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Maria Desolata e la nuova evangelizzazione

Una riflessione in margine al Sinodo dei Vescovi 2012

 

 

 

 

 

 

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Approfondimento:
testi di Chiara Lubich su Maria Desolata

 

 

 

 

 

Pasqua 2012, giovedì santo, una parrocchia vicino Roma. Il celebrante principale esce dalla sacrestia vestito con la pianeta. Durante la celebrazione il coro intona canti in latino e in italiano, questi ultimi risalenti al primo periodo post-conciliare. Mi ricordano la mia fanciullezza, quando mi piaceva cantare in chiesa. Però non mi piace per nulla ascoltarli ora. Sanno di vecchio. Come la pianeta. Ma il bello deve ancora venire. Quando il celebrante invita tutta l’assemblea alla processione verso l’altare della deposizione, che si trova in una cappella laterale dentro la chiesa, uno degli accoliti tira fuori un ombrellino liturgico e lo piazza sulla testa del presbitero.

 

Qualche giorno dopo, mentre sorseggiamo un caffè, mi spiega la ragione della pianeta e soprattutto dell’ombrellino: bisogna recuperare la tradizione. Il caffè mi va quasi di traverso. Sì, perché lui ha 35 anni. Mi avesse detto: mi piace, oppure, l’ho visto fare in qualche altra celebrazione, l’avrei capito. Ma recuperare la tradizione, no, non mi sembra vero. Un presbitero di 35 anni che parla così mi appare il segno di una mentalità ecclesiastica e clericale che pensavo morta e sepolta. Le sue parole mi fanno rendere conto che la visione sacrale e piramidale della Chiesa è ancora viva e vegeta e come l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II, al contrario, sembra sia stata messa da parte. Nei fatti e negli ambienti formativi, più che nelle intenzioni o nei piani di studio delle facoltà teologiche.

 

In questo contesto la nuova evangelizzazione è un discorso privo di qualsiasi appeal. Di fronte alla progressiva ritirata del cristianesimo in Europa, ci si rinchiude dentro le strutture di pensiero e di vita del passato. Di fronte alle domande sempre più incalzanti degli uomini e delle donne di questo tempo, si fanno gesti e si dicono parole di cui in verità non si capisce più il significato, che non si è più in grado di spiegare.

 

Si avverte che i cristiani oggi non hanno parole con le quali comunicare la Parola. Si tenta disperatamente di proporre alle persone una qualche forma di Sacro che le attragga e anche le intimorisca, e che mantenga inalterata la posizione dominante del clero. In fin dei conti siamo creature fragili, destinate a morire e una qualche forma di “protezione” per il “dopo” può essere utile averla.

 

Qualcuno si domanda: come mai la comunità ecclesiale, con tutte le sue strutture, opere, attività (parrocchie, scuole, ospedali, case di cura, università, seminari, case editrici ecc.) alla fin fine invece di formare dei cristiani, ha formato degli atei?

 

La domanda è provocatoria e reale, va presa sul serio: la situazione attuale è anche un frutto del modo (sbagliato) in cui la Chiesa stessa ha continuato ad essere presente nel mondo.

 

Questo è un tempo nel quale non si tratta soltanto di rinnovare, adattare, sostituire. Occorre il coraggio di “destrutturare” e destrutturarsi, la “follia” profetica di ripensare radicalmente le forme del nostro essere Chiesa e cristiani. Di scendere fino in fondo dentro il buio di questa notte collettiva e culturale per poter incontrare in modo nuovo la Parola originaria e originante che, sulla riva del mondo, attende la Chiesa e l’umanità all’inizio del nuovo giorno.

 

Occorre il coraggio mariano di rimanere “senza Dio”, di credere, pur avendo tra le braccia il proprio Dio “senza vita”, quel Dio fatto Uomo per il quale la Donna aveva dato tutta se stessa. È proprio lì, in quell’attimo di infinita solitudine, dove non ci sono più parole per dire la fede, che lo Spirito può ri-dire e ri-dare Parola all’umanità credente e amante.

 

La Desolata è la figura della Chiesa e dell’umanità di oggi. La figura della nuova evangelizzazione. È lei la Madre della Chiesa “domestica e popolare”. La Donna che sa di aver ricevuto e generato, con il suo sì, Dio, la Vita, la Parola, l’Umanità, la Chiesa. Un sì detto dentro la notte al Dio misterioso che più non si fa sentire, perché la Donna riceva tutta la capacità della Parola. Perché solo la Parola, di nuovo fatta carne in Lei, può dire parole nuove nel tempo presente, in ogni tempo.

 

La notte che viviamo è un momento necessario alla nascita di un nuovo modo di essere cristiani e Chiesa. Pensare, e illuderci, che questa notte sia soltanto il segno del rifiuto del mondo ci rende come Pietro: tiriamo fuori una spada qualsiasi per difenderci e dimostrare la nostra forza, facciamo finta di non conoscere la Parola e diciamo parole senza senso per sopravvivere.

 

La Desolata, invece, si lascia condurre dalla Parola fino agli estremi confini (limiti) della propria umanità e oltre, si lascia scavare perché in quel vuoto (pieno d’amore) ri-nasca la Parola viva, la fonte zampillante d’acqua fresca.

 

La Desolata è resa dallo Spirito, ricevuto dall’Abbandonato, Umanità glorificata capace di generare Dio, perché tutto il suo essere è divenuto totalmente Amore. Solo l’Amore infatti può generare Dio che è Amore.

 

Questo dono fatto alla Donna viene partecipato e comunicato a tutti coloro che al di qua, cioè prima, di ogni altra appartenenza, anche quella di fede, decidano nella loro libera coscienza di donare la loro vita per l’Uomo, per la singola persona che nel momento presente è lì di fronte e accanto.

 

Se vogliamo essere una Chiesa “domestica e popolare” non c’è altra via: l’uomo, questo uomo concreto che nel tempo presente ci rivela come essere amato dall’Amore che è in noi. Ma occorre che ci facciamo svuotare totalmente da questo uomo, che perdiamo il nostro Dio, sotto qualunque forma, concetto, gesto, parola, segno l’abbiamo identificato, per fare di lui, di quell’uomo in quel momento, il nostro Dio, perché veramente in lui c’è Dio.

 

Una Chiesa “domestica e popolare”? Sì, è possibile se con la mia coscienza prendo la decisione più importante della mia vita. Credere in Dio? No. Amare l’uomo, custodire l’altro dentro di me come fratello, voler essere per lui sempre e comunque un fratello, stabilendo con lui per quanto possibile una reciprocità d’amore sulla misura di quella dell’Abbandonato e della Desolata. Che poi è la vera fede, esplicita o implicita, in Dio Amore.

 

Di questa fraternità possibile la Chiesa dovrebbe essere segno e sacramento.

 

E grazie a Gesù e Maria già lo è.

 

Perché la Chiesa sia quella che desideriamo, ci basta, in definitiva, essere noi stessi.

 

Uomini e donne.

 

 

 

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