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by Paolo Monaco sj

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Comunione

Lo sguardo del cuore

Catechesi sulla spiritualità di comunione, I

 

 

 

 

 

Parrocchia di
Arangea
(RC)
20.03.2003

 

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Communion
and Ignatian
Spiritual
Exercises

 

 

 

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spirituale.
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L’oggi di Dio
e della Chiesa

 

 

Che cos’è la spiritualità di comunione?

 

Che cosa capiamo da questi eventi
della storia della Chiesa?

 

Che cosa porta di nuovo
la spiritualità di comunione?

 

 

 

 

 

 

 

 

CHE COS’È LA SPIRITUALITÀ DI COMUNIONE?

 

Novo millennio ineunte, 43: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità».

 

 

La spiritualità di comunione è un’esperienza di vita fatta propria dalla Chiesa

 

La spiritualità di comunione non è un’invenzione del Papa, né di un teologo o di un gruppo di teologi di qualche università del mondo. La spiritualità di comunione è la "spiritualità dell'unità" frutto di un esperienza carismatica: quella di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari (Opera di Maria).

 

Il Papa ha recepito questa esperienza e l’ha proposta, nelle sue linee essenziali, a tutta la Chiesa cattolica, il 6 gennaio 2002, nella Lettera Apostolica «Novo millennio ineunte», invitando tutti a viverla ad ogni livello.

 

 

È la prima volta che succede nella storia questo fatto?

 

No. Un esempio che mi riguarda da vicino. Il 31 luglio del 1548, ancora vivente s. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, il Papa Paolo III approvò gli «Esercizi spirituali» con il breve (è un tipo di documento ecclesiale, come l’enciclica, la lettera apostolica, ecc.) «Pastoralis offici», pubblicandone il testo e raccomandandone la pratica a tutta la Chiesa (Nb. Ignazio morirà proprio il 31 luglio di 13 anni dopo, nel 1561).

 

Leggiamo un passo del «Pastoralis offici»: «Avendo fatto esaminare detti Esercizi e udite anche testimonianze e rapporti favorevoli [...] abbiamo accertato che detti Esercizi sono pieni di pietà e santità, e sono e saranno molto utili per il progresso spirituale dei fedeli. Inoltre è per noi doveroso riconoscere che Ignazio e la Compagnia da lui fondata vanno raccogliendo frutti abbondanti di bene in tutta la Chiesa; e di questo molto merito è da attribuire agli Esercizi Spirituali. Perciò [...] esortiamo i fedeli d'ambo i sessi, ovunque nel mondo, di avvalersi dei benefici di questi Esercizi e di lasciarsi plasmare da essi».

 

 

 

CHE COSA capiamo DA QUESTI eventi DELLA STORIA DELLA CHIESA?

 

Innanzitutto l’origine e la finalità di ogni carisma. I carismi, tutti i carismi, sono per il bene comune, cioè per l’unità della Chiesa. E tutti i carismi provengono dall’Unità, dall’unico Spirito di Dio. Dice infatti san Paolo in 1Cor 12,7: «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune».

 


Ma come viene data questa «manifestazione particolare»? Normalmente un carisma è trasmesso da Dio alla Chiesa attraverso una persona alla quale Egli dona una particolare comprensione del mistero di Cristo. Quella persona diventa così nella Chiesa l’incarnazione di una particolare parola di Gesù: «beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» (se io dico questa frase voi pensate subito a Francesco), ecc.

 

Questa persona, mentre accoglie la «manifestazione» dello Spirito, comincia anche a trasmetterlo. E prima o dopo la persona, per volontà dello Spirito, sarà chiamata dalla Chiesa, e in particolare dai vescovi e in definitiva dal papa, a dialogare con la Chiesa perché Essa confermi quanto questa persona ha ricevuto e annuncia, valutandone la coerenza con il Vangelo di Gesù Cristo, e perché questa «nuova» manifestazione dello Spirito sia innestata nella Chiesa.

 

Questo potremmo chiamarlo l’aspetto universale del carisma, quello che riguarda la spiritualità che da esso scaturisce.

 

 

La dinamica esistenziale che mette in movimento il dono di Dio

 

Questa persona, però, non rimane sola. Comunicandole il carisma Dio le dona anche uno stile di vita particolare. Così quasi subito si forma attorno a lei/lui un piccolo gruppo di altre persone alle quali il/la «fondatore/fondatrice» comunica quel carisma e che si riconoscono chiamate a condividere con lui/lei quel particolare stile di vita. In questo modo sono nati tutti i movimenti spirituali nella Chiesa, piccoli e grandi.

 

Questo è l’aspetto particolare del carisma, quello che riguarda la vocazione personale di coloro che Dio chiama a vivere quel particolare carisma e stile di vita.

 

Poi succede ancora un’altra cosa meravigliosa: i carismi fioriscono in tante e varie vocazioni particolari. Sapreste dire quanti ordini religiosi maschili e femminili, associazioni, movimenti, gruppi, comunità si rifanno a Francesco d’Assisi e hanno adottato la sua regola?

 

Allora possiamo contemplare la Chiesa come un magnifico giardino tutto pieno di fiori, dove ci sono tantissime aiuole con i diversi tipi di fiori, e ciascuno con il suo colore, la sua forma, il suo profumo, ecc. I tulipani da una parte, le margherite dall’altra… e tutti i fiori che contemplano tutti gli altri fiori e tutti i fiori in relazione d’amore con tutti gli altri fiori… bellissimo…

 

Riassumendo: ogni carisma ha una dimensione universale (la spiritualità) che vale per tutti e una dimensione particolare (la vocazione) che vale per alcuni. In altre parole: tutti possiamo dirci francescani (nel senso universale), senza appartenere a nessun ordine, movimento, associazione “francescana”. È chiaro? Penso di sì.

 

Perché abbiamo fatto tutto questo discorso? Per inserire la spiritualità di comunione in un orizzonte storico e teologico che ci aiuti a capire meglio la novità che essa rappresenta nella storia della Chiesa.

 

 

 

 

CHE COSA PORTA DI NUOVO
LA SPIRITUALITÀ DI COMUNIONE?

 

Perché Dio chiede alla Chiesa di vivere la spiritualità di comunione? Perché oggi l’umanità ha bisogno di unità, ogni persona, popolo, nazione attende, desidera l’unità.

 

Questo il nostro desiderio più profondo… Se il mondo fosse unito e gli uomini e i popoli si amassero l’un l’altro come fratelli, la pace non sarebbe un’utopia ma una realtà… e la guerra un ricordo lontano…

 

Abbiamo bisogno di unità. A chi guardare? Da chi aspettarci la testimonianza dell’unità? Tutti dicono unità: da chi l’umanità attende la testimonianza dell’unità? Da noi, dalla Chiesa, dal Papa che è ormai sempre di più il leader spirituale di tutta l’umanità.

 

E il Papa a chi guarda? Allo Spirito Santo che ha inviato in questa epoca il carisma dell’unità e ha donato alla Chiesa la spiritualità di comunione, una spiritualità comunitaria, quella che il mondo oggi attende, la possibilità di «santificarci insieme» e non più «ciascuno per conto suo».

 

Ed è proprio qui, mi pare, la conversione intellettuale che Dio ci chiede: non essere più concentrati solo sulla «mia» santità, ma anche su quella del fratello. Anzi, per fare uguaglianza, poiché il nostro istinto rimane quello di mettere sempre noi stessi «prima e sopra» l’altro, dovremo mettere il fratello «prima e sopra» di me, che vuol dire per me essere «dopo e sotto» il fratello.

 

Farci santi insieme, santificarci insieme… questo è il disegno di Dio con il quale sintonizzarci per poter essere cristiani «del nostro tempo» e rispondere alle esigenze del mondo di oggi: andare a Dio insieme con l’uomo, insieme con i fratelli, anzi andare a Dio «attraverso» l’uomo, perché l’uomo è «la via della Chiesa».

 

Fino ad ora, in questi 20 secoli di cristianesimo, è stata la spiritualità individuale a prevalere nella nostra formazione ed esperienza di fede. Essa è stato il «principio educativo» nel quale siamo cresciuti e nel quale siamo stati educati: è la persona singola che va a Dio e la comunità aiuta la persona in questo cammino.

 

 

Vino nuovo in otri nuovi

 

Ora il Papa ci chiede di «sostituirlo» con un nuovo «principio»: la spiritualità di comunione.

 

Dobbiamo disporre la nostra anima ad accogliere il «vino nuovo» che Dio vuole donarci oggi, come dice Gesù: «vino nuovi in otri nuovi» (Mc 2,22). E lo sappiamo che se vogliamo conoscere qualcosa di nuovo, dobbiamo in un primo tempo mettere da parte ciò che sappiamo per accogliere il «nuovo».

 

Poi, alla luce del «vino nuovo», ritroveremo quanto già sappiamo in una nuova sintesi, lo rielaboreremo, lo riorganizzeremo in modo nuovo… perché noi saremo cambiati e tireremo fuori «cose antiche e cose nuove» (Mt 13,52).

 

Certo non è facile «cambiare noi stessi»: se facciamo fatica a cambiare le nostre abitudini esteriori, figuriamoci quelle interiori che riguardano il nostro rapporto con Dio e con il prossimo.

 

Ma non dobbiamo scoraggiarci, né giustificarci.

 

Soprattutto dobbiamo resistere alla tentazione, terribile, di chiuderci alla novità di Dio, adducendo falsi pretesti, vani ragionamenti… che in definitiva tendono a giustificare la nostra pigrizia spirituale, la voglia di rimanercene tranquilli, di riposare in noi stessi e sulla nostre tradizioni, consuetudini… con il rischio però di rimanere con il viso girato all’indietro mentre cerchiamo di camminare avanti.

 

Dobbiamo invece guardare avanti, «dimentichi del passato, e protesi verso il futuro»(Fil 3,13)… «finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo»(Fil 4,13).

 

Certamente nessuno ci chiede di correre oltre le nostre possibilità. Dovremo continuamente chiedere a Dio tanta pazienza, costanza, fedeltà, coraggio per ricominciare quando cadremo, tenacia per andare avanti nonostante le difficoltà…

 

 

La differenza fra una spiritualità individuale ed una comunitaria

 

La spiritualità più propriamente individuale manifesta in genere delle precise esigenze:

 

·     la solitudine e la fuga dalle creature per raggiungere la mistica unione con la Trinità dentro di sé;

·     il silenzio per custodire la solitudine;

·     il velo e la clausura, oltre ad un particolare abito per tenersi separati dagli uomini;

·     le più svariate penitenze, a volte durissime, digiuni, veglie per imitare la passione di Cristo;

·     ci si sottomette con l’obbedienza ad un superiore e si formulano anche i voti di castità e povertà;

·     ci si ritira a lungo nella propria stanza a pregare, a meditare.

 

Nella via comunitaria vengono in evidenza altri due elementi:

 

·     il fratello da accogliere, da amare, vedendo Cristo in lui, «prima di me»… per cui dopo aver amato i fratelli, nella meditazione si avverte nell’anima l’unione con Dio… si può dire che chi va al fratello in modo cretto, cioè evangelico, amando come il Vangelo insegna (arte di amare), si ritrova più Cristo, più uomo;

·     la parola, perché è mezzo di comunicazione che ci aiuta ad essere uniti con il fratello… si parla ascoltando fino in fondo il fratello e dicendo quanto si ha nel cuore, consapevoli che quanto non è comunicato si perde e ciò che è comunicato ritorna in noi più forte di prima… e se non si parla si scrive…

 

 

Un’anima nuova

 

Alla luce del rapporto con il fratello e avendo come fine la comunione reciproca possiamo poi comprendere e vivere con un’anima nuova gli altri strumenti della spiritualità individuale:

 

·     essere immersi nel nostro ambiente senza abiti particolari o grate che possano dividerci dal fratello;

·     le penitenze saranno quelle dettate dall’amore del prossimo che magari non ci riama, perché l’unione fraterna non si compone una volta per tutte e occorre sempre ricostruirla; bisognerà affrontare questo “purgatorio” con l’amore a Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità: per amore di Lui, risolvendo prima in noi ogni dolore, fare ogni sforzo per ricomporre l’unità;

·     così i voti saranno come un puntello all’unità, serviranno alla comunità: l’obbedienza per rendere più sicura l’unità con i superiori, la castità per avere un cuore puro atto ad amare Gesù in ogni prossimo, la povertà per essere pronti a realizzare con i fratelli la comunione di beni;

·     anche la preghiera personale tenderà all’unità, perché occorrerà condividere il frutto della nostra meditazione, giacché dovremo cercare la santità del fratello “come” la nostra personale.

 

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