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|
I
GESUITI ALL’INIZIO DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI
F. Ciardi (a cura di), I religiosi nell’Opera di Maria,
in Unità e Carismi, XVI (2006/3-4) 38-56
L’incontro con
p. Paolo Hnilica e la «congiura»
Fino al 1954 i religiosi e i sacerdoti diocesani aderivano
all’«Ideale» [dell’unità] in maniera individuale. Fu in seguito alla
convivenza estiva di quell’anno, chiamata «Giapoli», città di Gesù
abbandonato, che si unirono insieme a formare quella che si chiamò «Lega
sacerdotale e religiosa». L’occasione fu la presenza di p. Paolo Hnilica, un
gesuita slovacco che era stato recluso lunghi mesi in un campo di
concentramento comunista. Ne era uscito perché aveva accettato di seguire un
corso di studi marxisti. In seguito, nascostamente, era stato consacrato
vescovo ed aveva svolto un pericoloso ministero clandestino. Infine, braccato
dalla polizia del regime, era fuggito in Occidente passando a nuoto il
Danubio.
Aveva conosciuto a fondo l’ambiente comunista ateo e diceva che
quello era «il corpo mistico di Satana». Era convinto che, come nei tempi
passati per ogni male della Chiesa Dio aveva suscitato un santo, anche oggi
doveva sicuramente aver preparato un rimedio al male del comunismo. Ma questa
volta non sarebbe bastato un santo. L’unico rimedio sarebbe dovuto essere
quello di cristiani che vivessero intensamente la loro realtà di Corpo
mistico di Cristo.
P. Lorenzo Del Zanna, gesuita, a cui p. Hnlica si era rivolto,
gli aveva detto che avrebbe potuto trovare quanto cercava nella «Mariapoli»,
in Trentino. Così nell’estate del 1953 aveva fatto una prima rapida visita
alla Mariapoli. Lì si incontrò personalmente con Ginetta Calliari, una delle
prime compagne di Chiara, che lo aiutò a scoprire la realtà di Gesù
abbandonato. A Natale andò poi a Trento per incontrare Chiara. Quando l’anno
successivo tornò in Mariapoli era ormai confermato nell’idea che quella fosse
la risposta suscitata da Dio al comunismo ateo. Tuttavia, né Chiara né i
cittadini di quella nuova «città» pensavano che la loro vita fosse in
funzione anticomunista (non volevano assolutamente essere «contro» nessuno) e
che avesse uno scopo od un compito particolare. Però, il padre gesuita
(nessuno sapeva ancora che fosse un vescovo) continuava a ripetere che aveva
trovato il rimedio al comunismo, perché gli sembrava che il Movimento vivesse
l’autentica vita del Corpo mistico di Cristo.
Quando Chiara poté parlare con lui personalmente, rimase
impressionata dal racconto che le fece e dalla notizia che egli era un
vescovo, consacrato in segreto, per la Chiesa del silenzio. Tuttavia gli rispose che i
membri di questo nuovo movimento non si erano prefissi scopi particolari se
non quello di vivere il Vangelo e di compiere la volontà di Dio. Se poi
questo movimento, nei piani di Dio, avesse delle finalità particolari, Lui
stesso le avrebbe rivelate al momento opportuno.
Davanti alle insistenze del vescovo Chiara pensò di consacrare
tutta la Mariapoli
al Cuore Immacolato di Maria perché si adempissero i disegni che Dio aveva su
di essa. La consacrazione avvenne il 22 agosto 1954, allora festa del Cuore
Immacolato di Maria. Soltanto alcuni sapevano come e perché era nata questa
consacrazione, perciò, quasi fosse una cospirazione segreta, fu chiamata «la
congiura».
Il «Comitato
Mystici Corporis»
e la nascita della «Lega sacerdotale e religiosa»
Nello stesso tempo mons. Paolo Hnilica si faceva portavoce
della «Chiesa del silenzio» presso la Segreteria di Stato della Santa Sede che pensò
ad istituire un comitato di studio sui problemi dell’Est comunista. Nacque
così il «Comitato Mystici Corporis». A capo di esso fu posto Mons. Giuseppe
Gawlina, un vescovo polacco che era stato Ordinario militare delle truppe del
governo polacco in esilio. Segretario del Comitato fu mons. Paolo Hnilica, a
cui Chiara, per il suo spiccato timbro mariano, aveva dato un nome nuovo, p.
Maria.
Mons. Hnilica riteneva che il Comitato, oltre ad uno studio
dottrinale, dovesse acquisire e diffondere informazioni e documenti sul
comunismo, ma soprattutto provvedere al rimedio, ossia aiutare tutti i
cristiani ad essere autenticamente Corpo mistico di Cristo! Su questo, Mons.
Gawlina era pienamente d’accordo e disposto ad avvalersi del contributo che
potevano offrirgli i nuovi amici di Mons. Hnilica. Come risposta a quella che
era stata chiamata «la congiura», nasceva un gruppo che aveva l’intento di
intensificare nell’intero popolo di Dio la coscienza del suo essere Corpo
mistico di Cristo e quindi risposta alle esigenze del mondo comunista. Il
gruppo prese nome di «Lega sacerdotale e religiosa», ed era composto appunto
da sacerdoti e religiosi che aderivano all’Opera di Maria. Di fatto era tutto
il Movimento dei Focolari che, attraverso la Lega, offriva le sue forze al servizio del
«Comitato Mystici Corporis», sentendosi ormai chiamato a portare Dio là dove
era negato o ignorato.
Per dare attuazione a questo progetto, nel 1956 a Roma in via
Capocci, fu aperto un «focolare» per sacerdoti e religiosi appositamente
messi a disposizione del «Comitato Mystici Corporis» dai loro rispettivi
Superiori. Oltre a p. Paolo Hnilica s.j., ne facevano parte p. Andrea Balbo
o.f.m., p. Angelo Beghetto o.f.m.conv., don Giuseppe Savastano e don Giuseppe
Leonardi, pallottini, p. Saverio Cick
c.g.g, ecc… «È stata un’esperienza molto bella – racconta uno di loro -.
Eravamo di Ordini differenti, ma ci sforzavamo di essere uno tra di noi. Non
notavamo neanche di essere vestiti differentemente». Attorno a questo gruppo
convergevano e trovavano un legame di comunione gli altri religiosi che
condividevano l’esperienza d’unità con l’Opera di Maria.
La «Lega sacerdotale e religiosa» lavorava in «squadre»
composte da una focolarina, un focolarino, un focolarino sposato, un
sacerdote diocesano o religioso. Quest’ultimo era a capo dell’attività
esterna di animazione e sensibilizzazione al problema della Chiesa d’oltre
cortina. Il gruppo organizzava delle «Giornate», tre domeniche al mese, in
differenti parrocchie e diocesi. Ogni «Giornata» svolgeva argomenti diversi e
comportava interventi, conferenze, incontri. Gli altri membri dell’Opera
intervenivano alle «Giornate» per fare da «fermento» evangelico. Tutta
l’Opera era impegnata a suscitare cellule vive di Chiesa, Corpo mistico di
Cristo. All’interno della «squadra» la focolarina era l’anima dell’intero
gruppo mentre all’esterno, nei rapporti ufficiali con la Gerarchia, il
responsabile era il sacerdote o il religioso della «Lega». P. Angelo
Lazzarotto, p.i.m.e. era ad esempio
responsabile di Milano; don Giuseppe Savastano di Roma, p. Angelo Beghetto di
Trento; p. Andrea Balbo guidava le giornate che si svolgevano in Francia, a
Grenoble e a Chambéry.
In quegli anni era fuori della norma che religiosi di
differenti istituti vivessero assieme per portare avanti un progetto comune.
Fu così che i religiosi interessati presero contatto col Segretario della
Congregazione per i Religiosi, p. Arcadio Larraona, claretiano, che accolse
il progetto con viva soddisfazione, assicurando il suo sostegno. «Andavamo a
trovarlo a casa sua ogni quindici, venti giorni, dopo le ore di lavoro –
racconta uno dei religiosi -. Egli ci tratteneva con sé per diverse ore.
Avevamo così la possibilità di spiegargli a fondo tutto. Una volta ci
confidò: “Fin da quando ero giovane sognavo una tale collaborazione tra gli
Ordini religiosi. Quanto sarebbe bella la Chiesa se ci fosse questa unità tra tutti gli
Ordini religiosi. Io ho lavorato tanto per questo. Adesso vedendo voi, che
siete così giovani e che avete questa anima, mi pare un sogno. Non abbiate
paura delle difficoltà. Le difficoltà verranno, e tante, ma non abbiate
paura. Questa è la strada giusta”».
Erano implicati soprattutto i Superiori generali dei
Conventuali, p. Costantini; dei Minori, p. Agostino Sepinski; dei Gesuiti, p.
Janssen. P. Larraona convocò i tre Superiori generali e insieme concordarono
le modalità di convivenza e di lavoro dei religiosi della «Lega». Quegli
incontri segnarono l’inizio di una collaborazione tra la Congregazione dei
Religiosi e i Superiori generali che poi diede vita all’Unione dei Superiori
Generali.
In seguito allo studio a cui la Chiesa sottopose l’Opera,
il lavoro della «Lega», almeno in Italia, fu l’unica possibilità rimasta al
Movimento di poter agire. La «Lega», si diceva allora, faceva da «cappello»
all’attività dell’Opera. Veniva usata anche un’altra immagine efficace,
quella delle giacche da montagna a doppio colore: al di fuori si vedeva solo
il nero (l’attività guidata dal sacerdote o dal religioso), al di dentro il
colore azzurro (l’animazione da parte della focolarina e più in generale
dell’Opera di Maria).
Attraverso le «Giornate» e l’attività della «Lega» furono presi
contatti con molti religiosi e sacerdoti che si resero più coscienti della
necessità di vivere «a corpo mistico». La rete della «Lega» dei religiosi si
estese gradatamente in Italia, in Europa e, grazie agli studenti dei collegi
internazionali, e soprattutto ai missionari, nel mondo intero: p. Diederik De
Muynk, premonstratense, nel Belgio; p. Mariano Costa Rigo, benedettino, in
Brasile; p. Joseph Taschner, verbita, nelle Filippine, p. Angelo Lazzarotto,
p.i.m.e., ad Hong Kong…
L’incontro con
p. Lombardi e la collaborazione
con il «Movimento per un Mondo Migliore»
Nel 1958, dopo due anni di
tale attività, il «Comitato Mystici Corporis» venne sospeso perché l’Opera
era sotto esame da parte della Santa Sede.
Ma anche in questo momento di difficoltà un religioso fu lo
strumento della Provvidenza perché l’Opera potesse continuare il suo lavoro.
Pio XII aveva infatti chiesto a p. Riccardo Lombardi, s.j., fondatore del
«Movimento per un mondo migliore», di favorire il proseguimento della vita
dell’Opera di Maria. Poiché il Centro di p. Lombardi si trovava fuori della
diocesi di Roma egli poté ospitare alcuni membri del Movimento, soprattutto i
religiosi e i sacerdoti che furono chiamati a lavorarvi.
P. Lombardi aveva partecipato alle Mariapoli del 1956 e 1957 e
aveva intuito le potenzialità del nuovo movimento per la vita della Chiesa.
Nella primavera del 1956 aveva già organizzato un primo incontro
internazionale per religiosi a Villa Mondragone di Frascati. A quell’incontro
ne seguirono altri, alcuni di soli religiosi, che potevano sperimentare il
valore della comunione tra di loro sul piano dottrinale, spirituale,
pastorale, assistenziale, quasi un abbozzo o avvio di una più ampia
collaborazione fra tutti gli istituti religiosi nella Chiesa.
Il gruppo dei religiosi della «Lega», che precedentemente
organizzava le «squadre», si trovò così a collaborare a corsi per sacerdoti,
religiosi, suore, laici, nell’ambito delle attività del «Mondo Migliore». Era
l’occasione per parlare a tutti dell’Ideale dell’unità e della necessità per la Chiesa di una autentica
vita «a Corpo Mistico».
Nel 1960 la decisione della Conferenza Episcopale Italiana di
proibire ai sacerdoti diocesani di avere rapporti con il Movimento dei
Focolari, ebbe ripercussioni indirette anche su alcuni Istituti religiosi i
cui superiori chiesero ai propri membri di distanziarsi dall’Opera di Maria.
Un gruppo di religiosi, con il consenso dei rispettivi superiori, rimase
ugualmente in contatto con l’Opera di Maria per il servizio sacerdotale. A
Grottaferrata, dove era iniziata una «Mariapoli permanente» e dove si
tenevano corsi di formazione per i membri del Movimento, si costituì un
focolare di religiosi, composto da p. Andrea Balbo, p. Saverio Cick, p.
Angelo Beghetto.
La difficoltà di mantenere i contatti con focolarine e
focolarini fu, per molti religiosi, l’occasione per un rapporto più profondo
fra di loro. Fino a quel momento essi erano rimasti legati al focolare, da
cui attingevano ispirazione e luce per la loro vita. Ora era venuto il
momento di iniziare a costruire tra loro stessi l’unità nel nome di Gesù in
modo che, secondo la sua promessa, Egli fosse sempre in mezzo a loro (cf. Mt
18,20). Si trattava poi di fomentare una maggiore unità all’interno delle loro famiglie
religiose. Non c’era tanto da parlare, ma da amare ogni prossimo, ogni
confratello, a cominciare dal Superiore, mettendosi a sua disposizione, come
anche assecondando e servendo gli altri. Si trattava di vivere con fedeltà i
propri voti e la propria regola. Nasceva una più visibile intercomunione fra
membri di diversi Istituti col mettere «al servizio l’uno dell’altro la
grazia avuta, come buoni dispensatori della grazia di Dio» (1Pt 4,10).
Poco tempo dopo, il 15 dicembre 1964, l’Opera di Maria fu
approvata dalla Congregazione del Concilio.
Padre Lombardi e Chiara
Lubich. Testimonianza di don Giorgio Marchetti
R. Iaria, Per un mondo
nuovo. Vita di padre Riccardo Lombardi,
Ancora, Milano 2009, pp. 151-157
E.M. Fondi – M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo,
San Paolo Edizioni, Milano 2003
Negli anni Cinquanta un pioniere dell’ecumenismo, il
gesuita francese Charles Boyer, volle sapere di più circa la vita dei
Focolari e, conversando a Roma con Chiara, le chiese se il movimento
s’interessasse all’ecumenismo. «No», fu la sincera risposta (p. 359).
Sempre negli anni Cinquanta e Sessanta vanno situati i
contatti con le «Oasi» del gesuita padre Virginio Rotondi (p. 344).
Furono le circostanze storiche a favorire, almeno per i
sacerdoti e i religiosi, la loro futura integrazione nella famiglia del
movimento,. In particolare la nascita della Lega sacerdotale e religiosa (…)
Un secondo fatto provvidenziale fu che la Santa Sede scelse, come visitatore
e consigliere del movimento per la redazione di una regola, un gesuita, padre
Martegani. Egli, studiano a fondo il movimento, vide che questa Lega non era
qualcosa di distinto dai Focolari, ma ne era l’espressione ecclesiastica; il
Vaticano avrebbe dunque potuto approvare la nascente opera così com’era,
compresi i sacerdoti e i religiosi (p. 296).
Il
ricordo di Riccardo Lombardi
L’ascolto, Collegamento CH, Rocca di
Papa, 17.06.1999,
in Costruendo il castello esteriore,
Città Nuova, Roma 2002, pp. 79-81
Carissime, penso oggi di narrarvi un episodio della storia del
nostro Movimento, poco o nulla conosciuto, che può darvi gioia. Ne sono
venuta a conoscenza anch’io solo recentemente.
Era il 1957, anno nel quale avevamo un contatto profondo con
una personalità ecclesiastica di valore, allora molto nota: il gesuita padre
Riccardo Lombardi, che, ad un certo punto, è stato molto interessato al
carisma del nostro Movimento dal quale era fortemente attratto.
In quel tempo egli, che la gente chiamava «l’altoparlante di
Dio», annunciava sulle piazze d’Italia, gremite di folle attentissime, come
nocciolo del suo messaggio, un «ritorno di Gesù»; non certo il ritorno di
Gesù alla fine dei tempi, ma un suo ritorno che non precisava.
Era estate e i membri del Movimento, presenti in montagna a
Fiera di Primiero nel Trentino, stavano dando vita all’ottava Mariapoli
estiva.
Padre Lombardi era salito lassù, pure lui, per approfondire la
nostra vita.
Un giorno è stato invitato da qualcuno di quei luoghi a tenere
un discorso nella piazza del paese a quanta gente sarebbe arrivata.
Poiché, però, in quella valle i principi spirituali del nostro
Movimento erano abbastanza noti e si pensava che la gente attendesse dal
padre, nostro ospite, qualcosa su di essi, noi, pur contenti di quella
circostanza, abbiamo preferito che qualcuno, che conosceva bene il Movimento,
aggiungesse a quel discorso qualche parola. Ed era stata incaricata per
questo una delle mie prime compagne, la Graziella.
Come potrete capire non fu certo facile per lei salire sul
palco dopo una così celebre personalità. Ma lo ha fatto per amore.
Narrò la piccola-grande storia, perché storia sacra, di un
minuscolo popolo, il nostro, visitato pochi anni prima da un carisma dello
Spirito Santo.
Parlò e non dimenticò certamente uno dei valori spirituali
sublimi più tipicamente nostri che il Movimento porta nel suo seno: la
presenza di Gesù dove due o più sono uniti nel suo nome, nel suo amore.
Mentre stava concludendo il suo intervento, s’accorse che,
dietro di lei, qualcuno sembrava piangesse.
Si volse: era proprio padre Lombardi, il quale, colpito
evidentemente da quelle parole, prese il microfono e disse che era proprio
quello il ritorno di Gesù che lui annunciava, del quale si sentiva come un
Giovanni Battista.
Forse non si fece troppo caso, allora, a quelle parole. Ma io
ora, venendone a conoscenza, e per aver sperimentato allora in quell’anima
grande la presenza di un dono speciale, ne sono rimasta, con altri, toccata e
soprattutto grata.
Grata in modo speciale a Dio d’averci ri-rivelato - se così si
può dire - una sua presenza, allora poco conosciuta nella Chiesa, almeno
nella pratica dei cristiani comuni.
Grata per averci suggerito di mettere Gesù fra noi come norma
delle norme del nostro agire, in pratica come regola nostra. È Lui, fra il
resto, che dà particolare valore a tutto quanto noi facciamo…
Gesù in mezzo a noi! È da qualche mese che parliamo di Lui, che
ci impegniamo a vivere in maniera tale da non perderlo mai, ma sempre
generarlo e rigenerarlo fra noi, come dice Paolo VI[5].
Ho sottolineato ultimamente la grandezza di Maria come Madre di
Dio. Ho detto quant’è divinamente meraviglioso che come il Padre nella
Trinità chiama Figlio il Verbo, così Maria chiami Figlio il Verbo incarnato.
Ora penso che non sia sbagliato dire che Gesù in mezzo a noi è
figlio del nostro amore reciproco, quindi di noi, perché così è.
Non aveva detto un giorno Gesù che chi fa la volontà di Dio è suo
fratello, sorella e madre? (cf. Mt 12,47).
Possiamo, dunque, anche noi essere, in qualche modo, sua madre.
Ma ad un patto però: che ci amiamo come si deve…
L’incontro
con Padre Cappello
R. Pinassi, I focolarini
sposati una «via nuova» nella Chiesa,
Città Nuova, Roma 2007, pp. 96-104.
Da quanto detto, è comprensibile che nasca una discussione
sulla materia del voto. Ci si chiede anche che tipo di voto debba essere
emesso: se quello autorizzato da padre Tomasi o il voto di vivere la castità
secondo l’enciclica Casti Connubi,
cioè l’impegno a vivere come ogni cristiano dovrebbe, rinforzato
dal voto.
Durante la
Mariapoli estiva del 1957 alcuni focolarini e focolarine
sposati ne parlano a lungo con Pasquale Foresi.
Chiara chiede il parere anche ad alcuni religiosi appartenenti
al Movimento, e il 12 febbraio 1958 decide di rivolgersi al gesuita padre Cappello, un
famoso giurista,
consultore di molte congregazioni romane e del papa stesso.
Il noto gesuita univa ad un’impareggiabile preparazione ed
esperienza, un’apertura e una sensibilità alle nuove realtà che sorgevano
nella Chiesa.
Insieme alla sua attività di professore e consultore, egli
«consacrò all’apostolato tutto il tempo libero messo a sua disposizione»: il confessionale ne
era lo strumento privilegiato, tanto da essere chiamato «il confessore di
Roma». Padre Mondrone, nella sua biografia, sottolinea che, «quando si
trattava di incoraggiare opere capaci di una più larga cerchia di bene, il
buon Padre ci si metteva un impegno tutto particolare».
L’autore prosegue: «Tra questi contatti non mancarono quelli
con insigni servi di Dio, con fondatori o fondatrici di nuovi istituti; e
furono gli incontri a lui più cari, fossero essi immediati, per interposta
persona o solamente epistolari. Padre Cappello
viene presentato con una duplice caratteristica: una fedeltà assoluta alla
tradizione unita ad una apertura ai segni dei tempi. Risulta che anche dalla
cattedra e talvolta al caso morale, non mancava, quando occorresse, di fare accenno
alle lacune dell’attuale Codice di diritto canonico, a certe inadeguatezze
alle nuove realtà presenti e quindi di insinuare o prospettare gli elementi
di uno ius condendum. Era
gelosamente rispettoso di quanto è tradizionale e receptum in Ecclesia; ma
aveva pure una sensibilità squisita nel cogliere le esigenze nuove
venute su coi tempi. L’appello che faceva agli autori del passato non lo
rivelò mai uno studioso statico e chiuso. Dato il contatto assiduo con la
vitalità pastorale della Chiesa e col mondo delle anime, sorgeva anche in lui
l’interrogativo: Come parlerebbero, in questo o quel caso, di fronte a questo
o quel problema, quegli stessi autori, se vivessero nel nostro oggi?».
Due religiosi, padre Angelo Beghetto e padre Andrea Balbo,
inviati da Chiara, si incontrano con lui. Padre Andrea Balbo così ricorda
quell’episodio: «Padre Cappello aveva allora 83-84 anni. Noi ci siamo
preparati bene. Siamo andati nel suo studio e padre Cappello, udita la nostra
esposizione, ha detto che il voto si fa a Dio e di determinate cose, libera
la volontà dell’uomo che aderisce a questo e ciascuno si consacra a Dio
secondo la natura della sua vocazione. Il voto di castità concepito nel
diritto canonico è quello riferito ai vergini, ma lui stava portando avanti degli
sposati a cui faceva fare il voto di castità “secondo” lo stato matrimoniale.
Non si trattava di entrare nella struttura del diritto canonico, ma di
adattare la struttura ai vari stati di essere e di vivere. Questa distinzione
è stata la cosa fondamentale. Per cui padre Cappello consigliava che anche
gli sposati facessero i loro voti di povertà, castità, obbedienza e ha
confermato che la materia del voto c’è, perché è l’uomo che liberamente si
consacra a Dio, secondo il suo stato. Mi ricordo che anche per don Foresi
questa sua risposta fu una sorpresa. Quando abbiamo ascoltato questo parere
di padre Cappello, è stata una liberazione. Infatti nessuno aveva la
possibilità di fare delle distinzioni del genere, perché il diritto canonico
di allora era molto chiaro: era il Codice del 1917».
Padre Cappello, quindi, dopo aver sentito la spiegazione del
voto autorizzato da padre Tomasi - racconta padre Balbo -, conferma che può
essere considerato un voto di castità e precisa però che non è il caso di
metterlo nelle Costituzioni, dove è bene dire che i focolarini sposati vivono
la castità secondo il proprio stato; ma, appena un’anima è arrivata a quella
data maturità, si può spiegare questo tipo di voto e offrirlo.
Padre Andrea Balbo ha poi chiesto a padre Cappello se è
necessario il consenso dell’altra parte (del marito o della moglie) e il
Padre ha risposto che non lo è; del resto, si comprende che un tale
atteggiamento potrebbe non essere compreso, anzi potrebbe risultare una
mancanza di amore e il voto perderebbe di significato.
La risposta di padre Cappello è motivo di gioia per tutti.
Un TESTO di Karl Rahner
C. Lubich, Una
spiritualità di comunione,
in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 68-69
Nello stesso tempo una spiritualità comunitaria è stata
prevista per i nostri tempi da teologi contemporanei ed è richiamata dal
Vaticano II.
Karl Rahner, parlando della spiritualità della Chiesa del
futuro, la pensa nella «comunione fraterna in cui sia possibile fare la
stessa basilare esperienza dello Spirito». Egli afferma: «Noi anziani siamo
stati spiritualmente degli individualisti, data la nostra provenienza e la
nostra formazione. (...) Se c’è un’esperienza dello Spirito fatta in comune,
comunemente ritenuta tale, (...) essa è chiaramente l’esperienza della prima
Pentecoste nella Chiesa, un evento - si deve presumere - che non consistette
certo nel casuale raduno di una somma di mistici individualistici, ma
nell’esperienza dello Spirito fatta dalla comunità (...). Io penso - continua
Rahner - che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione
spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un
ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire
lungo questa strada».
Il cardinale Montini nel 1957 aveva detto che in questi tempi
ormai l’episodio deve farsi costume e che il santo straordinario, pur essendo
venerato, cede il posto in certo qual modo alla santità di popolo, al popolo
di Dio che si santifica.
È un’era, dunque, la nostra in cui la realtà della comunione
viene in piena luce, in cui si cerca, oltre il Regno di Dio nelle singole
persone, anche il Regno di Dio in mezzo alle persone.
Inizio
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