Articolo pubblicato
in Missioni Omi,
5 (2006) 37-39

Altre pagine
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e la ricostituzione
della Compagnia
di Gesù
Chiara Lubich
e i Gesuiti
Il corpo della
Compagnia
di Gesù
La «gratia
Societatis»
secondo il
padre Nadal
Cercare insieme
la volontà di Dio
Le missioni
dei Gesuiti
The deliberation
that started
the Jesuits
Oblazione della
Compagnia
di Gesù
I Gesuiti,
compagni
di Gesù
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Tre
gesuiti, un giubileo. 1
Essere
in missione. 2
I
settori apostolici 4
Tre gesuiti, un giubileo
Per ricordare i 450 anni della morte di sant’Ignazio (31
luglio) e i 500 anni dalla nascita di san Francesco Saverio (7 aprile) e del
beato Pietro Favre (1 aprile) la
Compagnia di Gesù celebra quest’anno l’Anno Saveriano: tre
gesuiti, un giubileo.
I tre si
incontrano provvidenzialmente a Parigi nel 1529, durante gli studi.
Condivisero tutto, fino a diventare «una cosa sola nei desideri, nella volontà e nel fermo proposito di
scegliere la vita, che ora seguiamo tutti noi, i quali facciamo o faremo
parte di questa Compagnia, di cui io non sono degno».
La loro vita di
unità e di comunione fu il terreno nel quale fiorì la Compagnia di Gesù.
Dopo la fondazione del nuovo ordine, i tre partirono in missione.
Ignazio, eletto
generale del nuovo ordine, rimase a Roma: rappresentò il perno, il centro, la
roccia, il punto fermo. Saverio, invece, il grande apostolo dell’Oriente, fu
il raggio che partì e arrivò fino ai confini del mondo. Favre, infine,
manifestò l’anima che accoglie in sé tutto il mondo, che ricevette il carisma
dell’accompagnamento spirituale e come nessun altro seppe dare gli Esercizi spirituali.
Ignazio, Saverio
e Favre: il centro, il raggio e l’anima, uniti da quell’unico amore che è «il principale vincolo reciproco per
l’unione delle membra tra loro e con il loro capo. Infatti, se (…) staranno
molto uniti con la sua divina e somma Bontà, lo staranno con tutta facilità
anche tra loro, in virtù dell’unico amore, che da essa discenderà e si
estenderà a tutto il prossimo, specialmente al corpo della Compagnia».
Il loro cuore si proiettò “fuori”, tanto quanto con gli Esercizi Spirituali furono educati
a immergersi “dentro”. Cercarono Dio
fuori di sé, tanto quanto, e forse di più, lo cercarono dentro di sé.
Guardando questi primi tre compagni, si può dire che la vita dei gesuiti è
tutta presa tra questi due fuochi. In mezzo a questi due fuochi, però, non
c’è solo il “singolo” gesuita. C’è innanzitutto il Corpo della Compagnia, quell’unica comunità, sparsa in tutto
il mondo, alla quale egli appartiene e nella quale sperimenta la presenza di
Gesù che chiama i gesuiti ad essere “suoi compagni” e li invia fino ai
confini del mondo.
Come Ignazio, la nostra missione di gesuiti è
caratterizzata dall’obbedienza al Papa: «Anche oggi, in spirito di fede, la
nostra Compagnia riconferma il tradizionale legame d’amore e di servizio, che
la unisce al Romano Pontefice, vuole corrispondere ai desideri che egli le ha
manifestato in diverse occasioni e adempiere alle missioni che le ha
affidato, e allo stesso tempo intende collaborare con il Collegio episcopale
nel servizio dell’evangelizzazione».
Come Saverio, alla luce del cammino fatto insieme alla
Chiesa, come «servitori
della missione di Cristo», ci sentiamo
chiamati e inviati a contribuire con la nostra presenza e testimonianza alla
«difficile ricerca dell’unità del
mondo»[5].
Come Favre, «la nostra missione di gesuiti
raggiunge qualcosa di fondamentale nel cuore umano: il desiderio di trovare
Dio in un mondo sfregiato dal peccato, e vivere poi secondo il Vangelo in
tutte le sue implicazioni». L’esperienza degli Esercizi spirituali, della preghiera
personale nel silenzio della solitudine, rimane ancora un tempo necessario,
affinché la parola comunicata nell’incontro con il fratello edifichi sempre
di più la Chiesa
come «casa e scuola della comunione».
La dinamica di
vita e missione dei gesuiti va quindi vista in una prospettiva trinitaria. Vita dentro, Padre, vita fuori, Figlio,
e Corpo della Compagnia, Spirito, che unisce la vita di dentro e la vita di
fuori. Il Corpo della Compagnia, e quindi la sua missione, è uno,
profondamente uno, mai diviso nella storia della Chiesa né “riformato”. E
profondamente trino, mai uguale a se stesso, sempre in movimento,
cambiamento, ricerca, adattamento, sperimentazione.
Ma i gesuiti, che oggi sono poco meno di ventimila
persone, distribuite in 112 paesi, cosa fanno? Una descrizione sintetica del
nostro impegno apostolico è praticamente impossibile, tanto sono variegate le
opere, le attività e gli impegni che a livello locale, nazionale ed
internazionale fanno riferimento diretto o indiretto alla Compagnia di Gesù.
Opere grandiose che attirano l’attenzione di popoli e
interi continenti. Iniziative, proposte, azioni, più o meno importanti, più o
meno famose, più o meno coinvolgenti. Qualcuna legata al passato, altre
proiettate nel futuro, altre ancora in un processo di transizione e forse di
“passaggio” ad altre mani. Se guardassimo la missione dei gesuiti
dall’esterno, vedremmo tutto questo. E sicuramente molto di più. Proviamo
innanzitutto a guardare “dentro” il loro impegno apostolico.
Il servizio della fede e la promozione della giustizia, «di quella “giustizia del Vangelo”, la quale è come il sacramento dell'amore e
della misericordia di Dio» è la missione
attuale dei gesuiti che include «come
sue dimensioni integrali, proclamazione del Vangelo, dialogo ed
evangelizzazione della cultura». Esse «nascono da un'attenzione obbediente a ciò che il Cristo risorto sta
compiendo per condurre il mondo alla pienezza del Regno di Dio».
In questi anni abbiamo riscoperto il nostro «essere in
missione» più originario. Ci sentiamo inviati in una missione che non è prima
di tutto un territorio da evangelizzare o un’opera da compiere. Ma un
“essere”, appunto, come scriveva sant’Ignazio quando, concludendo le sue
lettere, spesso pregava che «il Padrone
della vigna, nella sua infinita e sovrana bontà, voglia darci la sua grazia
perfetta, per avere il senso della sua santissima volontà e per compierla
interamente»; oppure invocava «la
Sapienza
eterna di concedere a tutti noi di avere sempre il senso della sua santa
volontà, di provare in essa pace e appagamento, e di compierla interamente».
Fare la volontà di Dio, dunque, essere obbedienti, che
significa essere una cosa sola con la volontà di Dio, ovvero, essere inviati
a compiere l’opera del Padre: come Gesù. Per sant’Ignazio, cioè, la priorità
non è nell’azione o nel lavoro, ma in tutto ciò che fa crescere nei gesuiti
il senso della volontà di Colui che li invia in missione: Gesù Cristo e il
suo Vicario in terra, il Papa. Fare la volontà del Padre, come e con Gesù,
significa quindi, fare la volontà del Papa. Il “quarto voto” quindi come
radice della nostra missione.
Così abbiamo cominciato a parlare di “discernimento
orante”, ricordandoci che negli Esercizi
spirituali la scelta delle azioni da fare viene fatta durante la
contemplazione dei misteri di Cristo. Stiamo cioè
riscoprendo il fatto che, prima di tutto, dobbiamo «ricorrere ai mezzi che congiungono lo strumento con Dio e lo
dispongono a lasciarsi guidare dalla sua mano divina (come) la familiarità con Dio nostro Signore
negli esercizi spirituali di devozione, e lo zelo sincero delle anime, alieno
dal cercare altro vantaggio se non la gloria di chi le ha create e redente».
Inoltre, abbiamo riscoperto una parola con la quale
sant’Ignazio sintetizzava il fine e lo stile della missione: «aiutare le anime». Per essere
questa parola, sentiamo di dover vivere prima di tutto vivere in ascolto
della Parola, contemplare intensamente ogni giorno i misteri della vita di
Cristo, inviato del Padre, e unire sempre di più la preghiera con l’attività
apostolica.
In questo modo, attraverso la nostra testimonianza
personale e comunitaria Gesù stesso può rendersi nuovamente presente nel
mondo: è Lui infatti il “primo” missionario che chiama tutto il mondo creato
e ciascuno in particolare, tutto il Corpo della Compagnia e ogni gesuita , a
seguirlo e a lavorare con lui per ricapitolare tutte le cose in Sé ed entrare
nella gloria del Padre.
In questa luce, ci siamo impegnati a rinnovare alcuni
aspetti del nostro “essere in missione”.
Il primo è il “rendiconto di coscienza”, cioè, il
colloquio che ogni anno ciascuno di noi fa con il provinciale. Durante questo
colloquio, in un clima di amore reciproco e sul modello della Trinità,
avviene il discernimento nello Spirito e l’invio in missione.
Il secondo riguarda la testimonianza della vita
comunitaria. Dice il padre Kolvenbach: «In questi ultimi anni abbiamo dovuto imparare che la missione
comprende anche la testimonianza della vita comunitaria, dove uomini che spesso
non sono affatto destinati a pregare, a vivere e a lavorare insieme rendono
presente, in un mondo di divisioni, di conflitto e di violenza, il
comandamento nuovo del Signore… la volontà di vivere la Chiesa come una
comunione, la vita consacrata come una famiglia di Dio e la Compagnia come un
gruppo di amici nel Signore attraverso l’unione incarnata dei cuori e degli
spiriti, è un’esigenza apostolica che ha sempre fatto parte della nostra
missione, ma che oggi comporta nuovi obblighi».
Ma quali sono allora le missioni, ovvero, le opere, le
attività, gli impegni che caratterizzano la presenza dei gesuiti nella Chiesa
e nel mondo di oggi? Proveremo a guardare questo quadro attraverso alcuni
settori.
Prima di tutto vanno messe in evidenza le case e opere di
Roma, dove vivono circa 450 gesuiti. L’Università Gregoriana, l’Istituto
Biblico e l’Istituto Orientale hanno 3.547 studenti, mentre il Russicum e gli
altri seminari 267 studenti. Dobbiamo poi ricordare la Radio Vaticana, la Civiltà Cattolica
e altre opere internazionali.
Nel settore dell’educazione, formale o informale, il
numero dei gesuiti è abbastanza stabile, mentre cresce il numero dei
collaboratori e delle istituzioni educative. È stato avviato un lavoro
creativo e continuo per assicurare di queste istituzioni l’identità
dell’educazione cristiana proposta e la caratteristica ignaziana. Si vuole
creare un ambiente permeato dello spirito evangelico di libertà e carità,
dove tutti siano aiutati a crescere in umanità sotto la guida dello Spirito.
Il settore sociale, invece, che comprende centri sociali,
forme di inserimento tra i disagiati e di sostegno ai sindacati e movimenti
popolari, vede sempre meno gesuiti impegnati in modo diretto. È però ormai
consolidata nella Compagnia la convinzione che l’opzione preferenziale per i
poveri più che un settore apostolico sia una dimensione di tutti i nostri
ministeri.
In particolare va ricordato il Servizio dei gesuiti per i
rifugiati (JRS, Jesuit Refugee Service), fondato da p. Arrupe nel 1980, e che
oggi, a distanza di 26 anni, con più di 200 milioni di rifugiati, manifesta
ancora di più l’intuizione profetica di quella decisione. In oltre 50 paesi
del mondo, il JRS svolge la missione di accompagnare, servire e difendere i
rifugiati e gli sfollati, tutti coloro che sono allontanati dalle proprie
case a causa di conflitti, tragedie umanitarie o violazioni dei diritti
umani. L’organizzazione coinvolge oltre 500 persone a tempo pieno fra
gesuiti, altri religiosi e laici ed è parte integrante dell’apostolato
sociale della Compagnia di Gesù.
Per quanto riguarda il settore della spiritualità, la
nostra iniziativa più recente è quella di aprire centri di spiritualità. In
mezzo alla città, come a Nagasaki, per esempio, o in periferia, come a
Douala, in Camerun. Nei programmo di questi centri troviamo gli Esercizi spirituali, soprattutto
come itinerario da vivere nella vita quotidiana, e sessioni sulla sofferenza,
sulla solitudine, sul perdono e il benessere spirituale e psicologico. Questi
centri di spiritualità promuovono anche l’ecumenismo e il dialogo
interreligioso: in Giamaica, per esempio, il centro è un punto d’incontro tra
cattolici, episcopaliani e battisti; in Algeria ed Etiopia con i musulmani.
Concludo con una bellissima pagina di
san Francesco Saverio che ci apre il suo cuore di missionario: «Termino così senza poter finire di
scrivere il grande amore che provo per tutti voi in generale e in
particolare; e se in questa vita presente si potessero vedere i cuori di
coloro che si amano in Cristo, credete, Fratelli miei carissimi, che nel mio
voi vi vedreste chiaramente. E se non vi riconosceste, mirandovi in esso,
sarebbe perché io vi tengo in tale stima e voialtri, stante la vostra virtù,
vi tenete in tale disprezzo che, a causa della vostra umiltà, sareste
impediti di vedervi e conoscervi in esso, e non certo perché le vostre
immagini non siano impresse nella mia anima e nel cuore. Molto vi supplico
perché vi sia tra voi un vero amore, non lasciando germogliare amarezze
nell’animo. Trasformate una parte del vostro fervore nell’amarvi gli uni con
gli altri e una parte del desiderio di soffrire per Cristo, in un patire per
Suo amore, vincendo in voialtri tutte quelle ripugnanze che non lasciano
crescere questo amore. Voi sapete infatti ciò che disse Cristo: che in questo
Egli conosce i Suoi, se si ameranno gli uni con gli altri. Dio nostro Signore
ci faccia sentire dentro le nostre anime la Sua santissima volontà e la grazia per
adempierla perfettamente… Il tutto vostro carissimo fratello in Cristo».
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