Che cos’è la spiritualità
di comunione?
Che cosa capiamo da questi eventi
della storia della Chiesa?
Che cosa porta di nuovo
la spiritualità di comunione?
CHE
COS’È LA SPIRITUALITÀ
DI COMUNIONE?
Novo millennio ineunte,
43: «Fare
della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci
sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di
Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo
in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo,
ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare
iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione,
facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma
l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati,
gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità».
La spiritualità di comunione non è un’invenzione
del Papa, né di un teologo o di un gruppo di teologi di qualche università
del mondo. La spiritualità di comunione è la "spiritualità
dell'unità" frutto di un esperienza carismatica: quella di Chiara Lubich
e del Movimento dei Focolari (Opera di Maria).
Il Papa ha recepito questa esperienza e l’ha proposta,
nelle sue linee essenziali, a tutta la Chiesa cattolica, il 6 gennaio 2002, nella
Lettera Apostolica «Novo millennio ineunte», invitando tutti a viverla ad ogni livello.
No. Un esempio che mi riguarda da vicino. Il 31 luglio del
1548, ancora vivente s. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù,
il Papa Paolo III approvò gli «Esercizi spirituali» con il breve (è un tipo
di documento ecclesiale, come l’enciclica, la lettera apostolica, ecc.)
«Pastoralis offici», pubblicandone il testo e raccomandandone la pratica a
tutta la Chiesa
(Nb. Ignazio morirà proprio il 31 luglio di 13 anni dopo, nel 1561).
Leggiamo un passo
del «Pastoralis offici»: «Avendo fatto esaminare detti Esercizi e
udite anche testimonianze e rapporti favorevoli [...] abbiamo accertato che
detti Esercizi sono pieni di pietà e santità, e sono e saranno molto utili
per il progresso spirituale dei fedeli. Inoltre è per noi doveroso
riconoscere che Ignazio e la
Compagnia da lui fondata vanno raccogliendo frutti
abbondanti di bene in tutta la
Chiesa; e di questo molto merito è da attribuire agli
Esercizi Spirituali. Perciò [...] esortiamo i fedeli d'ambo i sessi, ovunque
nel mondo, di avvalersi dei benefici di questi Esercizi e di lasciarsi
plasmare da essi».
CHE COSA capiamo DA QUESTI eventi DELLA
STORIA DELLA CHIESA?
Innanzitutto l’origine e la
finalità di ogni carisma. I carismi, tutti i carismi, sono per il bene
comune, cioè per l’unità della Chiesa. E tutti i carismi provengono
dall’Unità, dall’unico Spirito di Dio. Dice infatti san Paolo in 1Cor 12,7:
«E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità
comune».
Ma come viene data questa «manifestazione particolare»?
Normalmente un carisma è trasmesso da Dio alla Chiesa attraverso una persona
alla quale Egli dona una particolare comprensione del mistero di Cristo.
Quella persona diventa così nella Chiesa l’incarnazione di una particolare
parola di Gesù: «beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei
cieli» (se io dico questa frase voi pensate subito a Francesco), ecc.
Questa persona, mentre accoglie la «manifestazione» dello
Spirito, comincia anche a trasmetterlo. E prima o dopo la persona, per
volontà dello Spirito, sarà chiamata dalla Chiesa, e in particolare dai
vescovi e in definitiva dal papa, a dialogare con la Chiesa perché Essa
confermi quanto questa persona ha ricevuto e annuncia, valutandone la
coerenza con il Vangelo di Gesù Cristo, e perché questa «nuova»
manifestazione dello Spirito sia innestata nella Chiesa.
Questo potremmo chiamarlo l’aspetto universale del
carisma, quello che riguarda la spiritualità che da esso scaturisce.
Questa persona, però, non rimane sola. Comunicandole il carisma
Dio le dona anche uno stile di vita particolare. Così quasi subito si forma
attorno a lei/lui un piccolo gruppo di altre persone alle quali il/la
«fondatore/fondatrice» comunica quel carisma e che si riconoscono chiamate a
condividere con lui/lei quel particolare stile di vita. In questo modo sono
nati tutti i movimenti spirituali nella Chiesa, piccoli e grandi.
Questo è l’aspetto particolare del carisma, quello che
riguarda la vocazione personale di coloro che Dio chiama a vivere quel
particolare carisma e stile di vita.
Poi succede ancora un’altra cosa meravigliosa: i carismi
fioriscono in tante e varie vocazioni particolari. Sapreste dire quanti
ordini religiosi maschili e femminili, associazioni, movimenti, gruppi,
comunità si rifanno a Francesco d’Assisi e hanno adottato la sua regola?
Allora possiamo contemplare la Chiesa come un magnifico
giardino tutto pieno di fiori, dove ci sono tantissime aiuole con i diversi
tipi di fiori, e ciascuno con il suo colore, la sua forma, il suo profumo,
ecc. I tulipani da una parte, le margherite dall’altra… e tutti i fiori che
contemplano tutti gli altri fiori e tutti i fiori in relazione d’amore con
tutti gli altri fiori… bellissimo…
Riassumendo: ogni carisma ha una dimensione
universale (la spiritualità) che vale per tutti e una dimensione particolare
(la vocazione) che vale per alcuni. In altre parole: tutti possiamo dirci
francescani (nel senso universale), senza appartenere a nessun ordine,
movimento, associazione “francescana”. È chiaro? Penso di sì.
Perché abbiamo fatto tutto questo discorso? Per inserire
la spiritualità di comunione in un orizzonte storico e teologico che ci aiuti
a capire meglio la novità che essa rappresenta nella storia della Chiesa.
CHE COSA
PORTA DI NUOVO
LA SPIRITUALITÀ DI
COMUNIONE?
Questo il nostro desiderio più profondo… Se il mondo fosse
unito e gli uomini e i popoli si amassero l’un l’altro come fratelli, la pace
non sarebbe un’utopia ma una realtà… e la guerra un ricordo lontano…
Abbiamo bisogno di unità. A chi guardare? Da chi
aspettarci la testimonianza dell’unità? Tutti dicono unità: da chi l’umanità
attende la testimonianza dell’unità? Da noi, dalla Chiesa, dal Papa che è
ormai sempre di più il leader spirituale di tutta l’umanità.
E il Papa a chi guarda? Allo Spirito Santo che ha inviato
in questa epoca il carisma dell’unità e ha donato alla Chiesa la spiritualità
di comunione, una spiritualità comunitaria, quella che il mondo oggi attende,
la possibilità di «santificarci insieme» e non più «ciascuno per conto suo».
Ed è proprio qui, mi pare, la conversione intellettuale
che Dio ci chiede: non essere più concentrati solo sulla «mia» santità, ma
anche su quella del fratello. Anzi, per fare uguaglianza, poiché il nostro
istinto rimane quello di mettere sempre noi stessi «prima e sopra» l’altro,
dovremo mettere il fratello «prima e sopra» di me, che vuol dire per me essere
«dopo e sotto» il fratello.
Farci santi insieme, santificarci insieme… questo è il
disegno di Dio con il quale sintonizzarci per poter essere cristiani «del
nostro tempo» e rispondere alle esigenze del mondo di oggi: andare a Dio
insieme con l’uomo, insieme con i fratelli, anzi andare a Dio «attraverso»
l’uomo, perché l’uomo è «la via della Chiesa».
Fino ad ora, in questi 20 secoli di cristianesimo, è stata
la spiritualità individuale a prevalere nella nostra formazione ed esperienza
di fede. Essa è stato il «principio educativo» nel quale siamo cresciuti e
nel quale siamo stati educati: è la persona singola che va a Dio e la
comunità aiuta la persona in questo cammino.
Ora il Papa ci chiede di «sostituirlo» con un nuovo
«principio»: la spiritualità di comunione.
Dobbiamo disporre la nostra anima ad accogliere il «vino
nuovo» che Dio vuole donarci oggi, come dice Gesù: «vino nuovi in otri nuovi»
(Mc 2,22). E lo sappiamo che se vogliamo conoscere qualcosa di nuovo,
dobbiamo in un primo tempo mettere da parte ciò che sappiamo per accogliere
il «nuovo».
Poi, alla luce del «vino nuovo», ritroveremo quanto già
sappiamo in una nuova sintesi, lo rielaboreremo, lo riorganizzeremo in modo
nuovo… perché noi saremo cambiati e tireremo fuori «cose antiche e cose
nuove» (Mt 13,52).
Certo non è facile «cambiare noi stessi»: se facciamo
fatica a cambiare le nostre abitudini esteriori, figuriamoci quelle interiori
che riguardano il nostro rapporto con Dio e con il prossimo.
Ma non dobbiamo scoraggiarci, né giustificarci.
Soprattutto dobbiamo resistere alla tentazione, terribile,
di chiuderci alla novità di Dio, adducendo falsi pretesti, vani ragionamenti…
che in definitiva tendono a giustificare la nostra pigrizia spirituale, la
voglia di rimanercene tranquilli, di riposare in noi stessi e sulla nostre
tradizioni, consuetudini… con il rischio però di rimanere con il viso girato
all’indietro mentre cerchiamo di camminare avanti.
Dobbiamo invece guardare avanti, «dimentichi del passato,
e protesi verso il futuro»(Fil 3,13)… «finché arriviamo tutti all'unità della
fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella
misura che conviene alla piena maturità di Cristo»(Fil 4,13).
Certamente nessuno ci chiede di correre oltre le nostre
possibilità. Dovremo continuamente chiedere a Dio tanta pazienza, costanza,
fedeltà, coraggio per ricominciare quando cadremo, tenacia per andare avanti
nonostante le difficoltà…
La spiritualità più propriamente individuale
manifesta in genere delle precise esigenze:
·
la solitudine e la fuga dalle creature per raggiungere
la mistica unione con la
Trinità dentro di sé;
·
il silenzio per custodire la solitudine;
·
il velo e la clausura, oltre ad un particolare
abito per tenersi separati dagli uomini;
·
le più svariate penitenze, a volte durissime,
digiuni, veglie per imitare la passione di Cristo;
·
ci si sottomette con l’obbedienza ad un
superiore e si formulano anche i voti di castità e povertà;
·
ci si ritira a lungo nella propria stanza a
pregare, a meditare.
Nella via comunitaria vengono in evidenza altri due elementi:
·
il fratello da accogliere, da amare, vedendo
Cristo in lui, «prima di me»… per cui dopo aver amato i fratelli, nella
meditazione si avverte nell’anima l’unione con Dio… si può dire che chi va al
fratello in modo cretto, cioè evangelico, amando come il Vangelo insegna
(arte di amare), si ritrova più Cristo, più uomo;
·
la parola, perché è mezzo di comunicazione che
ci aiuta ad essere uniti con il fratello… si parla ascoltando fino in fondo
il fratello e dicendo quanto si ha nel cuore, consapevoli che quanto non è
comunicato si perde e ciò che è comunicato ritorna in noi più forte di prima…
e se non si parla si scrive…
Alla luce del rapporto con il fratello e avendo come fine
la comunione reciproca possiamo poi comprendere e vivere con un’anima nuova
gli altri strumenti della spiritualità individuale:
·
essere immersi nel nostro ambiente senza abiti
particolari o grate che possano dividerci dal fratello;
·
le penitenze saranno quelle dettate dall’amore
del prossimo che magari non ci riama, perché l’unione fraterna non si compone
una volta per tutte e occorre sempre ricostruirla; bisognerà affrontare
questo “purgatorio” con l’amore a Gesù crocifisso e abbandonato, chiave
dell’unità: per amore di Lui, risolvendo prima in noi ogni dolore, fare ogni
sforzo per ricomporre l’unità;
·
così i voti saranno come un puntello
all’unità, serviranno alla comunità: l’obbedienza per rendere più sicura
l’unità con i superiori, la castità per avere un cuore puro atto ad amare
Gesù in ogni prossimo, la povertà per essere pronti a realizzare con i
fratelli la comunione di beni;
·
anche la preghiera personale tenderà
all’unità, perché occorrerà condividere il frutto della nostra meditazione,
giacché dovremo cercare la santità del fratello “come” la nostra personale.
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