Per conoscere l’esperienza
spirituale di Ignazio di Loyola, è necessario ripercorrere le tappe più significative
della sua storia. A partire dal vertice: «Et ogni volta et hora che voleva trovare Dio, lo trovava».
Considerate da questo punto
di vista, le «visioni» sono i punti-luce attraverso i quali Ignazio stesso,
alla fine della sua vita, riconosce tutto il disegno divino della sua vita.
Manresa: gli scrupoli
Momento
centrale del cammino di Ignazio è Manresa, dove egli fa un’esperienza
straordinaria di Dio, potremmo dire, il suo «Paradiso». In un primo tempo,
però, Ignazio viene sottoposto ad un periodo di purificazione, durante il
quale «gli accadeva molte volte di
vere in aria, in pieno giorno, vicino a sé, una cosa che gli dava molta
consolazione, perché era molto bella, estremamente bella. Non riusciva a
comprendere bene che genere di cosa fosse, ma gli pareva che in qualche modo
avesse forma di serpente e avesse con molte cose che brillavano come occhi,
ma non lo erano».
Le
conseguenze di questa visione sono molteplici. È sottoposto alla tentazione
di riprendere la vita di prima, mentre sperimenta «grandi cambiamenti nella sua anima» che lo fanno passare
repentinamente dall’aridità, tristezza e desolazione alla consolazione. È «molto tormentato da scrupoli»,
derivanti dalla memoria dei peccati commessi nella vita passata, già
confessati, e che diventano sempre più sottili e angoscianti. Invoca l’aiuto
del Signore e «cominciò a gridare
verso Dio ad alta voce». Pensa «di
gettarsi da una grande buco che c’era in quella camera, proprio vicino al
punto dove faceva orazione», ma vince questa idea per non offendere
Dio.
Fa
un grande digiuno che lo porta allo stremo delle forze e che abbandona per
obbedire al comando del confessore, rimanendo per due giorni libero dagli
scrupoli. Il terzo, dopo un ultimo ritorno degli scrupoli, è liberato «come da un sogno». Infine, in base
all’esperienza fatta, prende la decisione di «non confessare più nessuna cosa passata; da quel giorno in poi, rimase
libero da quegli scrupoli, ritenendo come cosa certa che Nostro Signore lo
aveva voluto liberare per sua misericordia».
Terminato
questo primo periodo Dio insegna ad Ignazio, come ad un bambino, i misteri
della fede attraverso alcune visioni intellettuali: della Trinità «sotto forma di tre tasti»; di come
Dio aveva creato il mondo: «una cosa
bianca, dalla quale uscivano raggi e con la quale Dio faceva luce»;
della presenza di Gesù Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento: «come dei raggi bianchi che scendevano
dall’alto»; dell’umanità di Cristo «come un corpo bianco non molto grande né molto piccolo, senza, però,
vedere distinzione alcuna di membra», e di Maria «allo stesso modo, senza distinzione di
membra».
Ignazio stesso ci dice il significato che ebbero
queste visioni nella sua vita: «queste
cose, che egli ha visto, lo
confermarono e gli diedero poi per sempre tanta fermezza nella fede da
pensare molte volte tra sé che, anche se non ci fosse la Scrittura a insegnarci
queste cose della fede, egli si deciderebbe a morire per esse soltanto in
forza di quello che egli ha visto».
Infine, sulla riva del fiume Cardoner, Ignazio sperimenta
la «grande luce», alla quale lungo il corso della sua vita farà più volte
riferimento per comprendere e seguire lo svolgersi del disegno di Dio su di
lui: «si sedette un poco con la faccia rivolta al torrente che scorreva in
basso. Mentre stava lì seduto, cominciarono ad aprirglisi gli occhi della
mente: non è che avesse una visione, ma capì e conobbe molte cose, sia delle
cose spirituali che delle cose concernenti la fede e le lettere, e questo con
un’illuminazione così grande che tutte le cose gli apparivano come nuove. Non
si possono descrivere tutti i particolari che allora egli comprese, sebbene
essi fossero molti, ma si può solo dire che ricevette una grande luce
nell'intelletto. [E questo di restare con l'intelletto illuminato si verificò
in maniera così forte, che gli pareva di essere come un altro uomo e di avere
un altro intelletto, diverso da quello che aveva prima.]».
Anche
di questa visione Ignazio ci offre il suo commento, rivelandoci che «in tutto il corso della sua vita, fino ai sessantadue anni compiuti,
mettendo insieme tutti e quanti gli aiuti ricevuti da Dio, e tutte e quante
le cose che aveva appreso, anche riunite tutte insieme, non gli sembrava di
aver imparato tanto come in quella sola volta».
Subito
dopo ha di nuovo la visione del serpente che ora, a confronto con la «grande
luce», riconosce come il demonio: «andò ad inginocchiarsi ai
piedi di una croce, che si trovava lì vicino, per ringraziare Dio. Lì gli
apparve quella visione che molte volte gli era apparsa, e che mai era
riuscito a comprendere, cioè quella cosa di cui già sopra si è parlato e che
gli sembrava molto bella, con molti occhi. Ma ora, stando davanti alla croce,
vide bene che quella cosa così bella non aveva più il colore di prima, ed
ebbe una chiarissima conoscenza, accompagnata da un grande assenso della
volontà, che quello era il demonio».
L’esperienza di Manresa era
stata preparata. Innanzitutto a Loyola, dove Ignazio era ritornato dopo la
grave ferita alle gambe sofferta nella battaglia di Pamplona del 1521.
Durante la convalescenza, una notte Ignazio vede Maria con il bambino Gesù: «Ormai i pensieri di prima stavano
scomparendo, grazie ai santi desideri che aveva e che gli furono confermati
da una visione in questo modo. Una notte, mentre era ancora sveglio, vide
chiaramente un’immagine di Nostra Signora con il santo Bambino Gesù. A tale
vista, durata un notevole spazio di tempo, ricevette una consolazione molto
intensa e rimase con tale schifo di tutta la sua vita passata, specialmente
delle cose carnali, da sembrargli che fossero scomparse dall’anima tutte le
immaginazioni che vi teneva prima impresse e vivamente raffigurate».
Il
frutto di questa visione: «da quel momento fino all’agosto 1553 in cui si scrive
questo, non diede mai neppure il più piccolo consenso alle sollecitazioni
della carne; e proprio da questo effetto si può giudicare che la cosa veniva
da Dio, anche se egli non osava sentenziarlo con tutta certezza e non diceva
nulla di più che affermare quanto detto sopra. Però, sia il fratello che
tutte le altre persone di casa capirono dal comportamento esterno il cambiamento
che si era prodotto nella sua anima interiormente».
Il cammino di Ignazio, dopo
il «Paradiso di Manresa», continua. Innanzitutto attraverso la visione di
Cristo che lo accompagna nel suo viaggio a Gerusalemme e fino agli inizi degli
studi: «Mentre si trovava lì [Padova], gli apparve Cristo nel modo in cui di
solito gli appariva, come abbiamo detto sopra, e lo confortò molto (…) molte volte gli appariva nostro Signore,
che gli infondeva molta consolazione e forza. Gli sembrava di vedere una cosa
rotonda e grande, come se fosse d’oro; e gli si rappresentava questo dopo
che, partiti da Cipro, giunsero a Giaffa (…) Mentre percorreva quelle strade [di Gerusalemme], trattenuto in quel modo dal cristiano
della cintura, ricevette grande consolazione da nostro Signore: gli sembrava
di vedere continuamente Cristo sopra di sé».
Durante
gli studi, che Ignazio farà prima in Spagna (Alcalà e Salamanca) e poi a
Parigi, le visioni intellettuali si interrompono. Un momento particolare di questo
periodo avviene a Rouen, dove Ignazio ebbe «una grande consolatione et sforzo spirituale con tanta allegrezza,
che cominciò a gridare per quei campi et parlar’ con Dio».
Come
appare da questa descrizione, non si tratta propriamente di una visione come
le altre. Di fatto, però, questa grande consolazione rappresenta un passaggio
decisivo. Attraverso di essa, infatti, Dio spinge Ignazio a lasciare i «suoi»
compagni per disporsi a ricevere i compagni «di Gesù». Ritornato a Parigi,
infatti, Ignazio decide di non parlare più delle cose di Dio, ma di dedicarsi
solo allo studio. Ed è proprio in questo tempo che egli «conversava con Mro. Pietro Fabro et con
Mro. Francesco Xavier, li quali poi guadagnò a servizio di Dio per mezzo
degli Exercitii».
Terminato
il periodo di studi, in occasione dell’ordinazione sacerdotale e mentre
attende, insieme con i primi «compagni di Gesù», di imbarcarsi per
Gerusalemme le visioni intellettuali ritornano: «In quel tempo che fu a
Vicenza hebbe molte visioni spirituali, et molte quasi ordinarie
consolationi; et per il contrario quando fu in Parigi; massime quando si
cominciò a preparare per essere sacerdote in Venetia, et quando si preparava
per dire la messa, per tutti quelli viaggi hebbe grandi visitationi
spirituali, di quelle che soleva havere stando in Manressa».
La Storta e Roma
Un’altra
tappa fondamentale è la visione avvenuta nella frazione de La Storta, alle porte di
Roma. Non essendo partiti per Gerusalemme, Ignazio e i primi compagni di Gesù
scendono a Roma per adempiere la seconda parte del voto di Montmartre:
offrirsi al Papa, Vicario di Cristo, per essere inviati in qualsiasi parte
del mondo. Ignazio, che «in questo
viaggio fu molto specialmente visitato da Dio», da parte sua, aveva
deciso «dipoi che fosse sacerdote,
di stare un anno senza dire messa, preparandosi et pregando la Madonna lo volesse
mettere col suo figliolo».
Arrivato
in prossimità della cappellina de La Storta, Ignazio «facendo oratione, ha sentito tal mutatione nell’anima sua, et ha
visto tanto chiaramente che Iddio Padre lo metteva con Cristo, suo figliuolo,
che non gli basterebbe l’animo di dubitare di questo, senonché Iddio Padre lo
metteva col suo figliuolo».
A
Lainez, uno dei tre compagni con i quali fece quel viaggio, l’altro era
Fabro, Ignazio disse che gli parve di «vedere
Cristo caricato della croce e, accanto a Lui, il Padre che gli diceva: Voglio
che tu prenda costui come tuo servitore. Gesù allora lo prendeva dicendo:
Voglio che tu ci serva. Perciò, essendogli venuta una grande devozione per
questo nome santissimo, volle che la congregazione si chiamasse Compagnia di
Gesù».
Nadal,
che Ignazio inviava personalmente nelle comunità dei gesuiti per raccontare
come era nata la Compagnia
di Gesù, testimonia che «quando gli apparve Cristo con la croce… e
il Padre gli disse: Vi sarò propizio a Roma, faceva capire chiaramente che
Dio ci sceglieva come compagni di Gesù».
Alla
luce di queste tre testimonianze, la visione si rivela innanzitutto come
risposta alla preghiera di Ignazio di «essere messo con il Figlio». Questa
risposta però coinvolge non solo Ignazio, «voglio che tu ci serva», ma anche tutto il gruppo dei
compagni, «ci sceglieva». Il
Padre quindi mette «con Gesù» Ignazio e tutti gli altri compagni, eleggendoli
e confermandoli tutti insieme come «compagni di Gesù».
E siamo di nuovo a Roma, dove Ignazio toglie per un
attimo il velo della sua esperienza spirituale e ci dice che «anche
adesso havea molte volte visioni, maxime quelle, delle quali di sopra si è detto,
di veder Cristo come sole. Et questo gli accadeva spesso andando parlando di
cose di importanza, et quello gli faceva venire in confirmatione (…) Quando diceva messa, haveva anche molte visioni; et che quando faceva
le constitutioni le haveva anche molto spesso (…) erano visioni, che lui vedeva in
confirmatione di alcuna delle constitutioni, et vedendo alle volte Dio Padre,
alle volte tutte le tre persone della Trinità, alle volte la Madonna che intercedeva,
alle volte che confirmava».
Trovare Dio in ogni momento
è il «vertice» dell’esperienza spirituale di Ignazio. Questo punto di arrivo
è proposto a tutti coloro che vivono l’esperienza degli Esercizi spirituali,
come è scritto nel secondo preambolo della Contemplazione per ottenere amore:
«chiedere ciò che voglio: sarà qui chiedere conoscimento interno di tanto
bene ricevuto, affinché io interamente riconoscendo, possa in tutto amare e
servire sua divina Maestà» (233).
Il vertice dell’esperienza spirituale di
Ignazio non si apre soltanto al soggetto «singolo», ma anche al soggetto
«collettivo», come la
Compagnia di Gesù: «… li si esorterà spesso a
cercare in ogni cosa Dio nostro Signore, rigettando da sé, per quanto è
possibile, l'amore di tutte le creature, per riporlo nel loro Creatore,
amando in lui tutte e tutte in lui, conforme alla sua santissima e divina
volontà.
E nell’ultima parte: «Per conservare e
sviluppare non soltanto il corpo, cioè quello che è esterno della Compagnia, ma
anche il suo spirito, e per conseguire il suo fine, che è di aiutare le anime
al raggiungimento del loro fine ultimo soprannaturale, i mezzi che
congiungono lo strumento con Dio e lo dispongono a lasciarsi guidare dalla
sua mano divina sono più efficaci di quelli che lo dispongono verso gli
uomini. Tali sono i mezzi di bontà e virtù, e specialmente la carità e
l'intenzione pura del servizio divino e la familiarità con Dio nostro Signore
negli esercizi spirituali di devozione, e lo zelo sincero delle anime, alieno
dal cercare altro vantaggio se non la gloria di chi le ha create e redente.
Pertanto, si ritiene che tutti insieme si debba aver cura che tutti quelli
della Compagnia si diano alle solide e perfette virtù e alle cose spirituali».
Ignazio ha trovato Dio
nella «grande luce» del Cardoner e in quel «Paradiso» è rimasto tutta la sua
vita. Gli Esercizi spirituali, che sono la vita di Ignazio espressa in un modo
universale, ci fanno entrare e rimanere in Dio. Solo nella «grande luce» si
può raggiungere il frutto descritto nel Titolo: «Esercizi
spirituali per vincere se stesso e ordinare la propria vita, senza decidersi
attraverso affezione alcuna che sia disordinata» (21).
Per
entrare nella «grande luce» occorre però una condizione: «colui che dà» e
«colui che riceve» gli Esercizi devono essere uniti nel nome di Gesù. Per
assicurare tale unità, Ignazio dispone, immediatamente dopo il Titolo, una breve nota chiamata Presupposto: «Affinché così colui
che dà gli esercizi spirituali, come colui che li riceve, più si aiutino e si
avvantaggino, si deve presupporre che ogni buon cristiano deve essere più
pronto a salvare la proposizione del prossimo che a condannarla; e se non la
può salvare, indagherà in che modo la intende; e, se male la intende, lo
corregga con amore; e se non basta, cerchitutti
i mezzi convenienti affinché, ben intendendola, si salvi» (22).
L’unità è alla base degli Esercizi spirituali. In quanto esperienza
«dello Spirito Santo», essi sono possibili soltanto se i due protagonisti,
«colui che dà» e «colui che riceve», stanno tra loro come il Padre e il
Figlio nella Trinità. Prima di ogni «esercizio spirituale» essi devono
premettere l’amore reciproco (Spirito Santo prima) che, facendoli uno, rende presente in mezzo a loro e in
loro Gesù (un «di più» di Spirito Santo dopo). Gli Esercizi spirituali sono quindi possibili perché Gesù in mezzo è «Colui» che li dà e li
riceve e ne è il loro mezzo, contenuto e fine. In questo senso allora
il Presupposto racchiude sinteticamente l’aspetto soggettivo (personale e
collettivo) e metodologico.
Ma
l’unità è anche il cammino oggettivo degli
Esercizi. Nelle quattro settimane infatti vengono proposti alla preghiera
personale dell’esercitante gli avvenimenti della storia di salvezza. Per
rendercene conto, è sufficiente considerare i cinque esercizi che in un certo
modo rappresentano le «colonne» dell’intero itinerario degli Esercizi.
Il
Principio e fondamento (23), nel quale l’unità è meditata come il disegno di
Dio sul-l’umanità. L’esercizio del Re (91-99), chiave di lettura della
contemplazione dei «misteri di Cristo», nel quale il Signore Gesù chiama
tutto l’universo e ciascuno in particolare a condividere il suo ideale,
l’unità.
La Cena (190-199), sacramento di unità, che dà inizio alla
contemplazione della passione. L’Apparizione di Gesù risorto a Maria
(218-225), compimento e inizio della nuova creazione, chiave di lettura della
contemplazione dei misteri della risurrezione. E infine, la Contemplazione
per ottenere amore (231-236), nella quale l’esercitante, fatto uno con il
Figlio, contempla l’unità del cielo e della terra, Dio tutto e in tutti.
Negli
Esercizi l’ultimo mistero della vita di Cristo che si contempla è
l’Ascensione. La
Pentecoste rimane «davanti» all’esercitante come il tempo
futuro che lo attende una volta terminato il mese (cf. Contemplazione per
ottenere amore) e gli è «alle spalle», nel passato, come evento fondante la
sua personale esperienza dello Spirito (cf. Principio e fondamento).
Gli
Esercizi spirituali si vivono dunque nel «giorno dello Spirito Santo», nel giorno di Pentecoste, perché
questo è il giorno del tempo presente, l’eterno presente della Chiesa e del
Signore Risorto presente in mezzo ad essa, l’eterno presente del Paradiso e
della «grande luce».
Gli
Esercizi dunque ci fanno entrare e rimanere nella «grande luce». E questo
vale per i contenuti (i misteri della vita di Cristo), la metodologia, cioè,
il concreto concatenarsi progressivo (le quattro settimane) di vari tipi di esercizi
spirituali (meditazioni, contemplazioni, esami, applicazione dei sensi, ecc.)
e infine per la forma di ogni singolo esercizio. Negli Esercizi la «grande
luce» si incarna in un itinerario e
un metodo: universale, progressivo, globale, flessibile, limitato nel
tempo e ripetibile.
Per
delineare alcuni tratti dell’esperienza spirituale che deriva dalla «grande
luce» di Manresa, mi riferisco alla «giornata tipo» che caratterizza la
seconda, terza e quarta settimana degli Esercizi, quindi, la maggior parte
dell’itinerario. In questa «giornata» Ignazio propone cinque esercizi per la
contemplazione dei misteri della vita di Cristo e di Maria.
Primo
e secondo esercizio, due contemplazioni di due misteri (102-104). La
contemplazione inizia con la preghiera preparatoria e tre preamboli: il
primo, «ricordare la storia che voglio contemplare»; secondo, con i sensi
dell’immaginazione la «composizione vedendo il luogo»; terzo, «domandare ciò
che voglio», ovvero, nella seconda settimana «conoscimento interno del
Signore, che per me si è fatto uomo,
affinché più lo ami e lo segua», nella terza, «dolore, dispiacere e
confusione, perché per i miei peccati il Signore va alla passione … dolore
con Cristo addolorato, strazio con Cristo straziato, lacrime, intima pena di
tanta pena che Cristo soffrì per me» (193 e 203); nella quarta, «rallegrarmi
e godere intensamente di tanta gloria e gioia di Cristo nostro Signore»
(213).
Dopo
questi preamboli inizia la parte centrale della contemplazione (106-109). Si
tratta di «vedere le persone», «ascoltare ciò che dicono», «osservare ciò che
fanno» e, in ciascuno di questi tre movimenti, «riflettere in me stesso»,
cioè, diventare uno con ciò che si vede e si ascolta, lasciarsi unire e
unirsi alla persona che si contempla. Quindi, alla luce di questa relazione
unitiva e unificante, l’esercitante è invitato a «ricavare profitto», trarre
frutto, cambiamento, avanzamento. Infine la contemplazione termina con un
colloquio con la persona che si contempla.
Terzo
e quarto esercizio, ripetizione (118).
Si tratta di ritornare sui punti più importanti, dove ci sono stati i
maggiori e più forti movimenti dell’anima, sentimenti spirituali, mozioni,
ecc. Si fa ripetizione per andare in profondità, interiorizzare,
personalizzare, semplificare, per lasciar parlare e agire in sé colui che si
contempla, per stabilire con la persona che si contempla una relazione sempre
più interiore e profonda.
Quinto
esercizio, esercitare i cinque sensi (121-126).
Si tratta di «passare i cinque sensi dell’immaginazione per (attraverso, su)»
le contemplazioni dei due misteri della vita di Cristo e Maria. Il primo
punto è «vedere le persone con la vista immaginativa»; il secondo, «udire con
l’udito ciò che dicono o possono dire»; il terzo, «odorare e gustare con
l’olfatto e con il gusto l’infinita soavità e dolcezza della divinità
dell’anima e delle sue virtù e di tutto, secondo la persona che si
contempla»; il quarto, “toccare con il tatto… abbracciare e baciare i
luoghi». In ciascuno di questi punti sempre si deve «riflettere in se stesso»
e «ricavare profitto». Quindi l’esercizio si conclude con il colloquio.
Perché Ignazio propone per un così lungo periodo (tre settimane
su quattro) questo «esercizio dei sensi» come conclusione della giornata di
Esercizi? Credo che Ignazio voglia condurre la persona che contempla ad
esercitare la propria «sensibilità
spirituale», quella dell’uomo nuovo in Cristo.
Nella
contemplazione e nell’esercizio dei sensi l’esercitante conosce la persona di
Gesù e Maria, entra in contatto con il loro modo di sentire e, in
particolare, con la «divinità dell’anima». Egli, cioè, entra
dentro la loro anima e vi trova e fa esperienza di Dio.
Nello
stesso tempo, però, mentre sente e gusta la persona di Gesù, o Maria o la
loro relazione reciproca, l’esercitante conosce il suo personale modo di sentire, entra dentro la sua anima e
diventa sempre più capace di «sentire e gustare le cose internamente» (5),
cioè, di sentire e gustare Dio in sé e fuori di sé, nell’altro e insieme con
l’altro.
Nella
«relazione sensibile» con Gesù e Maria l’esercitante impara a trovare Dio nella «sua» anima. Nella
reciproca in abitazione, raggiunta attraverso l’esercizio dei sensi nella
loro dimensione più interna, la sensibilità dell’esercitante diventa capace
con sempre maggiore immediatezza
di amare, sentire, trovare Dio e compiere la sua volontà.
Il
primo tempo di elezione, quello più perfetto e sicuro, è il risultato di
questa immediatezza: «quando Dio nostro Signore così muove e attrae la
volontà che, senza dubitare né poter dubitare la tal anima devota segue ciò
che è mostrato; così come san Paolo e san Matteo lo fecero nel seguire Cristo
nostro Signore» (175).
La
contemplazione, che raggiunge il suo vertice nell’esercizio dei sensi, è una relazione di unità tra colui che
contempla e colui che è contemplato. Essi stanno quindi come il Padre e il Figlio.
Il «frutto» che si ricava è quindi Spirito Santo, Gesù in me ed io in lui,
l’uomo nuovo che tutto ricapitola in sé, che tutto sente in sé.
Potremmo dire quindi che ’esperienza spirituale per Ignazio è
un sentire che discerne se
stesso ed elegge in se stesso ciò che è riconosciuto come volontà del Padre.
Interessante
a questo riguardo è il passaggio che Ignazio fa dal «riflettere in me stesso» nella contemplazione al «riflettere in se stesso»
nell’esercizio dei sensi.
Attraverso la contemplazione e l’esercizio dei
sensi, il «sentire di Dio» diventa il «mio
sentire». In Gesù, da me conosciuto sensibilmente, io e il Padre sentiamo e
operiamo come uno (cf. Gv 10, 30; 1
Cor 6, 17).
La
«grande luce» del Cardoner ha condotto Ignazio a «trovare Dio ogni volta che
voleva», come dire, ad «amare Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio».
Questa grazia corrisponde alla «visione» della realtà sperimentata nel
Paradiso, è la partecipazione alla
visione e all’azione dello Spirito Santo che unisce l’umano e il divino in una sola Realtà,
quella di cui l’esercitante, nella contemplazione e nell’esercizio dei sensi, fa esperienza in Gesù e Maria e in sé,
nell’Anima di Cristo che è anche la sua. L’esercitante, in altre parole,
contemplando la Luce
diventa Luce che vede e compie la volontà del Padre che è anche la Sua.
Sensi
umani, dell’immaginazione e spirituali. Sensi che entrano in relazione con
l’umanità e la divinità di Cristo. Proiettando i propri sensi fuori di sé in Cristo, la persona
che contempla si apre e si dispone a ricevere la divinità, o meglio e in più,
a lasciar manifestare lo Spirito
Santo che già è in
lei. Questa apertura è uno svuotamento, è un consegnare il proprio spirito
nelle mani di un altro, è un morire per amore: modello e via di questa
esperienza è Gesù abbandonato, nel
quale l’esercitante trova la sua «nuova» sensibilità.
Contemplando
Cristo e Maria, applicando alle loro persone i suoi sensi, entrando cioè in una «relazione sensibile» con la Luce, l’esercitante è
condotto, dentro i suoi sensi e con i suoi sensi, cioè con tutta la sua
persona, a sentire in sé come Luce la Realtà.
Sentire Cristo rende capace
l’esercitante di sentire la
Realtà nell’unità e
distinzione di increato e creato, Dio tutto in tutti, Paradiso,
«grande luce». E, diventato Luce, egli è reso capace di sentire e compiere la
volontà di Dio.
Così Ignazio concludeva la maggior parte delle sue
lettere: «pregando la Santissima Trinità che per la sua infinita e somma
bontà ci dia grazia abbondante perché sentiamo la sua santissima volontà e la
compiamo interamente».
Inizio
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