Leggendo i testi
ignaziani alla luce delle parole di Chiara Lubich sulla «spiritualità di
comunione», emerge la dimensione «collettiva» dell’esperienza dei gesuiti. Le
tappe di un percorso. Spunti per un dialogo tra il «castello esteriore»
dell’Opera di Maria e il «corpo» della Compagnia di Gesù.
La visione di «Cristo come un sole», che accompagna Ignazio
in tutta la sua vita, concentra in sé la realtà «mistica» della Compagnia, il
suo essere corpo/luce, ed è scelta come simbolo della Compagnia di Gesù:
Poteva trovare Dio in
qualunque momento lo desiderasse. Anche al presente aveva molte visioni, soprattutto
del genere di quelle di cui si è parlato più sopra, e nelle quali vedeva
Cristo come un sole.
Il corpo ha una radice trinitaria:
Primo. Sentiva profonda
devozione verso la santissima Trinità… Un giorno, mentre sui gradini del
convento recitava l’ufficio di nostra Signora, la sua mente cominciò ad
essere rapita: era come se vedesse la santissima Trinità sotto figura di tre
tasti d’organo; e questo con un profluvio di lacrime e di singhiozzi
incontenibili… Questa esperienza gli è rimasta così impressa per tutta la
vita da sentire poi sempre intensa devozione nel rivolgere la sua preghiera
alla santissima Trinità.
Il corpo è luce che crea:
Secondo. Una volta gli si
rappresentò nell’intelletto, insieme con intensa gioia spirituale, il modo
con cui Dio aveva creato il mondo. Gli pareva di vedere una cosa bianca dalla
quale uscivano raggi di luce, ed era Dio che irradiava luce da quella cosa.
Il corpo nel Corpo di Gesù:
Terzo… A Manresa dunque,
ascoltando un giorno la messa nella chiesa del convento, alla elevazione del
Corpo del Signore vide con gli occhi interiori come dei raggi bianchi che
scendevano dall’alto. Questo fenomeno, dopo tanto tempo, egli non lo sa
ricostruire bene; ma ciò che allora comprese, con tutta chiarezza, fu
percepire come era presente in quel santissimo Sacramento Gesù Cristo nostro
Signore.
Il corpo è «uno» nell’umanità
di Cristo e Maria:
Quarto. Molte volte, e
per molto tempo, mentre era in preghiera, gli accadeva di vedere con gli
occhi interiori l’umanità di Cristo, e quello che vedeva era come un corpo
bianco, non molto grande né molto piccolo, ma senza alcuna distinzione di
membra. Ebbe questa esperienza interiore, a Manresa, molte volte; dicendo
venti o quaranta volte non crederebbe di mentire. Un’altra volta l’ebbe a
Gerusalemme, e un’altra mentre era in cammino nei pressi di Padova. Ha visto
anche nostra Signora, nello stesso modo, senza distinzione di membra.
Il corpo ha la
sapienza che discerne:
Quinto. Una volta si
recò, per sua devozione, a una chiesa distante da Manresa poco più di un
miglio: credo che si chiamasse San Paolo. La strada correva lungo il fiume.
Tutto assorbito nelle sue devozioni, si sedette un poco con la faccia rivolta
al torrente che scorreva in basso. E mentre stava lì seduto, gli si aprirono
gli occhi dell’intelletto: non ebbe una visione, ma conobbe e capì molti
principi della vita interiore, e molte cose divine e umane; con tanta luce
che tutto gli appariva come nuovo. Non è possibile riferire con chiarezza le
pur numerose verità particolari che egli allora comprese; solo si può dire
che ricevette una grande luce nell’intelletto.
Rimase un certo tempo in
quello stato; poi andò a inginocchiarsi davanti a una croce, lì vicino, per
ringraziare Dio. E proprio lì gli apparve quella figura che già molte altre volte
aveva contemplato e che non era mai riuscito a comprendere: cioè quella cosa
già descritta sopra, che gli pareva bellissima e con molti occhi. Ma ora,
stando davanti alla croce, vide molto bene che quella cosa tanto affascinante
non aveva la luminosità consueta. Ed ebbe una chiarissima conoscenza, a cui
la volontà aderiva totalmente, che quello era il demonio. E anche in seguito,
per molto tempo, continuò ad apparirgli spesso. Ma egli, in segno di scherno,
la scacciava con il bastone che aveva sempre con sé.
Dopo
l’esperienza di Rouen con il giovane spagnolo, Ignazio lascia i «suoi» compagni per unirsi ai compagni «di
Gesù»:
In questo periodo aveva
contatti con i maestri Pietro Favre e Francesco Xavier che poi conquistò al
servizio di Dio per mezzo degli Esercizi.
Ricorda Favre
molti anni dopo:
Vivevamo sempre insieme,
ripartendo la camera, la mensa, la borsa; e poi egli mi era insegnante di
vita spirituale, dandomi possibilità di ascendere alla conoscenza della
volontà divina e della mia propria. Così fu che divenimmo una cosa sola nei desideri, nella volontà e nel fermo
proposito di scegliere la vita che ora teniamo tutti noi, i quali facciamo o
faremo parte di questa Compagnia, di cui io non sono degno.
I tre
diventano dieci. Il voto di Montmartre, 15.08.1534, festa di Maria
Assunta:
A quel tempo avevano già
deciso, tutti insieme, quello che volevano fare: sarebbero andati a Venezia,
poi a Gerusalemme, e avrebbero speso la loro vita per il bene delle anime. Se
non ottenevano il permesso di stabilirsi a Gerusalemme, tornati a Roma si
sarebbero presentati al Vicario di Cristo perché si servisse di loro dove
giudicava che lo richiedesse la maggiore gloria di Dio e il bene delle anime.
Avevano anche stabilito di attendere l'imbarco per un anno a Venezia; se
entro quell'anno non fossero riusciti a imbarcarsi per il Levante, si
sarebbero considerati sciolti dal voto di andare a Gerusalemme, sarebbero
andati dal Papa, ecc..
Per
l’intercessione di Maria e di Cristo e per la volontà stessa del Padre,
Ignazio, tutti i compagni e la
Compagnia di Gesù vengono «messi con il Figlio». In Ignazio
il corpo della Compagnia di Gesù è unito al Figlio, è «sposato» con il
Figlio:
Aveva deliberato che, una
volta sacerdote, sarebbe
rimasto un anno senza celebrare la messa per prepararvisi e per pregare la Madonna che lo volesse
mettere con il suo Figlio. Un giorno, trovandosi ormai a poche miglia da
Roma, mentre in una chiesa faceva orazione, sentì nell’animo una profonda
mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo
Figlio da non poter più in alcun modo dubitare che di fatto Dio Padre lo
metteva con il suo Figlio.
Laynez, del primo gruppo di gesuiti, ricordando la visione
de La Storta,
mette in evidenza la dimensione collettiva dell’esperienza personale di
Ignazio:
Il primo fondamento di
porre questo nome fu nostro Padre, per questo che io dirò. Venendo noi a Roma
per la via di Siena, nostro Padre, come quello che aveva molti sentimenti
spirituali, et specialmente nella sanctissima Eucharistia, che egli ogni
giorno pigliava, sendoli amministrata o da maestro Pietro Fabro, o da me, che
ogni giorno dicevamo messa, et egli no; mi disse che gli pareva che Dio Padre
gl’imprimesse nel cuore queste parole: - Ego ero vobis Romae propitius -. Et
non sapendo nostro Padre quel che volesseno significare, diceva: - Io non so
che cosa sarà di noi, forse che saremo crocifissi in Roma -. Poi un’altra
volta disse che gli pareva di vedere Christo con la croce in spalla, et il
Padre Eterno appresso che gli diceva: - Io voglio che Tu pigli questo per
servitore tuo -. Et così Gesù lo pigliava, et diceva: - Io voglio che tu ci
serva -. Et per questo, pigliando gran devotione a questo santissimo nome,
volse nominare la congregatione: la Compagnia di Gesu.
Il disegno
di Dio, anticipato nelle visioni di Manresa, si incarna come
Opera-Istituto-Ordine:
Alla fine decidemmo per
la prima alternativa e cioè: dal momento che il Signore nella sua generosa
bontà ha voluto adunare e unire insieme noi, così deboli e provenienti da
regioni e civiltà tanto diverse, non dobbiamo spezzare questa unione e
comunità voluta da Dio; dobbiamo anzi mantenerla salda e rafforzarla,
stringendoci in un solo corpo, attenti e premurosi gli uni verso gli altri,
in vista del bene maggiore delle anime. Il valore di molti uniti insieme ha
certo più vigore e consistenza, per ottenere qualunque arduo risultato, che
non se si disperde in più direzioni… Infine, con l'aiuto del Signore,
giungemmo a questa conclusione espressa a giudizio e voce unanime, e proprio
senza alcun dissenso: per noi è più opportuno, anzi è necessario prestare
obbedienza a uno di noi….
Chiunque, nella nostra
Compagnia che desideriamo insignita del nome di Gesù, vuole militare per
Iddio sotto il vessillo della croce e servire soltanto il Signore ed il
Romano Pontefice suo Vicario in terra, emesso il voto solenne di castità, si
persuada profondamente di far parte di una comunità istituita allo scopo
precipuo di occuparsi specialmente del progresso delle anime nella vita e
nella dottrina cristiana, e della propagazione della fede.
Il
corpo della Compagnia di Gesù nel Corpo di Gesù Eucaristia:
la Oblazione della Compagnia di Gesù,
ovvero, la professione solenne
dei primi gesuiti (Roma, 22.04.1541, altare della Vergine, S. Paolo fuori le
Mura).
Ignazio viene eletto generale l’8 aprile 1541 e confermato
il 13 dello stesso mese.
Gesù Eucaristia fa dei compagni di Gesù, uniti «nel nome
di Gesù», una cosa sola in lui.
Il «corpo di Cristo e Maria», visto nel «paradiso di
Manresa» si attualizza nel corpo della Compagnia di Gesù:
Il venerdì dell’ottava di
Pasqua, 22 aprile, giunti in san Paolo, si riconciliarono tutti e sei gli uni
con gli altri, e fu stabilito fra tutti che Ignazio celebrasse la messa e che
tutti gli altri ricevessero il santissimo Sacramento dalle sue mani,
pronunciando i loro nomi nel modo seguente. Ignazio, durante la messa, al
momento della comunione, tenendo con una mano il Corpo di Cristo nostro
Signore sopra la patena e con l’altra mano un foglio contenente la formula
del suo voto, rivolto verso i suoi compagni posti in ginocchio, dice ad alta
voce le parole seguenti…
Dopo essersi comunicato,
prese cinque ostie consacrate nella patena e rivolto ai compagni, fatta essi
la confessione generale e detto; «Domine, non sum dignus…», ecc., uno di loro
prende in mano il foglio nel quale è stata scritta la formula del suo voto e
dice ad alta voce le seguenti parole… Poi, per ordine, fa lo stesso il
secondo, e così il terzo, il quarto, il quinto.
Finita la messa e fatta
orazione agli altari privilegiati, si riunirono presso l’altare maggiore,
dove ognuno dei cinque si accostò ad Ignazio. Ed avendo Ignazio abbracciato
ciascuno di essi e dato loro il bacio di pace, non senza molta devozione,
affetto e lacrime, posero fine alla loro professione e iniziata vocazione.
Poi sugli intervenuti si fece una costante, crescente e grande tranquillità e
lode di Gesù Cristo nostro Signore.
Nelle
Costituzioni il singolo gesuita viene incorporato nel corpo della Compagnia.
Nel Proemio troviamo la premessa l’amore reciproco e
l’unità come premessa delle Costituzioni:
Benché debba essere la somma Sapienza e Bontà di Dio, nostro Creatore e Signore, a
conservare, guidare, e condurre innanzi nel suo santo servizio questa minima Compagnia
di Gesù, come si è degnata di darle inizio, e da parte nostra debba giovare a
ciò più di ogni altra Costituzione esterna l’intima legge della carità e
dell’amore, che lo Spirito Santo scrive ed imprime nei cuori; tuttavia,
perché l'amabile disposizione della divina Provvidenza sollecita la
cooperazione delle sue creature, e perché tale è l'ordine del Vicario di
Cristo, e gli esempi dei santi e la stessa ragione così c'insegnano nel
Signore nostro, stimiamo necessario scrivere Costituzioni, che aiutino ad
avanzare meglio, conforme al nostro Istituto, nella via intrapresa del
servizio di Dio.
E benché ciò che nel nostro disegno occupa il primo posto e ha maggior peso sia quel che
riguarda il corpo intero della Compagnia, di cui si cerca sopra tutto l’unione,
il buon governo e il mantenimento in buono stato, a maggior gloria di Dio;
tuttavia, poiché questo corpo è formato di membri, e nell’esecuzione viene
anzitutto quel che spetta agli individui, sia quanto all’ammetterli, come
quanto a farli progredire e ripartirli nella vigna di Cristo nostro Signore,
di qui si comincerà con l’aiuto che la Luce eterna si degnerà comunicarci per suo
onore e lode.
Il corpo
della Compagnia di Gesù esiste se è uno e unito dall’amore obbediente.
La Compagnia non può né
conservarsi né reggersi, e perciò neppure raggiungere lo scopo, al quale
tende a maggior gloria di Dio, senza che i suoi membri siano uniti tra loro e
con il proprio capo.
Quello che giova all’unione dei membri della Compagnia tra loro
e con il loro capo gioverà molto anche per conservarne il buono stato. Questo
vale specialmente del vincolo delle volontà, e cioè della carità e dell’amore
degli uni per gli altri… Ma a ciò aiuterà, soprattutto, il vincolo
dell’obbedienza, che unisce i singoli con i loro superiori, e questi tra loro
e con i provinciali, e gli uni e gli altri con il Generale: così da osservare
diligentemente fra tutti la mutua subordinazione.
Il corpo
della Compagnia come mezzo di irradiazione dell’unico amore di Dio:
Il principale vincolo reciproco per l'unione delle membra tra
loro e con il loro capo è l'amore di Dio nostro Signore. Infatti, se
superiore e inferiori staranno molto uniti con la sua divina e somma Bontà,
lo staranno con tutta facilità anche tra loro, in virtù dell'unico amore, che
da essa discenderà e si estenderà a tutto il prossimo, specialmente al corpo
della Compagnia. Sicché la carità, e in genere ogni bontà e virtù, che
faranno avanzare lungo le vie dello Spirito, gioveranno all'unione
scambievole. Aiuterà anche ogni disprezzo delle cose temporali, a causa delle
quali suole cadere nei disordini l'amor proprio, principale nemico
dell'unione e del bene universale. Può anche giovar molto l'uniformità, sia
interna di dottrina, di giudizio e di volontà, per quanto è possibile; sia
esterna, nel vestire, nelle cerimonie della messa e nel resto, quanto sarà
compatibile con le differenti qualità delle persone, dei luoghi, ecc..
Il corpo
della Compagnia ha una dimensione esterna e una interna:
Per conservare e sviluppare non soltanto il corpo, cioè quello
che è esterno della Compagnia, ma anche il suo spirito, e per conseguire il
suo fine, che è di aiutare
le anime al raggiungimento del loro fine ultimo soprannaturale, i mezzi che
congiungono lo strumento con Dio e lo dispongono a lasciarsi guidare dalla
sua mano divina sono più efficaci di quelli che lo dispongono verso gli
uomini… Pertanto, si ritiene che tutti insieme si debba aver cura che tutti
quelli della Compagnia si diano alle solide e perfette virtù e alle cose spirituali,
delle quali deve farsi più conto che delle lettere e degli altri doni
naturali ed umani. Infatti, sono le doti interne che devono rendere efficaci
quelle esterne in vista del fine che si persegue.
… mi si affaccia il
pensiero di Gesù; e avverto
un impulso a seguirlo, parendomi del tutto evidente che il fatto di essere
Lui capo della Compagnia doveva costituire l’argomento più forte di tutti gli
altri motivi umani per scegliere la povertà più completa… E mi pareva, in
qualche modo, che era [opera] della santissima Trinità il fatto che Gesù si
mostrasse o lo sentissi, tornandomi alla memoria quando il Padre mi pose con
il Figlio. [Conferma di Gesù].
Per coloro che hanno già maggior dominio dell’amor proprio stimo
meglio, come ho scritto, di attenersi alla misura della discrezione, senza
sottrarsi all’ubbidienza, virtù che vi raccomando con molta insistenza
assieme a quell’altra che le compendia tutte, tanto raccomandata da Gesù
Cristo, che la chiama il suo comandamento: «Il mio comandamento è che vi
amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Gv 15,12). Bisogna non solo
che manteniate l’unione e l’amore continuo tra voi, ma anche che li
estendiate a tutti, procurando di accendere nelle anime vostre vivi desideri
della salute del prossimo e pensando che ciascuno vale il prezzo del sangue e
della vita che costò a Gesù Cristo. Così, da una parte studiando le lettere e
dall’altra aumentando la carità fraterna, vi renderete perfetti strumenti
della grazia divina e collaboratori nell’opera sublime di riportare a Dio,
fine supremo, le sue creature.
E a voi, fratelli carissimi in Gesù Cristo Dio e S. N., per lui
stesso chiedo che vi rendiate degni della sua visita e dei suoi tesori
spirituali con la purità di cuore, con l’umiltà vera, con uno stesso sentire
e volere da parte di tutti, con la pace esteriore e interiore che accoglie e
fa regnare nell’anima colui che si chiama il «principe della pace» (Is 6,9).
In breve, che tutti formino una sola cosa nel S. N. Gesù Cristo.
Chi viene mandato dall’ubbidienza in un luogo o in un altro,
sebbene solo, non resta separato effettivamente dal suo istituto né con
l’anima né con il corpo finché dura l’unione dell’ubbidienza.
Stia certo, carissimo fratello, che lei, sebbene separato dal
corpo, è intimamente unito con il vincolo della carità da parte nostra e
anche, come penso, da parte sua. Si persuada che è unito non solo con questo
vincolo, ma anche con quello della santa ubbidienza, che lega tutti i membri
della Compagnia in un corpo spirituale, di cui lei fa parte dovunque si trovi.
E come sono certo che da parte sua manterrà, per quanto le sarà
possibile, ogni unione con i nostri, così da parte nostra tenga per certo che
l’avremo sempre nel cuore, dovunque lei si troverà: l’unione interiore sarà
tanto più stretta quanto più lei si allontanerà dalla presenza fisica… anche
quelli che non conosciamo per conversazione esterna, con la stessa carità li
teniamo sempre nel nostro cuore e molto li salutiamo nel Signor nostro.
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