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I Gesuiti all’inizio del Movimento dei Focolari

 

L’incontro con p. Paolo Hnilica e la «congiura»

 

Il «Comitato Mystici Corporis» e la nascita
della «Lega sacerdotale e religiosa»

 

L’incontro con p. Lombardi e la collaborazione
con il «Movimento per un Mondo Migliore»

 

P. Charles Boyer, p. Virginio Rotondi,
p. Giacomo Martegani

 

 

 

lombardi

 

Il ricordo di
Riccardo Lombardi

Cappello

 

L’incontro con
Padre Cappello

Rahner

 

Un testo di Karl Rahner

 

 

 

 

I GESUITI ALL’INIZIO DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI

 

 

F. Ciardi (a cura di), I religiosi nell’Opera di Maria,
in Unità e Carismi, XVI (2006/3-4) 38-56

 

 

L’incontro con p. Paolo Hnilica e la «congiura»[1]

 

Fino al 1954 i religiosi e i sacerdoti diocesani aderivano all’«Ideale» [dell’unità] in maniera individuale. Fu in seguito alla convivenza estiva di quell’anno, chiamata «Giapoli», città di Gesù abbandonato, che si unirono insieme a formare quella che si chiamò «Lega sacerdotale e religiosa». L’occasione fu la presenza di p. Paolo Hnilica, un gesuita slovacco che era stato recluso lunghi mesi in un campo di concentramento comunista. Ne era uscito perché aveva accettato di seguire un corso di studi marxisti. In seguito, nascostamente, era stato consacrato vescovo ed aveva svolto un pericoloso ministero clandestino. Infine, braccato dalla polizia del regime, era fuggito in Occidente passando a nuoto il Danubio.

 

Aveva conosciuto a fondo l’ambiente comunista ateo e diceva che quello era «il corpo mistico di Satana». Era convinto che, come nei tempi passati per ogni male della Chiesa Dio aveva suscitato un santo, anche oggi doveva sicuramente aver preparato un rimedio al male del comunismo. Ma questa volta non sarebbe bastato un santo. L’unico rimedio sarebbe dovuto essere quello di cristiani che vivessero intensamente la loro realtà di Corpo mistico di Cristo.

 

P. Lorenzo Del Zanna, gesuita, a cui p. Hnlica si era rivolto, gli aveva detto che avrebbe potuto trovare quanto cercava nella «Mariapoli», in Trentino. Così nell’estate del 1953 aveva fatto una prima rapida visita alla Mariapoli. Lì si incontrò personalmente con Ginetta Calliari, una delle prime compagne di Chiara, che lo aiutò a scoprire la realtà di Gesù abbandonato. A Natale andò poi a Trento per incontrare Chiara. Quando l’anno successivo tornò in Mariapoli era ormai confermato nell’idea che quella fosse la risposta suscitata da Dio al comunismo ateo. Tuttavia, né Chiara né i cittadini di quella nuova «città» pensavano che la loro vita fosse in funzione anticomunista (non volevano assolutamente essere «contro» nessuno) e che avesse uno scopo od un compito particolare. Però, il padre gesuita (nessuno sapeva ancora che fosse un vescovo) continuava a ripetere che aveva trovato il rimedio al comunismo, perché gli sembrava che il Movimento vivesse l’autentica vita del Corpo mistico di Cristo.

 

Quando Chiara poté parlare con lui personalmente, rimase impressionata dal racconto che le fece e dalla notizia che egli era un vescovo, consacrato in segreto, per la Chiesa del silenzio. Tuttavia gli rispose che i membri di questo nuovo movimento non si erano prefissi scopi particolari se non quello di vivere il Vangelo e di compiere la volontà di Dio. Se poi questo movimento, nei piani di Dio, avesse delle finalità particolari, Lui stesso le avrebbe rivelate al momento opportuno.

 

Davanti alle insistenze del vescovo Chiara pensò di consacrare tutta la Mariapoli al Cuore Immacolato di Maria perché si adempissero i disegni che Dio aveva su di essa. La consacrazione avvenne il 22 agosto 1954, allora festa del Cuore Immacolato di Maria. Soltanto alcuni sapevano come e perché era nata questa consacrazione, perciò, quasi fosse una cospirazione segreta, fu chiamata «la congiura».

 

 

Il «Comitato Mystici Corporis»
e la nascita della «Lega sacerdotale e religiosa»

 

Nello stesso tempo mons. Paolo Hnilica si faceva portavoce della «Chiesa del silenzio» presso la Segreteria di Stato della Santa Sede che pensò ad istituire un comitato di studio sui problemi dell’Est comunista. Nacque così il «Comitato Mystici Corporis». A capo di esso fu posto Mons. Giuseppe Gawlina, un vescovo polacco che era stato Ordinario militare delle truppe del governo polacco in esilio. Segretario del Comitato fu mons. Paolo Hnilica, a cui Chiara, per il suo spiccato timbro mariano, aveva dato un nome nuovo, p. Maria.

 

Mons. Hnilica riteneva che il Comitato, oltre ad uno studio dottrinale, dovesse acquisire e diffondere informazioni e documenti sul comunismo, ma soprattutto provvedere al rimedio, ossia aiutare tutti i cristiani ad essere autenticamente Corpo mistico di Cristo! Su questo, Mons. Gawlina era pienamente d’accordo e disposto ad avvalersi del contributo che potevano offrirgli i nuovi amici di Mons. Hnilica. Come risposta a quella che era stata chiamata «la congiura», nasceva un gruppo che aveva l’intento di intensificare nell’intero popolo di Dio la coscienza del suo essere Corpo mistico di Cristo e quindi risposta alle esigenze del mondo comunista. Il gruppo prese nome di «Lega sacerdotale e religiosa», ed era composto appunto da sacerdoti e religiosi che aderivano all’Opera di Maria. Di fatto era tutto il Movimento dei Focolari che, attraverso la Lega, offriva le sue forze al servizio del «Comitato Mystici Corporis», sentendosi ormai chiamato a portare Dio là dove era negato o ignorato.

 

Per dare attuazione a questo progetto, nel 1956 a Roma in via Capocci, fu aperto un «focolare» per sacerdoti e religiosi appositamente messi a disposizione del «Comitato Mystici Corporis» dai loro rispettivi Superiori. Oltre a p. Paolo Hnilica s.j., ne facevano parte p. Andrea Balbo o.f.m., p. Angelo Beghetto o.f.m.conv., don Giuseppe Savastano[2] e don Giuseppe Leonardi, pallottini, p.  Saverio Cick c.g.g, ecc… «È stata un’esperienza molto bella – racconta uno di loro -. Eravamo di Ordini differenti, ma ci sforzavamo di essere uno tra di noi. Non notavamo neanche di essere vestiti differentemente». Attorno a questo gruppo convergevano e trovavano un legame di comunione gli altri religiosi che condividevano l’esperienza d’unità con l’Opera di Maria.

 

La «Lega sacerdotale e religiosa» lavorava in «squadre» composte da una focolarina, un focolarino, un focolarino sposato, un sacerdote diocesano o religioso. Quest’ultimo era a capo dell’attività esterna di animazione e sensibilizzazione al problema della Chiesa d’oltre cortina. Il gruppo organizzava delle «Giornate», tre domeniche al mese, in differenti parrocchie e diocesi. Ogni «Giornata» svolgeva argomenti diversi e comportava interventi, conferenze, incontri. Gli altri membri dell’Opera intervenivano alle «Giornate» per fare da «fermento» evangelico. Tutta l’Opera era impegnata a suscitare cellule vive di Chiesa, Corpo mistico di Cristo. All’interno della «squadra» la focolarina era l’anima dell’intero gruppo mentre all’esterno, nei rapporti ufficiali con la Gerarchia, il responsabile era il sacerdote o il religioso della «Lega». P. Angelo Lazzarotto, p.i.m.e.  era ad esempio responsabile di Milano; don Giuseppe Savastano di Roma, p. Angelo Beghetto di Trento; p. Andrea Balbo guidava le giornate che si svolgevano in Francia, a Grenoble e a Chambéry.

 

In quegli anni era fuori della norma che religiosi di differenti istituti vivessero assieme per portare avanti un progetto comune. Fu così che i religiosi interessati presero contatto col Segretario della Congregazione per i Religiosi, p. Arcadio Larraona, claretiano, che accolse il progetto con viva soddisfazione, assicurando il suo sostegno[3]. «Andavamo a trovarlo a casa sua ogni quindici, venti giorni, dopo le ore di lavoro – racconta uno dei religiosi -. Egli ci tratteneva con sé per diverse ore. Avevamo così la possibilità di spiegargli a fondo tutto. Una volta ci confidò: “Fin da quando ero giovane sognavo una tale collaborazione tra gli Ordini religiosi. Quanto sarebbe bella la Chiesa se ci fosse questa unità tra tutti gli Ordini religiosi. Io ho lavorato tanto per questo. Adesso vedendo voi, che siete così giovani e che avete questa anima, mi pare un sogno. Non abbiate paura delle difficoltà. Le difficoltà verranno, e tante, ma non abbiate paura. Questa è la strada giusta”».

 

Erano implicati soprattutto i Superiori generali dei Conventuali, p. Costantini; dei Minori, p. Agostino Sepinski; dei Gesuiti, p. Janssen. P. Larraona convocò i tre Superiori generali e insieme concordarono le modalità di convivenza e di lavoro dei religiosi della «Lega». Quegli incontri segnarono l’inizio di una collaborazione tra la Congregazione dei Religiosi e i Superiori generali che poi diede vita all’Unione dei Superiori Generali.

 

In seguito allo studio a cui la Chiesa sottopose l’Opera, il lavoro della «Lega», almeno in Italia, fu l’unica possibilità rimasta al Movimento di poter agire. La «Lega», si diceva allora, faceva da «cappello» all’attività dell’Opera. Veniva usata anche un’altra immagine efficace, quella delle giacche da montagna a doppio colore: al di fuori si vedeva solo il nero (l’attività guidata dal sacerdote o dal religioso), al di dentro il colore azzurro (l’animazione da parte della focolarina e più in generale dell’Opera di Maria).

 

Attraverso le «Giornate» e l’attività della «Lega» furono presi contatti con molti religiosi e sacerdoti che si resero più coscienti della necessità di vivere «a corpo mistico». La rete della «Lega» dei religiosi si estese gradatamente in Italia, in Europa e, grazie agli studenti dei collegi internazionali, e soprattutto ai missionari, nel mondo intero: p. Diederik De Muynk, premonstratense, nel Belgio; p. Mariano Costa Rigo, benedettino, in Brasile; p. Joseph Taschner, verbita, nelle Filippine, p. Angelo Lazzarotto, p.i.m.e., ad Hong Kong…

 

 

L’incontro con p. Lombardi e la collaborazione
con il «Movimento per un Mondo Migliore»
[4]

 

Nel 1958, dopo due anni di tale attività, il «Comitato Mystici Corporis» venne sospeso perché l’Opera era sotto esame da parte della Santa Sede.

 

Ma anche in questo momento di difficoltà un religioso fu lo strumento della Provvidenza perché l’Opera potesse continuare il suo lavoro. Pio XII aveva infatti chiesto a p. Riccardo Lombardi, s.j., fondatore del «Movimento per un mondo migliore», di favorire il proseguimento della vita dell’Opera di Maria. Poiché il Centro di p. Lombardi si trovava fuori della diocesi di Roma egli poté ospitare alcuni membri del Movimento, soprattutto i religiosi e i sacerdoti che furono chiamati a lavorarvi.

 

P. Lombardi aveva partecipato alle Mariapoli del 1956 e 1957 e aveva intuito le potenzialità del nuovo movimento per la vita della Chiesa. Nella primavera del 1956 aveva già organizzato un primo incontro internazionale per religiosi a Villa Mondragone di Frascati. A quell’incontro ne seguirono altri, alcuni di soli religiosi, che potevano sperimentare il valore della comunione tra di loro sul piano dottrinale, spirituale, pastorale, assistenziale, quasi un abbozzo o avvio di una più ampia collaborazione fra tutti gli istituti religiosi nella Chiesa.

 

Il gruppo dei religiosi della «Lega», che precedentemente organizzava le «squadre», si trovò così a collaborare a corsi per sacerdoti, religiosi, suore, laici, nell’ambito delle attività del «Mondo Migliore». Era l’occasione per parlare a tutti dell’Ideale dell’unità e della necessità per la Chiesa di una autentica vita «a Corpo Mistico».

 

Nel 1960 la decisione della Conferenza Episcopale Italiana di proibire ai sacerdoti diocesani di avere rapporti con il Movimento dei Focolari, ebbe ripercussioni indirette anche su alcuni Istituti religiosi i cui superiori chiesero ai propri membri di distanziarsi dall’Opera di Maria. Un gruppo di religiosi, con il consenso dei rispettivi superiori, rimase ugualmente in contatto con l’Opera di Maria per il servizio sacerdotale. A Grottaferrata, dove era iniziata una «Mariapoli permanente» e dove si tenevano corsi di formazione per i membri del Movimento, si costituì un focolare di religiosi, composto da p. Andrea Balbo, p. Saverio Cick, p. Angelo Beghetto.

 

La difficoltà di mantenere i contatti con focolarine e focolarini fu, per molti religiosi, l’occasione per un rapporto più profondo fra di loro. Fino a quel momento essi erano rimasti legati al focolare, da cui attingevano ispirazione e luce per la loro vita. Ora era venuto il momento di iniziare a costruire tra loro stessi l’unità nel nome di Gesù in modo che, secondo la sua promessa, Egli fosse sempre in mezzo a loro (cf. Mt 18,20). Si trattava poi di fomentare una maggiore  unità all’interno delle loro famiglie religiose. Non c’era tanto da parlare, ma da amare ogni prossimo, ogni confratello, a cominciare dal Superiore, mettendosi a sua disposizione, come anche assecondando e servendo gli altri. Si trattava di vivere con fedeltà i propri voti e la propria regola. Nasceva una più visibile intercomunione fra membri di diversi Istituti col mettere «al servizio l’uno dell’altro la grazia avuta, come buoni dispensatori della grazia di Dio» (1Pt 4,10).

 

Poco tempo dopo, il 15 dicembre 1964, l’Opera di Maria fu approvata dalla Congregazione del Concilio.

 

Padre Lombardi e Chiara Lubich. Testimonianza di don Giorgio Marchetti

R. Iaria, Per un mondo nuovo. Vita di padre Riccardo Lombardi,
Ancora, Milano 2009, pp. 151-157

 

 

 

E.M. Fondi – M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo,
San Paolo Edizioni, Milano 2003

 

Negli anni Cinquanta un pioniere dell’ecumenismo, il gesuita francese Charles Boyer, volle sapere di più circa la vita dei Focolari e, conversando a Roma con Chiara, le chiese se il movimento s’interessasse all’ecumenismo. «No», fu la sincera risposta (p. 359).

 

Sempre negli anni Cinquanta e Sessanta vanno situati i contatti con le «Oasi» del gesuita padre Virginio Rotondi (p. 344).

 

Furono le circostanze storiche a favorire, almeno per i sacerdoti e i religiosi, la loro futura integrazione nella famiglia del movimento,. In particolare la nascita della Lega sacerdotale e religiosa (…) Un secondo fatto provvidenziale fu che la Santa Sede scelse, come visitatore e consigliere del movimento per la redazione di una regola, un gesuita, padre Martegani. Egli, studiano a fondo il movimento, vide che questa Lega non era qualcosa di distinto dai Focolari, ma ne era l’espressione ecclesiastica; il Vaticano avrebbe dunque potuto approvare la nascente opera così com’era, compresi i sacerdoti e i religiosi (p. 296).

 

 

 

Il ricordo di Riccardo Lombardi

 

L’ascolto, Collegamento CH, Rocca di Papa, 17.06.1999,
in Costruendo il castello esteriore, Città Nuova, Roma 2002, pp. 79-81

 

 

Carissime, penso oggi di narrarvi un episodio della storia del nostro Movimento, poco o nulla conosciuto, che può darvi gioia. Ne sono venuta a conoscenza anch’io solo recentemente.

 

Era il 1957, anno nel quale avevamo un contatto profondo con una personalità ecclesiastica di valore, allora molto nota: il gesuita padre Riccardo Lombardi, che, ad un certo punto, è stato molto interessato al carisma del nostro Movimento dal quale era fortemente attratto.

 

In quel tempo egli, che la gente chiamava «l’altoparlante di Dio», annunciava sulle piazze d’Italia, gremite di folle attentissime, come nocciolo del suo messaggio, un «ritorno di Gesù»; non certo il ritorno di Gesù alla fine dei tempi, ma un suo ritorno che non precisava.

 

Era estate e i membri del Movimento, presenti in montagna a Fiera di Primiero nel Trentino, stavano dando vita all’ottava Mariapoli estiva.

 

Padre Lombardi era salito lassù, pure lui, per approfondire la nostra vita.

 

Un giorno è stato invitato da qualcuno di quei luoghi a tenere un discorso nella piazza del paese a quanta gente sarebbe arrivata.

 

Poiché, però, in quella valle i principi spirituali del nostro Movimento erano abbastanza noti e si pensava che la gente attendesse dal padre, nostro ospite, qualcosa su di essi, noi, pur contenti di quella circostanza, abbiamo preferito che qualcuno, che conosceva bene il Movimento, aggiungesse a quel discorso qualche parola. Ed era stata incaricata per questo una delle mie prime compagne, la Graziella.

 

Come potrete capire non fu certo facile per lei salire sul palco dopo una così celebre personalità. Ma lo ha fatto per amore.

 

Narrò la piccola-grande storia, perché storia sacra, di un minuscolo popolo, il nostro, visitato pochi anni prima da un carisma dello Spirito Santo.

 

Parlò e non dimenticò certamente uno dei valori spirituali sublimi più tipicamente nostri che il Movimento porta nel suo seno: la presenza di Gesù dove due o più sono uniti nel suo nome, nel suo amore.

 

Mentre stava concludendo il suo intervento, s’accorse che, dietro di lei, qualcuno sembrava piangesse.

 

Si volse: era proprio padre Lombardi, il quale, colpito evidentemente da quelle parole, prese il microfono e disse che era proprio quello il ritorno di Gesù che lui annunciava, del quale si sentiva come un Giovanni Battista.

 

Forse non si fece troppo caso, allora, a quelle parole. Ma io ora, venendone a conoscenza, e per aver sperimentato allora in quell’anima grande la presenza di un dono speciale, ne sono rimasta, con altri, toccata e soprattutto grata.

 

Grata in modo speciale a Dio d’averci ri-rivelato - se così si può dire - una sua presenza, allora poco conosciuta nella Chiesa, almeno nella pratica dei cristiani comuni.

 

Grata per averci suggerito di mettere Gesù fra noi come norma delle norme del nostro agire, in pratica come regola nostra. È Lui, fra il resto, che dà particolare valore a tutto quanto noi facciamo…

 

Gesù in mezzo a noi! È da qualche mese che parliamo di Lui, che ci impegniamo a vivere in maniera tale da non perderlo mai, ma sempre generarlo e rigenerarlo fra noi, come dice Paolo VI[5].

 

Ho sottolineato ultimamente la grandezza di Maria come Madre di Dio. Ho detto quant’è divinamente meraviglioso che come il Padre nella Trinità chiama Figlio il Verbo, così Maria chiami Figlio il Verbo incarnato.

 

Ora penso che non sia sbagliato dire che Gesù in mezzo a noi è figlio del nostro amore reciproco, quindi di noi, perché così è.

 

Non aveva detto un giorno Gesù che chi fa la volontà di Dio è suo fratello, sorella e madre? (cf. Mt 12,47).

 

Possiamo, dunque, anche noi essere, in qualche modo, sua madre.

 

Ma ad un patto però: che ci amiamo come si deve…

 

 

 

L’incontro con Padre Cappello

 

R. Pinassi, I focolarini sposati una «via nuova» nella Chiesa,
Città Nuova, Roma 2007, pp. 96-104.

 

 

Da quanto detto, è comprensibile che nasca una discussione sulla materia del voto. Ci si chiede anche che tipo di voto debba essere emesso: se quello autorizzato da padre Tomasi o il voto di vivere la castità secondo l’enciclica Casti Connubi, cioè l’impegno a vivere come ogni cristiano dovrebbe, rinforzato dal voto.

 

Durante la Mariapoli estiva del 1957 alcuni focolarini e focolarine sposati ne parlano a lungo con Pasquale Foresi.

 

Chiara chiede il parere anche ad alcuni religiosi appartenenti al Movimento, e il 12 febbraio 1958 decide di rivolgersi al gesuita padre Cappello, un famoso giurista[6], consultore di molte congregazioni romane e del papa stesso[7].

 

Il noto gesuita univa ad un’impareggiabile preparazione ed esperienza, un’apertura e una sensibilità alle nuove realtà che sorgevano nella Chiesa.

 

Insieme alla sua attività di professore e consultore, egli «consacrò all’apostolato tutto il tempo libero messo a sua disposizione»[8]: il confessionale ne era lo strumento privilegiato, tanto da essere chiamato «il confessore di Roma». Padre Mondrone, nella sua biografia, sottolinea che, «quando si trattava di incoraggiare opere capaci di una più larga cerchia di bene, il buon Padre ci si metteva un impegno tutto particolare»[9].

 

L’autore prosegue: «Tra questi contatti non mancarono quelli con insigni servi di Dio, con fondatori o fondatrici di nuovi istituti; e furono gli incontri a lui più cari, fossero essi immediati, per interposta persona o solamente epistolari[10]. Padre Cappello viene presentato con una duplice caratteristica: una fedeltà assoluta alla tradizione unita ad una apertura ai segni dei tempi. Risulta che anche dalla cattedra e talvolta al caso morale, non mancava, quando occorresse, di fare accenno alle lacune dell’attuale Codice di diritto canonico, a certe inadeguatezze alle nuove realtà presenti e quindi di insinuare o prospettare gli elementi di uno ius condendum. Era gelosamente rispettoso di quanto è tradizionale e receptum in Ecclesia; ma aveva pure una sensibilità squisita nel cogliere le esigenze nuove venute su coi tempi. L’appello che faceva agli autori del passato non lo rivelò mai uno studioso statico e chiuso. Dato il contatto assiduo con la vitalità pastorale della Chiesa e col mondo delle anime, sorgeva anche in lui l’interrogativo: Come parlerebbero, in questo o quel caso, di fronte a questo o quel problema, quegli stessi autori, se vivessero nel nostro oggi?»[11].

 

Due religiosi, padre Angelo Beghetto e padre Andrea Balbo, inviati da Chiara, si incontrano con lui. Padre Andrea Balbo così ricorda quell’episodio: «Padre Cappello aveva allora 83-84 anni. Noi ci siamo preparati bene. Siamo andati nel suo studio e padre Cappello, udita la nostra esposizione, ha detto che il voto si fa a Dio e di determinate cose, libera la volontà dell’uomo che aderisce a questo e ciascuno si consacra a Dio secondo la natura della sua vocazione. Il voto di castità concepito nel diritto canonico è quello riferito ai vergini, ma lui stava portando avanti degli sposati a cui faceva fare il voto di castità “secondo” lo stato matrimoniale. Non si trattava di entrare nella struttura del diritto canonico, ma di adattare la struttura ai vari stati di essere e di vivere. Questa distinzione è stata la cosa fondamentale. Per cui padre Cappello consigliava che anche gli sposati facessero i loro voti di povertà, castità, obbedienza e ha confermato che la materia del voto c’è, perché è l’uomo che liberamente si consacra a Dio, secondo il suo stato. Mi ricordo che anche per don Foresi questa sua risposta fu una sorpresa. Quando abbiamo ascoltato questo parere di padre Cappello, è stata una liberazione. Infatti nessuno aveva la possibilità di fare delle distinzioni del genere, perché il diritto canonico di allora era molto chiaro: era il Codice del 1917»[12].

 

Padre Cappello, quindi, dopo aver sentito la spiegazione del voto autorizzato da padre Tomasi - racconta padre Balbo -, conferma che può essere considerato un voto di castità e precisa però che non è il caso di metterlo nelle Costituzioni, dove è bene dire che i focolarini sposati vivono la castità secondo il proprio stato; ma, appena un’anima è arrivata a quella data maturità, si può spiegare questo tipo di voto e offrirlo.

 

Padre Andrea Balbo ha poi chiesto a padre Cappello se è necessario il consenso dell’altra parte (del marito o della moglie) e il Padre ha risposto che non lo è; del resto, si comprende che un tale atteggiamento potrebbe non essere compreso, anzi potrebbe risultare una mancanza di amore e il voto perderebbe di significato.

 

La risposta di padre Cappello è motivo di gioia per tutti.

 

 

 


Un TESTO di Karl Rahner

 

C. Lubich, Una spiritualità di comunione,
in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 68-69

 

 

Nello stesso tempo una spiritualità comunitaria è stata prevista per i nostri tempi da teologi contemporanei ed è richiamata dal Vaticano II.

 

Karl Rahner, parlando della spiritualità della Chiesa del futuro, la pensa nella «comunione fraterna in cui sia possibile fare la stessa basilare esperienza dello Spirito». Egli afferma: «Noi anziani siamo stati spiritualmente degli individualisti, data la nostra provenienza e la nostra formazione. (...) Se c’è un’esperienza dello Spirito fatta in comune, comunemente ritenuta tale, (...) essa è chiaramente l’esperienza della prima Pentecoste nella Chiesa, un evento - si deve presumere - che non consistette certo nel casuale raduno di una somma di mistici individualistici, ma nell’esperienza dello Spirito fatta dalla comunità (...). Io penso - continua Rahner - che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada»[13].

 

Il cardinale Montini nel 1957 aveva detto che in questi tempi ormai l’episodio deve farsi costume e che il santo straordinario, pur essendo venerato, cede il posto in certo qual modo alla santità di popolo, al popolo di Dio che si santifica[14].

 

È un’era, dunque, la nostra in cui la realtà della comunione viene in piena luce, in cui si cerca, oltre il Regno di Dio nelle singole persone, anche il Regno di Dio in mezzo alle persone[15].

 

 

 

Inizio

 

 

 

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[1] Cf. G. Zizola, Il microfono di Dio, Mondadori, Milano 1990, pp. 367-370.

[2] Di p. Savastano e del suo contributo al Movimento dei religiosi è stato scritto un profilo da V. Ferrari: Giuseppe Savastano, in Verso la vita. Profili di cristiani autentici (a cura di A. Diana), Città Nuova, Roma 1991, pp. 119-138; G. Savastano, Nessun’anima sfiori la vostra invano. La vita di Micor., Città Nuova, Roma 2003.

[3] In seguito p. Larraona fu nominato Cardinale e Prefetto della Congregazione dei religiosi.

[4] Cf. G. Zizola, Il microfono di Dio, Mondadori, Milano 1990, pp. 387-403.

[5] Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1965, II, pp. 1072-1074.

[6] Padre Felice M. Cappello, nato a Falcade (Belluno) nel 1879, muore a Roma nel 1962 (è stato aperto il suo processo di beatificazione). Su di lui è stata pubblicata una interessante biografia: D. Mondrone SJ, “Il confessore di Roma”. Padre Felice M. Cappello S.J., ed. “La Civiltà Cattolica”, Roma l962[3]. Ordinato sacerdote nel 1902, nel 1904 si laurea in teologia alla facoltà teologica di Bologna, nel 1905 si laurea in filosofia presso l’Accademia di San Tommaso a Roma e nel 1906 si laurea in diritto all’Apollinare. Nell’anno 1905/1906 insegna diritto canonico al seminario di Belluno. Scrive la sua prima opera di canonista nel 1907. Nel 1913 chiede di entrare nella Compagnia di Gesù. Dal 1914 al 1920 insegna al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, dal 1920 inizia l’insegnamento alla Gregoriana, che continua fino al 1959. Collaborerà a «Civiltà Cattolica» e a molte altre riviste e periodici. Numerose le sue pubblicazioni: la sua bibliografia conta 209 titoli (cf. ibid., pp. 270-286). Della sua attività romana padre Mondrone scrive, tra l’altro: «Come canonista, l’arricchimento delle sue esperienze fu dovuto molto ai contatti continui coi vari dicasteri ecclesiastici, essendo egli consultore apprezzatissimo di quasi tutte le Sacre Congregazioni Romane: Concistoriale, degli Affari Orientali, del Concilio, dei Sacramenti, della Commissione per la interpretazione del Codice di Diritto Canonico, della Dataria Apostolica ed in altre straordinarie circostanze, quali il Sinodo Romano e nella preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano Il, come membro della Commissione dei Vescovi e del governo delle diocesi» (ibid., p. 104). Una delle sue opere particolarmente apprezzata è De Sacramentis, di cui Mondrone scrive: «Certi suoi tratti, come i cinque volumi De Sacramentis, sono giudicati perfetti; ma il capolavoro è quello De Matrimonio, che nella giurisprudenza ecclesiastica ha fatto autorità e si trova, quasi sempre, citato insieme a quello del Gasparri e del Wernz Vidal; gode autorità anche presso i giuristi laici» (ibid., p. 108).

[7] Tutto il suo archivio, depositato presso il Vicariato di Roma, è coperto dal segreto istruttorio in quanto è in atto il processo di beatificazione.

[8] D. Mondrone SJ, «Il confessore di Roma». Padre Felice M. Cappello S.J., cit., p. 121.

[9] Ibid., pp. 159-160. Padre Mondrone narra diversi episodi di sostegno a nuove opere (cf. ibid., pp. 160-163).

[10] Ibid., p. 198. E l’autore parla poi a lungo, come esempio, del rapporto di padre Cappello con Don Orione, fondatore della piccola Opera della divina Provvidenza.

[11] Ibid., p. 111.

[12] Incontro con padre Andrea Balbo, 12 febbraio 2006, cit.

[13] K. Rahner, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi - B. Secondin, Brescia 1983, pp. 440-441.

[14] Cf G.B. card. Montini, Discorsi su la Madonna e su i Santi (1955-1962), Milano 1965, pp. 499-500.

[15] La recente lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, dedica tutto un capitolo, il quarto, a quella che il Papa chiama “spiritualità di comunione” (cfr. NMI 42-57) (NdC).