incorporado en El, movido consiguientemente por El, con un trabajo quel el mismo es suyo y mío»[16].

 

Questa unità tra l'esercitante e Gesù Cristo continua anche nella pena:

 

Sufriendo yo los sufrimientos suyos, que son en realidad míos porque El es mi cabeza; y sufriendo El los sufrimientos míos, pues son en realidad suyos porque yo soy miembro suyo[17].

 

Nella gloria, infine, questa unità fa scoprire all'esercitante che l'essere una cosa sola con Cristo è la sua dignità originaria, il senso più profondo della sua vita:

 

En esto está mi dignación: que me he hecho uno con El. Este fué el plan del Rey Eternal al sonar el clarín de guerra y llamarnos a la lucha: no entrar El solo triunfante en el cielo, sino con nosotros, triunfantes con El[18].

 

 

Jean Clémence (1925-1981)

 

Il nostro autore fa esplicito riferimento al comandamento nuovo di Gesù come chiave di lettura dell’esercizio del re.

 

Pas de meilleure formule pout exprimer le contenu réel de l’appel du Roi éternel que le commandement même de Jésus: «Comme je vour ai aimés; aimez-vous les uns le s autres» [Gv. 15,12], dont saint Jean exprime si bien à la fois l’exigence et l’unique motif: «Si Dieu nous a tant aimés; nous devons nous aussi nous aimer les uns les autres» [1Gv. 4,11]. Ce n'est donc à une cause abstraite, à un idéal, que le Christ appelle à se donner; c'est aux hommes, à tous les hommes à sauver, qu'il s'agit de se donner avec lui et comme lui. Il n'y a de don personnel qu'à des personnes[19].

 

Nel comandamento nuovo di Gesù, infatti, troviamo in un'unità indissolubile sia il riferimento all'opera di Gesù, l'amore reciproco, sia alla sua persona, il “come”. Queste due parti del comandamento nuovo, poi, rappresentano anche le due tappe-risposte all'interno della meditazione ignaziana.

 

Dans le commandement chrétien: «Comme je vous ai aimés, aimez-vous les uns les autres» [Gv. 15,12], sont inséparablement liées la cause et la personne: la cause, l'amour mutuel, et la personne, Jésus-Christ, seule sorce de l'amour. Il y a une immanence réciproque de la cause et de la personne: tout le mystère de l'unité du Christ et de l'Eglise, qui est son corps; le Royaume de Dieu, - rassemblement dans l'Eglise à la gloire du Père de tous les hommes, - qui est la cause, c'est Jésus-Christ; Jésus-Christ, - unité de tous les hommes qu'il unit en son corps qui est l'Eglise, - celui qui appelle à servir le Royaume de Dieu, est la cause même. Mais il n'en reste pas moins vrai que la proposition principale affirme la cuase à servir: «aimez-vous les uns les autres». Seul le Christ peut proposer cette cause, parce qu'en dehors de lui elle ne pourrait être ni comprise ni servie, nous allons le voir en suivant saint Ignace jusqu'au terme de sa méditation du Règne. C'est donc bien parce qu'on croit en Jésus-Christ qu'on se donne tout entier au service de la cause; mais, dans la prise de conscience de toute la richesse de la foi, dans le progrès de la foi enfant à la foi adulte, la première étape consiste à découvrir de façon réfléchie la cause à servir, comme la seconde étape consiste à découvrir de façon réfléchie la manière unique de Jésus-Christ, qui nous la propose, lui, le premier et, en un sens, le seul servituer de cette cause[20].

 

Tutta la meditazione, quindi, tende a rivelare la “vita” di Gesù Cristo:

 

Toute la méditation tend à révéler la «vie» de Jèsus-Christ, c'est-à-dire sa cosécration totale, par missiondu Père, au salut des hommes, dans les humiliations et la pauvreté de fait; cette «vie» du Christ,à laquelle le disciple aspire à participer, est obéissance filiale au Père, amour salvifique des hommes, humilité et pauvreté de cœur[21].

 

Inizio

 

 

 



[1] Joseph DE GUIBERT, o cit., 426.

[2] Ibidem, 428.

[3] Ibidem, 430.

[4] Pedro ARRUPE, L'ispirazione trinitaria del carisma ignaziano, suppelemento al n. 6 di "Notizie dei Gesuiti d'Italia", Roma 1980, n. 4, 4 (= Appunti di spiritualità 13).

[5] MONUMENTA IGNAZIANA, serie secunda, Exercitia et eorum directoria. Tomo II, Directoria (1540-1599), MHSI, Roma 1955, doc. 43, c. XIX, n. 1, 669 e 671.

[6] Luis DE LA PALMA, Camino espiritual de la manera que lo enseña el Bieneventurado S. Ignacio en su libro de los Exercicios, Primera parte, Libreria de Jaime Subirana, Barcelona 1860, tomo secondo, ca IX, 186.

[7] Ibidem, 188.

[8] Ibidem, p 189-190.

[9] Antonio CICCOLINI, Raccolta di meditazioni e documenti secondo la materia e la forma proposte da S. Ignazio di Loyola nei suoi esercizi spirituali, 2 voll., Manuelli-Dongo, Firenze-Roma 18802, 184.

[10] Antoine DENIS, Commentarii in Exercitia Spiritualis, 4 voll., excudebant L. & A. Godenne, Malines 1891-1893, vol. II, pars secunda, p 39-40.

[11] Anche Gennaro BUCCERONI nei suoi Esercizi Spirituali proposti dal Bucceroni agli ecclesiastici, secolari, ai religiosi e alle monache per l'annuale ritiro di otto giorni (Tipografia Cooperativa Sociale, Roma 1901), utilizza l'espressione "formare nell'anima Gesù Cristo" ( 113) che ci sembra in linea con il pensiero di Denis.

[12] Moritz MESCHLER, Le livre des Exercices Spirituels de S. Ignace de Loyola. Explique et developpe, Paris 1898, p 121-122. Questo testo è la traduzione del commento agli Esercizi che circolava sotto forma di manoscritto prima di essere pubblicato postumo dal Sierp negli anni 1926-29.

[13] Albert VALENSIN, Initiation aux Exercices spirituels, Imprimerie Catholique, Beyrouth 1940, p 198-199.

[14] Henri PINARD DE LA BOULLAYE, Exercices spirituels selon le methode de S. Ignace, Beauchesne et seu fils, Paris 19507, p 136-137.

[15] Antonio ENCINAS, Los Ejercicios de S. Ignacio. Explanacion y comentario manual para formar directores de Ejercicios y para la oracion mental diaria, Editorial "Sal Terrae", Santander 19532, 294.

[16] Ibidem, 301.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Jean CLEMENCE, Une pédagogie de la foi selon l'évangile. La méditation du Règne, Revue d'ascetique et mystique 32(1956) 145-173.

[20] Ibidem, 160.