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Chiara Lubich e
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Dall’obbedienza al «seno
del Padre» Amando si perfeziona
l’obbedienza La gioia che fiorisce
dall’obbedienza Un esempio di obbedienza
alla volontà di Dio |
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dall’obbedienza
al «seno del Padre»
C. Lubich, «Paradiso ‘49»,
Oberiberg (Svizzera), festa di San Paolo, 30.06.1961, Foco [Igino Giordani, ndr], preso dal desiderio di servire Dio,
mi propose di farmi voto d’ubbidienza. Io non ne vedevo la necessità né questo desiderio armonizzava coi
mio Ideale che era «vita a Corpo mistico» (per me espressione massima della
vita cristiana). Ma per non disperdere in lui questo atto d’amore che voleva
fare al Signore, gli proposi di commutano. Al mattino, alla S. Comunione, avremmo ambedue pregato Gesù
Eucaristia che, sul nostro nulla, patteggiasse unità. E lo facemmo con fede piena e con amore. Mentre Foco era andato poi in visita ai Padri del Convento
attiguo alla chiesa, io mi portai davanti al SS. Sacramento per pregare Gesù.
Ma qui mi fu impossibile. Non riuscivo a pronunciare la parola: Gesù, perché
sarebbe stato invocare Qualcuno che avvertivo immedesimato con me, Colui che
io in quel momento ero. Ebbi l’impressione di trovarmi in cima ad un’altissima
montagna, come fosse la più alta possibile, terminante in punta, in punta di
spillo: una quindi ed alta, ma non amore (e di qui il mio
istantaneo tormento) tanto da sembrarmi che anche esser dio, ma non trino,
sarebbe stato un inferno. E in quell’istante mi fiori sulle labbra Dissi la cosa a Foco e, non so in qual momento di quel giorno,
mi ritrovai, come per una visione, vista con gli occhi dell’anima, entrata in
sinu Patris, che a me si mostrava come l’interno d’un sole tutto oro o
fiamma d’oro, infinito, ma che non sgomentava. Questa visione - diciamo così - lo ricordo bene, mi è stata
chiara solo quando anche le “pope” fecero fare, sul loro nulla, lo stesso
patto a Gesù Eucaristia onde unirsi con noi. Ed io vedevo questa piccola brigata di creature nel sole. Da quel momento chiamai «Anima» quell’Una che ci univa tutti. E
per due mesi, finché si susseguirono le visioni intellettuali e immaginarie
(a quanto mi sembra, anche se posso sbagliarmi di grosso)[1] si parlò sempre
dell’Anima. Là dentro avevamo l’impressione di trovarci in Cielo. C’era
soprattutto un respiro infinito, largo, mai avuto, e le anime nostre si
trovavano a loro agio. Nella Comunione dei giorni seguenti 1’«Anima» aveva coscienza
di comunicarsi con Dio e di fare quindi dei passi avanti nel divino. E
durante il giorno queste «Realtà», così erano chiamate e tali le sentivamo,
erano vissute da tutte noi unite in maniera un po’ unica, forse per queste
grazie particolari. Alla sera, alla meditazione che durava circa mezz’ora, avevamo
l’avvertenza di mettere tutte l’anima nella più assoluta passività onde il
Signore, volendolo, potesse comunicarsi. E le mie compagne facevano tacere
tutto in loro, anche ciò che poteva esser ispirazione, affinché l’unità con
me fosse perfetta. Ed alla meditazione si susseguivano nuove manifestazioni, che
io avevo premura di comunicare subito alle altre pope, perché le sentivo patrimonio
comune e perché tutte potessimo metterci in quelle Realtà. Il Figlio Forse il terzo giorno, stando noi nel Seno del Padre, avemmo la
manifestazione del Figlio. Ricordo che fu d’una luminosità straordinaria, ma
mi mancano forse tutti gli elementi per poterla ora descrivere. Solo so che dalle pareti del Sole fu pronunciata dal Padre la
parola: Amore e questa Parola, raccogliendosi nel cuore del Padre, era
il Figlio. Fuori, in serata, nella natura, un tramonto maestoso, reso più
bello dal grande Sole che splendeva in noi, sembrava confermasse questa
«visione». Ed a quanto ora ricordo, se ricordo bene, i lunghi raggi che come
frecciate di luce accarezzavano il cielo azzurro, mentre il disco era calato,
ci diedero un’idea del Verbo, come luce del Padre, splendore del
Padre. Tutto in quei giorni concorreva a far «Paradiso» dentro e fuori
di noi, quasi che gli elementi, gli uomini e gli avvenimenti fossero essi
stessi attori nel dramma divino che inchiodò l’anima nostra per lungo tempo.
Come se un’unica Sapienza divina ordinasse ogni cosa in sempre nuovi scenari.
Alla manifestazione del Figlio ecco un’esperienza per noi piena
di contenuto ed aderente alla Verità, Nella Trinità SS. si entrava, e ciò che già s’era
manifestato precedentemente, rimaneva, sussisteva. Se adesso era l’ora del Figlio, nell’anima nostra il Padre
rimaneva al Suo posto di Dio, presente. E la vita vissuta prima di questa «entrata» ci appariva
piuttosto come una «salita» nel compimento della divina volontà, ognuno sul proprio
raggio, finché venne l’ora della «fusione» in Gesù e dell’esser ammessi
insieme nella casa del Padre. Amando si perfeziona l’obbedienza
C. Lubich, L’amore
del prossimo e le dodici stelle, Oggi,
invece, vedremo come non solo la tipica vita spirituale dei membri del
Movimento avanza con l’amore al prossimo, ma anche come chi è chiamato per altra
strada può trovare proprio lì la molla per progredire nella perfezione. Ricordate
le 12 stelle di san Giovanni della Croce? In chi è perfetto, secondo lui, in
chi è santo, e cioè in coloro che hanno compiuto nella vita il Santo Viaggio,
brillano nell’anima dodici stelle. Esse sono: l’amor di Dio, l’amor del
prossimo, la castità, la povertà, l’obbedienza, l’orazione, il coro (cioè la
preghiera in comune), l’umiltà, la mortificazione, la penitenza, il silenzio
e la pace. Ebbene
in questi giorni ho potuto costatare come, amando il prossimo, queste dodici
stelle splendano meglio nell’anima nostra. E per convincerci meglio
passiamole in rassegna ad una ad una… Quinta
stella: l’obbedienza. La prima obbedienza va fatta a Dio, al carisma che lo
Spirito Santo ci ha donato. Esso ci dice che la nostra via è proprio amare il
prossimo. Praticando la carità, dunque, si perfeziona l’obbedienza. LA GIOIA CHE FIORISCE DALL’OBBEDIENZA
C. Lubich, La gioia che fiorisce dall’obbedienza, Domani
è Natale, la più sentita festa cristiana, e alla S. Messa, che ricorda il
grande evento, ma anche con il presepio, l’albero, i tipici canti, i doni,
saremo avvolti da un’atmosfera caratteristica che infonde pace, gioia; che
suscita meraviglia, stupore, gratitudine; che dice novità: la novità sempre
nuova di Dio che s’è fatto uomo per noi. E nuovo vorremmo che tutto fosse:
nuova l’anima, magari con una bella confessione, nuovo l’ambiente che ci
circonda per gli immancabili addobbi natalizi, nuovo il vestito che forse
indosseremo. E
per noi, incamminati nel Santo Viaggio, in quest’anno di fuoco, nuovo anche
«il modo» per essere lieti ed avere gioia da offrire come incenso a Gesù
Bambino. Nuovo
il modo. Sì, c’è un modo nuovo per essere felici, che finora non abbiamo
sottolineato. L’ho sperimentato tante volte nella vita. È quello di obbedire,
di saper obbedire. Ma
che posto ha l’obbedienza nella nostra spiritualità? mi domanderete. E che
rapporto ha con la gioia? L’obbedienza
ha un posto importante nella nostra spiritualità, anzitutto perché, essendo
essa una spiritualità cristiana, non può non contemplare tutte le virtù. Poi
perché la carità, che indiscutibilmente ci distingue, genera l’obbedienza. Sapete
come la carità è madre di tutte le virtù. Ebbene, dell’obbedienza lo è in
particolare. Dice
santa Caterina da Siena che l’obbedienza e la pazienza «sono partorite dalla carità
[...]. E la principale di esse è la vera e perfetta obbedienza». E
lo si capisce: quando si ama, anche senza accorgersi, si obbedisce alla
persona amata. Lo si fa con Dio, perché proprio per volerlo amare ci si
impegna ad obbedirlo nella sua volontà. Lo si fa con il fratello, perché
amare significa proprio immedesimarsi con i pensieri, con i gusti, con i
desideri degli altri. Quest’anno
sentirete parlare molto dell’obbedienza; la vogliamo approfondire come
puntello all’unità. La sentirete descrivere in modo tradizionale e in quella
luce particolare che le dona il nuovo carisma che Dio ci ha dato e la fa
apprezzare proprio dall’umanità di oggi. E
noi impareremo meglio ad obbedire, ad obbedire a tutto ciò e a tutti coloro
che ci manifestano la volontà di Dio e in particolare a vivere con perfezione
l’obbedienza anche in seno al nostro Movimento. Esso è un’opera della Chiesa,
approvata dalla Chiesa, con dei responsabili che ci dicono come dobbiamo
camminare secondo i nostri statuti. Effetto
di questa obbedienza riscoperta, ricompresa, praticata? La
gioia. La gioia, e non può essere che così. La
gioia, perché con l’obbedienza si elimina la nostra volontà che genera
nell’anima il peccato e l’imperfezione e con essi il tormento. Mentre nella
volontà di Dio – lo dicono tanti santi – è gioia e felicità. Domani
doniamo a Gesù, che ha iniziato la sua vita ed è vissuto sulla terra sempre e
solo per amore ed obbedienza al Padre, il proposito di perfezionare in noi
l’obbedienza. In particolare tutti noi, interni, aiutiamo i nostri
responsabili ad attuare i 18 punti che il Centro ha segnalato come binario
per il cammino del Movimento nell’87-88. E, senza pensarci, così obbedendo,
ci impegneremo ad attingere ad una perenne gioia. In
tal modo si cammina e si abbellisce l’anima di virtù, modellandoci sempre di
più su Gesù Abbandonato in cui abbiamo sempre ammirato tutte le virtù al
massimo grado, e su Maria Desolata che abbiamo definito: monumento di virtù. E
allora: Auguri, auguri, auguri! Auguri di ogni bene, soprattutto di santità,
di quella santità tipica del nostro Movimento, che si è sempre distinto per
l’obbedienza alla Chiesa e quindi a Dio. Maria
e l’obbedienza
Pubblicata in Gen’s 2 (1989)
23 Vuoi dirci qualche cosa su Maria e
l’obbedienza? (un gruppo di Gen) Sì, veramente la Madonna è il modello dell’obbedienza. Avete
visto quando l’angelo le annunzia una cosa sbalorditiva, - che sarebbe cioè
diventata Madre del Salvatore - lei si rimette alla volontà di Dio e
obbedisce. L’obbedienza è una cosa veramente meravigliosa. Ma perché?
Perché Dio è colui che è immenso, Dio è grande, Dio è colui che ha creato
tutto, da cui è partito tutto, l’inizio di tutto. E che poi sostiene tutto. È lui, con le sue leggi, con le sue forze immesse nel creato,
che sostiene tutto. E allora è logico che noi piccoli esseri — diceva Santa Teresa
di Lisieux che si sentiva come un
granellino di sabbia — noi granellini di sabbia, di fronte al
Creatore, cosa dobbiamo fare se non inchinarci? Se non dire: tu hai un piano
sul mondo e lo hai quindi anche su di me, cosa posso fare se non abbandonarmi
al piano tuo? All’inizio noi focolarine avevamo un chiodo in testa. Ed era questo: abbandonarci al
disegno di Dio. Di sicuro Dio mi ama e siccome Dio mi ama, lui ha un disegno su di me. Chissà
cosa viene fuori se io non faccio la mia volontà ma la sua, momento per
momento, sempre. E quindi abbracciare i dolori, le gioie, vivere le sue
parole, il comandamento nuovo di Gesù, tutto il contenuto del nostro carisma.
Chissà cosa viene fuori?! Eravamo delle giovani, in una cittadella piccola, di provincia.
Ed è venuto fuori il Movimento dei Focolari con tutte le sue diramazioni,
milioni di persone che seguono questo Ideale. E ciò solo perché abbiamo
voluto non farci un programma,
ma abbandonarci completamente - cioè obbedire - a Dio, a quello che momento
per momento lui ci diceva. Sono convinta che la conquista del mondo a Cristo non sarebbe
tanto lontana se i cristiani si abbandonassero completamente al disegno di
Dio, se lasciassero fare a Lui. Perché l’obbedienza è soprattutto lasciar fare a lui, accettare
momento per momento quello che viene. Arrivano dolori? Abbracciare in essi
Gesù Abbandonato. Arrivano gioie? Offrire a Dio anche quelle come incenso di
gioia. Fare la sua volontà che è ciò che sapete: seguire la regola morale,
andar controcorrente, non fare come gli altri, ecc. Anche la Madonna si è abbandonata all’avventura divina e
guardate i frutti! Per lei, per il suo sì, tutti abbiamo avuto la redenzione
e il Paradiso, che prima era chiuso, si è aperto: per il suo sì è venuto Dio
nel mondo. L’obbedienza quindi per un uomo, che è un granellino di sabbia,
è la cosa più sapiente che può fare, la più intelligente. Tanto da farci
pensare: davvero siamo capaci di obbedire a Dio? L’obbedienza
al Papa
Pubblicata in Gen’s 2
(1989) 24 Recentemente in Germania e in
Austria sono sorte delle forti tensioni per alcune decisioni del Papa. Come
possiamo vivere questa situazione alla luce del Vangelo? (un sacerdote tedesco) Noi dobbiamo semplicemente tener presente che uno dei cardini
della nostra spiritualità è l’unità con la Chiesa. È un cardine che ha lo
stesso peso di tutti gli altri, come «Gesù abbandonato», «Gesù in mezzo», «la
carità», «Maria». Fra le prime parole scoperte nel Vangelo in modo nuovo, -
quando lo Spirito Santo ci ha per così dire folgorati - ci sono queste: «Chi
ascolta voi, ascolta me». Noi dobbiamo vedere sempre nel S. Padre e nei
Vescovi una presenza particolare di Gesù per guidare la Chiesa. Naturalmente ci sono nella Chiesa dei problemi, per la
soluzione dei quali anche noi possiamo dare un contributo, perché può essere
che possediamo degli elementi che a Roma non si conoscono. E allora tenendo
sempre anche di fronte a Gesù nei vescovi, a Gesù nel Papa l’atteggiamento di
liberi figli di Dio possiamo esporre con chiarezza e amore quello che
pensiamo, le nostre difficoltà, le
difficoltà che sentiamo attorno a noi. Lo dobbiamo fare, perché il giudizio dato da Roma possa essere più
oggettivo. Però, quando abbiamo fatto tutta la nostra parte, anche se ci
arrivano delle risposte che non ci piacciono, noi dobbiamo stare tranquilli
ed obbedire. San Francesco insegnava che se il superiore comanda qualcosa si
deve obbedire con l’altissima povertà di mente. E si diceva che avesse messo
alla prova i frati facendo piantare i cavoli con le radici in su. Perché
l’obbedienza è questa e ce l’ha dimostrata Gesù, che ha sempre obbedito al
Padre fino all’abbandono; si è riabbandonato nel Padre che lo abbandonava: e
un Dio abbandonato da Dio è veramente l’assurdo! Ma questa deve essere anche la nostra obbedienza. E noi non
vogliamo venir meno a questo principio. Dobbiamo mantenere sempre viva questa
idea della presenza di Cristo nella gerarchia della nostra Chiesa. Da ciò
assolutamente non si può prescindere. Qui non si tratta di essere di destra o
di sinistra, qui sì tratta di essere del Vangelo. Un esempio
di obbedienza alla volontà di Dio
C. Lubich, Ciò
che si può fare sempre, Carissime,
conosciute e messe in pratica le quattro virtù cardinali, nei mesi scorsi:
prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, affrontiamo, con oggi, altre virtù
cominciando dall’obbedienza. Ma
cos’è l’obbedienza? Che peso ha l’obbedienza? L’obbedienza
è uno dei tre consigli evangelici che aiutano a raggiungere la perfezione. Per
capirne il valore basta pensare che la povertà, primo consiglio, domanda di
essere distaccati dai beni terreni, la castità, secondo consiglio, dalle
creature, mentre con l’obbedienza si dona a Dio la nostra volontà e cioè
tutti noi stessi. Questa
volta, però, non vorrei dilungarmi troppo nel dare definizioni e spiegazioni sull’attuale
virtù. Preferisco offrire un luminosissimo esempio d’obbedienza alla volontà
di Dio che abbiamo ammirato tanto vicino a noi, poco tempo fa. Si tratta di
Fiore[2]. Tutti, penso,
sappiate chi è stata Fiore. E come recentemente questo «fiore» è stato
trapiantato da Dio nei suoi giardini, Lassù. Fiore
era stata, sin dal ‘51, una delle prime focolarine di Roma. Ha svolto, in
cinquant’anni di focolare, vari importanti servizi all’Opera, al Centro e in
più parti del mondo, diffondendo, più recentemente, il nostro Ideale in
Centro America: Salvador, Guatemala, Nicaragua. Ma soprattutto in Messico,
dove aveva contribuito, con sapienza ed energia, al nascere della Cittadella
«El Diamante». Di
lei vorrei raccontarvi soltanto qualche particolare del suo ultimo giorno qui
in terra. I
giorni precedenti avevo avuto la gioia anch’io di aiutarla a vivere bene
quella che era ormai la sua «ora», come Gesù aveva definito l’appressarsi ed
il compiersi della sua Passione e morte. E mi ero preoccupata di darle
diversi consigli. Quello però che più aveva inciso nel suo animo era stato
l’invito a vivere bene la volontà di Dio, perché - spiegavo a lei, sempre
così attiva - se ora non poteva più né lavorare, né dedicarsi agli altri, né
viaggiare, nutrirsi, dormire, ecc., poteva sempre vivere la volontà di Dio,
obbedendo a Dio in ogni attimo. L’ultima
mattina, verso le 7.00, alle focolarine, che l’avevano trovata seduta sul
bordo del suo lettino, aveva detto: «Sono qui che faccio festa a Gesù [cioè:
accetto con gioia questa sua volontà] dopo una notte atroce. Sono ormai molto
grave, molto grave. Cosa sarà successo?». Messa
al corrente delle complicazioni che erano subentrate, si è disposta, con un
abbandono totale in Dio, a prepararsi per l’«incontro» (per noi, come si sa, la
morte ha soprattutto questo significato: l’incontro con Gesù che, secondo la
nostra fede, avviene subito dopo arrivati di là). Poi ha ripetuto ad ogni
respiro per più di due ore: «Eccomi, eccomi, eccomi...» che alternava con un:
«Sì, sì, sì...». E ogni tanto ripeteva: «Dio lo ha voluto, Dio lo ha
voluto!». E aveva una pace profonda. Non riuscendo poi quasi più a parlare,
ha soggiunto: «Ho già detto il mio sì per sempre, l’ho detto milioni di
volte...». A
mezza mattina ha cominciato a salutare le focolarine. Ad una: «Ciao, sei
stata sempre al servizio. Grazie!». Alla focolarina medico che la curava:
«Sono felice. Sì, sono felice. Non ti preoccupare di nulla; hai fatto tutto
quello che hai potuto. Devi essere felice». Verso
le 11.00, arrivato da lei don Foresi[3] per un ultimo aiuto
da parte della Chiesa, gli risponde: «Grazie, sono felice». E appena lui
sussurra: «Stai compiendo, Fiore, una grande missione con la tua sofferenza»,
risponde: «Sono felice se può servire all’Opera. Salutami Chiara e dille che
sono felice!». Intanto
a mezzogiorno, rivolta ad una focolarina arrivata due giorni prima: «Ti ho
aspettata! Di’ alle focolarine del Messico che le ringrazio perché hanno
avuto tanta pazienza con me; voglio che siate felici tutti. Siate felici
tutti. Salutami tutti. Vi ho amato molto (...), vi ho sempre voluto tanto
bene. Anche i focolarini ho amato come le focolarine; non ho avuto
preferenze…». La
focolarina la informava su quanto Atti, il responsabile del Movimento in
Messico, aveva scritto a me: «Fiore porta a Dio una bella fetta di mondo fra
le braccia», ricordando l’ardita frase del teologo belga Jacques Leclercq:
«Il tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te... Verrò verso di Te, mio Dio... e
con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia»[4]. Al
che Fiore aggiunge: «Ha fatto tutto Alle
ore 14.00 la focolarina le canta alcune canzoni, come quella intitolata: Sono grazie che dice: «Quando sarò
alla tua porta non dirò il mio nome. Dirò: sono grazie per tutto e per
sempre». Fiore
si assopisce sempre di più. Ma a Natalia, lì vicina, con voce decisa, dice:
«Di’ tutta la mia unità a Chiara!». Alle
ore 16.00, mentre la respirazione veniva meno, raddrizza la testa con forza,
come se cercasse qualcuno che la chiama, ed apre gli occhi grandi; poi, con
sorpresa, fissa lo sguardo su un punto e, chinata la testa dolcemente, chiude
gli occhi e parte. Questa
è l’obbedienza: fare la volontà di Dio sempre e possibilmente come Fiore,
nella felicità. Ma fare la volontà di Dio è proprio l’espressione tipica, noi
lo sappiamo, dell’amare Dio. Anche l’obbedienza, quindi, è fondamentalmente
amore. |
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[1] Usando il linguaggio teologico classico,
Chiara accenna ai modi nei quali Dio può rivelarsi nell’esperienza mistica: o con
«visioni» soprannaturali che comportano un’immagine interiore (visioni
immaginarie), o con visioni interiori senza nessuna immagine (visioni
“intellettuali”).
[2] Cf. M. Cocchiaro, Un fiore raro. Ada Ungaro,
Città Nuova, Roma 2003.
[3] Don Pasquale Foresi, cofondatore e primo
sacerdote dell’Opera di Maria.
[4] J. Leclercq, Le jour de
l’Homme, Paris 1976, pp. 152-153.