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L’incontro con Ignazio
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Un’espressione di Ignazio
sull’obbedienza

 

Ignazio e la comunione
delle esperienze

 

Ignazio e l’unità

 

Chiara medita gli
Esercizi spirituali

 

 

 

 

L’ESPERIENZA DEL PARADISO

 

C. Lubich, Paradiso ’49. Una narrazione vent’anni dopo, in «Nuova Umanità» 234 (2019/2) p. 16[1].

 

L’impressione che ne ho avuto stamane è che, veramente, è successo allora [nel 1949, ndr] quello che è successo subito dopo la conversione di sant’Ignazio. Quindi, non per merito suo, così non per merito mio, né per merito di nessuno.

 

È stata proprio la visione religiose dell’universo, la visione religiosa del mondo. Cioè come Dio vede il mondo, come Dio vede le cose, come Dio vede le creature, come Dio vede il Paradiso.

 

 

 

L’incontro con Ignazio a Manresa

 

C. Lubich, Miniera d’oro, Collegamento CH, Castel Gandolfo, 26.12.2002,
in Id., In unità verso il Padre, Città Nuova, Roma 2004, pp. 106-107

 

 

Incontrando a Manresa Ignazio, ad Avila Teresa, a Segovia Giovanni della Croce, ho trovato dei «giganti» della santità, che hanno raggiunto gloriosamente la mèta, camminando per vie spirituali, individuali, personali.

 

Gli episodi straordinari della loro vita, le parole sante da loro dette, quelle divine udite, i vari ambienti che li ricordano in uno o in un altro atteggiamento del loro essere, e profumano ancora dell’ardentissimo amore per Dio di queste anime elette, hanno avuto su di me un notevole, forte impatto; vi hanno scavato un insaziabile desiderio: quello di approfondire, di sviluppare al massimo l’aspetto individuale, che prevede anche la nostra «spiritualità dell’unità», che è comunitaria e personale insieme.

 

Ho avvertito dentro di me l’urgenza, la necessità e la bellezza di rivedere i momenti sacri che la volontà di Dio su di noi ha riservato a questo scopo, e di adempiere, con moltiplicato impegno, quegli obblighi che concretizzano il nostro rapporto con Dio. Obblighi diversi secondo le nostre vocazioni, ma che per noi focolarini sono, ad esempio, le preghiere in diverse ore della giornata, la meditazione quotidiana, la recita del rosario, l’assistere alla santa Messa con la partecipazione all’Eucaristia, la visita a Gesù nel Santissimo Sacramento, l’esame di coscienza e gli «strumenti» della nostra santità. Doveri questi, in genere, di ogni giorno. E poi la confessione ogni 15 giorni, il ritiro mensile e gli esercizi spirituali una volta l’anno.

 

Si tratta di quelle pratiche che noi definiamo il «vestito» che indossiamo, premessa per poter poi uscire ad amare i fratelli. Sì: il vestito! Ma di quale vestito si tratta? È il vestito d’oro dell’unione con Dio. è e deve essere oro, oro, oro. E può diventare miniera d’oro se si accresce amando fuori, per Dio, i fratelli.

 

 

 

Un’espressione di Ignazio sull’obbedienza

 

C. Lubich, Inesistenza, Collegamento CH, Rocca di Papa, 18.06.1998,
in Id., Costruendo il «castello esteriore», Città Nuova, Roma 2002, pp. 52-53

 

 

È un’umiltà, un’inesistenza che va vissuto sempre; è base del vero amore, nostra tipica vocazione, ed effetto di essa.

 

Per sant’Ignazio di Loyola l’obbedienza era un’espressione del suo carisma. Egli usava, per spiegare il modo di viverla, un paragone un po’ macabro, che oggi non si amerebbe formulare, ma efficace: per obbedire bene - diceva - occorre essere come un cadavere. Lo si può disporre in una maniera o in un’altra ed è sempre pronto ad adeguarsi.

 

Un paragone non bello certamente, ma che non è lontano dal nostro modo, ad esempio, di pensare l’amare, la pratica dell’amare. Anche noi, per amare bene, dobbiamo essere “morti” a noi stessi, o meglio: non essere.

 

Dobbiamo “non essere” per essere l’altro, Dio, nella sua volontà, o il fratello. Dobbiamo vivere in pieno la nostra inesistenza.

 

 

 

Ignazio e la comunione delle esperienze

 

C. Lubich, Comunione delle esperienze della Parola di vita,
Collegamento CH, Rocca di Papa, 27.10.1994,
in Id., Santità di popolo, Città Nuova, Roma 2001, pp. 29-30

 

 

Noi siamo chiamati a mettere in comune le nostre esperienze su di essa. Perché? Perché il Signore vuole così in una spiritualità collettiva ed il non praticare questa comunione è una grave omissione.

 

I santi non dubitano tanto ad attribuire al nemico degli uomini (al diavolo) questa trasgressione.

 

Sant’Ignazio di Loyola parla in una sua lettera della «falsa umiltà» come di un’arma che il diavolo usa per danneggiare le persone. Dice: «Vedendo il servo di Dio tanto buono e umile che... pensa di essere del tutto inutile... gli fa pensare che, se parla di qualche grazia [come sarebbe la luce che viene dal vivere la Parola, aggiungiamo noi], se parla di qualche grazia concessagli da Dio Nostro Signore, grazia di opere, propositi e desideri, pecca con [una] specie di vanagloria perché parla a suo onore. Procura quindi che non parli dei benefici ricevuti dal suo Signore, impedendo così di produrre frutto in altri e in se stesso, dato che il ricordo dei benefici aiuta sempre a cose più grandi»[2].

 

Io aggiungerei che qualche volta non si pratica la comunione sulle esperienze della Parola di vita per pigrizia, o perché trascinati da un falso attivismo e più portati quindi a guardare fuori piuttosto che dentro.

 

 

 

Ignazio e l’unità

 

C. Lubich, I santi e l’unità, in Gen’s XV (1985/4) 8

 

 

Un altro santo del XVI secolo che parla d’unità e sant’Ignazio di Loyola (1491-1556). Mentre era ancora vivente, la Compagnia di Gesù si diffuse in tutto il mondo; e Ignazio sentiva la necessità di aiutare i suoi membri ad essere uniti tra loro e con i loro superiori. A questo argomento è dedicata una parte delle Costituzioni.

 

«Quanto più è difficile l’unione dei membri di questa congregazione con il loro capo e tra di loro, dato che essi sono così sparsi nelle diverse parti del mondo tra fedeli e infedeli, tanto più si deve cercare quello che è di aiuto per essa…»[3].

 

Ed elenca ciò che può aiutare l’unione: «Il principale vincolo che… concorre all’unione dei membri tra di loro e con il loro capo, è l’amore di Dio nostro Signore»[4].

 

Ignazio vede poi nella povertà e nell’obbedienza un altro aiuto all’unità: «A questo amore giova (conservare e rafforzare) il vincolo dell’obbedienza»[5].

 

«E, … (sarà pure di aiuto) ogni disprezzo delle cose temporali, nelle quali l’amor proprio, principale nemico di quest’unione e del bene universale, trova occasione di deviazione»[6].

 

Ignazio poi non disprezza nemmeno altri mezzi interni (così li chiama) che servono, secondo lui, all’unità e sono, in pratica, l’unità di pensiero (di dottrina, di giudizio) e l’unità di volontà. Così vede utili anche dei mezzi esterni.

 

«Può aiutare – afferma – molto anche l’uniformità, tanto interna di dottrina, di giudizio e di volontà… quanto esterna nel modo di vestire, nelle cerimonie della Messa e nel resto…»[7].

Nelle Costituzioni, in una parte dedicata ai giovani in prova della Compagnia, scrive:

 

«Per quanto sarà possibile “idem sapiamus, idem dicamus ombre” («Abbiano tutti gli stessi sentimenti, lo stesso linguaggio»: adattamento di Fil 2,2 e di 1Cor 1,10). E non si ammettono dottrine differenti né a voce, in prediche… né per iscritto nei libri, che non sarà lecito pubblicare senza l’approvazione e il permesso del preposito generale… E, anche nel giudizio delle cose agibili, si cerchi di evitare… la diversità che suole essere madre della discordia…»[8].

 

Così Ignazio vede nella comunicazione di notizie fra i vari membri un altro aiuto all’unità:

 

«… A questo amore giova avere… notizie gli uni degli altri, mantenersi molto in comunicazione…»[9].

 

Ed Ignazio, al pari di Caterina, è fortissimo quando si tratta di disunità:

 

«Chi risulta autore di divisione tra quelli che vivono insieme, o tra di loro o con il loro capo, deve essere mandato via con grande sollecitudine da quella comunità come peste che può contagiare molto, se non ci si mette subito rimedio»[10].

 

 

 

Chiara medita gli Esercizi spirituali

 

C. Lubich, Diario 1964-65, Città Nuova, Roma 1985, pp. 59-67

C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli, Città Nuova, Roma 1994, pp. 82-85

 

 

18 maggio 1964

 

Il Giornale dell’anima di Papa Giovanni mia ha messo il desiderio in cuore di conoscer gli Esercizi spirituali di s. Ignazio, così come li ha scritti lui. Per puro caso – non so chi li abbia portati in casa mia – li ho trovati, tra i pochi libri. Che sia proprio volontà del Signore trovare ora Dio in questo preziosissimo capolavoro?

 

 

20 maggio

 

C’è negli Esercizi spirituali di s. Ignazio una definizione della «desolazione», che è una «consolazione», per l’anima che si trova in questo stato, al solo leggerla. È preceduta da una definizione della consolazione.

 

«Chiamo consolazione quando nell’anima si produce qualche mozione interiore, con la quale l’anima viene ad infiammarsi nell’amore del suo Creatore e Signore, e, per conseguenza, quando non può amare in sé nessuna cosa creata sulla faccia della terra, ma tutte nel loro Creatore. Così pure quando versa lacrime che la muovono all’amore del suo Signore, sia per il dolore dei suoi peccati, o della Passione di Cristo Nostro Signore, o per altre cose direttamente ordinate al suo servizio e alla sua lode. Finalmente chiamo consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità, e ogni letizia interiore che chiama e attrae alle realtà celesti e alla salvezza dell’anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore.

 

«… Chiamo desolazione tutto il contrario… come oscuramento dell’anima, turbamento in essa, mozione verso le cose basse e terrene, inquietudine di varie agitazioni e tentazioni, che muovono a diffidenza, senza speranza, trovandosi (l’anima) tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore. Perché, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che sorgono dalla consolazione sono contrari a quelli che sorgono dalla desolazione»[11].

 

La «desolazione» è un nome che assomiglia molto a «Desolata». Occorre essere pronti ad esser provati con queste «desolazioni» forse, per esser coerenti al nostro «cercare la Desolata».

 

 

21 maggio

 

Continuo a leggere – durante la meditazione – gli Esercizi spirituali di s. Ignazio. Ho l’impressione di avere un tesoro nelle mani. Penso che anche i focolarini dovranno conoscerli a fondo. Naturalmente vanno spiegati, perché non si pensi di uscire con essi dalla nostra linea spirituale. Se i discorsi, infatti, riguardanti la nostra spiritualità, risultarono per noi e risultano ogni giorno per molti l’occasione decisiva, alle volte, per la conversione, il focolarino – in quanto tale – ha il dovere annuale degli esercizi spirituali.

 

Ed è proprio della nostra spiritualità, come ho già detto altre volte, imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma.

 

È magnifico: ogni tanto Dio ci fa incontrare un santo, specializzato in un dato aspetto della vita cristiana, per aiutarci e sottolinearci con un’altra luce la vita che l’Eterno ha pensato per noi e che è contemplata nello Statuto.

 

Così è stato per la meditazione quando abbiamo conosciuto s. Teresa d’Avila.

 

 

22 maggio

 

Da s. Ignazio ho appreso cose meravigliose.

 

I suoi esercizi spirituali sono un vero metodo, ispirato da Dio, per chiamare a raccolta tutte le facoltà dell’anima e far prendere per ora e per il futuro delle decisioni serie, adatte anche alle anime più delicate, onde siano al servizio di Dio e si pongano in condizioni favorevoli allo sviluppo d’una solida santità…

 

Inoltre, ieri, nei pochi brani che ho letto, ho visto come per s. Ignazio fosse di grande importanza vivere l’attimo presente che s. Caterina da Genova chiamava il «momento di Dio».

 

Ho imparato che un sistema per far bene le pratiche di pietà è quello di dar ad esse il tempo stabilito e prolungarlo per qualche minuto, qualora si fosse portati a diminuirlo. Tutto ciò perché coloro che fanno le pratiche di pietà raccorciate finiscono coll’essere soddisfatti di esse e magari col trascurarle. Mentre, prolungando un po’ il tempo, dice s. Ignazio, ci si avvezza «non solo a vincere l’avversario, ma a prostrarlo».

 

Durante gli esercizi poi s. Ignazio non vuole che si influisca sulle anime per scegliere uno stato o l’altro, ma che si lasci a Dio di manifestare la sua volontà nell’anima.

 

Anche il nostro Ideale insegna a comportarsi così coll’indifferenza verso lo stato (verginità o matrimonio, ecc.), ma con tutto lo zelo perché le anime facciano bene la divina volontà.

Infine s. Ignazio insiste sul distacco dal proprio lavoro o ufficio, qualora a questo ci si sentisse legati.

 

Anche noi, se viviamo il nostro spirito, avremo un solo grande amore: Dio, e per Lui tutte le creature.

 

Ho trovato dunque un nuovo amico: s. Ignazio che mi conferma la mia vita e offre a me e a noi uno dei migliori frutti del dono che ha ricevuto da Dio non solo per sé, ma per molti: gli Esercizi spirituali.

 

Avverto che Dio ce lo ha messo accanto perché sia annoverato fra i santi che dobbiamo venerare come nostri protettori: s. Teresa, s. Chiara, s. Francesco, s. Benedetto, s. Caterina, s. Giovanni Bosco, ecc., tutti quelli che via via sembra si siano accostati alla nostra Opera per incoraggiarla, illuminarla, aiutarla.

 

 

27 maggio

 

Negli Esercizi spirituali di s. Ignazio ho visto come, nella seconda settimana, egli voglia che si contempli Gesù nel suo mistero dell’incarnazione, in maniera da pensarlo uomo, così come era qui sulla terra, e un po’ come anch’io l’ho immaginato quando sono stata in Terra Santa.

 

Ha ragione: perché Gesù, essendosi fatto uomo, non è lontano da noi, ed è nostro dovere ricordarlo così com’era in terra. Lo si impari ad amare di più e si applichino tutte le facoltà e persino i sensi in questa contemplazione.

 

 


4 giugno

 

S. Ignazio sottolinea che è tanto importante, prima d’entrare nell’orazione, riposare un po’ lo spirito, sedendo passeggiando…

 

È vero; non si può affrontare ogni volta l’orazione senza un po’ d’attesa, anche se quello che abbiamo fatto fosse nella sua volontà. Occorre prepararvisi. Ma che spavento si prova alle volte al vedere, iniziando la preghiera, che si deve «sterzare» l’anima per orientarla a Te. Che cos’è, mio Dio, che ci separa ancora da Te? Ha ragione s. Ignazio a dire che occorre «esercitarsi» nello spirito come un atleta lo fa con il corpo. E per noi, al fine di non moltiplicare le pratiche di pietà, basta essere ogni istante la «Parola di Vita» viva.

 

 

11 giugno

 

Ho finito gli Esercizi spirituali di s. Ignazio. Riporto qui alcune «regole per sentire conforme allo spirito della Chiesa militante, o le regole dell’ortodossia cattolica».

«… Dobbiamo tener l’animo apparecchiato e pronto a ubbidire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica.

«… lodare il confessarsi al sacerdote e il ricevere il Santissimo Sacramento…

«… lodare il sentir Messa frequentemente; così pure i canti, i salmi e le lunghe preghiere in chiesa e fuori;

«… lodare molto gli Ordini religiosi, la verginità e la continenza…

«… lodare i voti di religione, di obbedienza, di povertà, di castità…

«… lodare le reliquie dei santi, venerando quelle e pregando questi;

«… lodare le ordinazioni circa i digiuni e astinenze… così pure le penitenze, non solo interne, ma anche esterne.

«… lodare ornamenti e edifici di chiese; similmente immagini, e venerarle secondo quello che rappresentano.

«… lodare finalmente tutti i precetti della Chiesa…

«… dobbiamo esser più pronti ad approvare e lodare tanto le leggi e le raccomandazioni, quanto le usanze dei nostri superiori;

«… lodare la dottrina positiva e scolastica…

«… dobbiamo guardarci dal fare confronti tra coloro che sono in vita e i beati passati; perché non poco si sbaglia in questo, cioè nel dire: “costui ne sa più di s. Agostino, è un altro o più che s. Francesco; è un altro s. Paolo in bontà, santità, ecc.”.

«… per esser certi in tutto, dobbiamo sempre ritenere che il bianco che io vedo, creda che sia nero, se la Chiesa gerarchica così determina, credendo che tra Cristo nostro Signore, Sposo, e la Chiesa, sua Sposa, è lo stesso Spirito che ci governa e regge per la salvezza delle anime nostre, perché la nostra Santa Madre Chiesa è retta e governata dal medesimo Spirito e Signor Nostro, che diede i dieci comandamenti…

«… sebbene si debba stimare sopra ogni cosa il molto servire a Dio nostro Signore per puro amore, dobbiamo tuttavia lodare molto il timore di sua divina Maestà; perché non soltanto il timore filiale è cosa pia e santissima, ma anche il timore servile…».

 

 

 

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[1] Dalla Introduzione di R. Simon: “Il primo gennaio 1969 Chiara Lubich volle comunicare la sua esperienza mistica vissuta nel luglio del 1949 – detta anche Paradiso ’49 – a un gruppo di focolarini radunati a Rocca di Papa” (C. Lubich, Discorso ai focolarini, Rocca di Papa, 1 gennaio 1969). Su Nuova Umanità 177 ne è stata pubblicata una versione precedente datata 30 giugno 1962 (cf. C. Lubich, Paradiso ’49, in Nuova Umanità 177 (2008/3) pp. 285-296

[2] Lettera a Teresa Rejadell, Venezia, 18.6.1536, in Gli scritti di sant’Ignazio di Loyola, ADP, Roma 2007, p. 938 (MI Epp I 99-107).

[3] Gli scritti di sant’Ignazio di Loyola, a cura di M. Gioia, Torino 1977, p. 596.

[4] Ibid.

[5] Ibid., pp. 650-651.

[6] Ibid., p. 602.

[7] Ibid.

[8] Ibid., p. 478.

[9] Ibid., pp. 650-651.

[10] Ibid., p. 600.

[11] S. Ignazio di Loyola, Gli esercizi spirituali, Firenze 1944, pp. 266-267.