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by Paolo Monaco sj

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Esercizi >
Discernimento

Il discernimento spirituale personale

Lezione al corso di studi «Svegliate il mondo!» (Loppiano, 2017)

 

 

 

 

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degli «Esercizi
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Esercizi
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nella Vita
Ordinaria
(EVO)

 

Titolo e
Presupposto

 

Tre modi
di pregare

 

Come mi
è andata

 

Il movimento
della Parola

 

 

 

 

La lezione è pubblicata in
«Leadership carismatica»,
a cura di Tiziana Longhitano
e Theo Jansen,
Urbaniana University Press,
Roma 2019, pp.
95-116.

 

Programma 2017
«Svegliate il mondo»

 

 

 

1. INTRODUZIONE

 

1.1. Un mezzo abituale e necessario

 

1.2. Le “mozioni interiori”

 

1.3. L’affettività

 

1.4 Un patto di amore reciproco

 

2. ORDINARE LA PROPRIA VITA

 

2.1. Verità, oggettività e libertà

 

2.2 Conoscere la persona

 

3. UN GRANDE DESIDERIO

 

3.1. Bene o male

 

3.2. Utilizzare i mezzi

3.3 Amore oltre i limiti

 

3.3 Amore oltre i limiti

 

3.4 Un occhio semplice

 

3.5 In unità con la Chiesa

 

3.6 Tre tempi per fare elezione

 

4. ESSERE LUCE

 

4.1. Una relazione “sensibile”

 

4.2. Trovare Dio in ogni momento

 

BIBLIOGRAFIA

 

LABORATORIO

 

ALTRI TESTI

 

 

 

ABSTRACT

In questo contributo l’autore propone, alla luce degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola e del magistero di Papa Francesco, alcune considerazioni sul discernimento spirituale personale. Dopo una introduzione generale sul discernimento, si offrono delle indicazioni su come accompagnare un processo di discernimento e, infine, si approfondiscono le condizioni e gli elementi fondamentali del discernimento spirituale personale.

 

PAROLE CHIAVE

persona, coscienza, scelta, discernimento, mozione interiore, contemplazione, Ignazio di Loyola, Papa Francesco.

 

 

 

1. INTRODUZIONE

 

Con la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate la dimensione personale della vita cristiana viene recepita tra i documenti del Magistero per essere integrata sempre di più nel tessuto ordinario della Chiesa a tutti i livelli, soprattutto nella iniziazione cristiana e nei programmi formativi dei sacerdoti e dei consacrati e consacrate:

 

«Perché una formazione sia efficace è necessario che sia basata su una pedagogia strettamente personale, e non si limiti ad una proposta uguale per tutti di valori, di spiritualità, di tempi, di stili e di modi. Siamo di fronte alla sfida di una personalizzazione della formazione in cui si recuperi realmente il modello iniziatico. L’iniziazione esige il contatto del maestro con il discepolo, un camminare fianco a fianco, nella fiducia e nella speranza»[1].

 

Una pedagogia personale richiede che il formatore, l’accompagnatore spirituale, il confessore e chi riveste un ruolo di leadership siano preparati nel discernimento spirituale[2].

 

 

 

1.1. Un mezzo abituale e necessario

 

Discernere per scegliere è un’attività quotidiana e abituale di tutti:

 

«Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (GE 167).

 

Il discernimento spirituale personale è un mezzo necessario che tutti i cristiani sono chiamati a utilizzare per trovare la propria via di santità:

 

«“Ognuno per la sua via”, dice il Concilio. […] Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cf. 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza» (GE 11).

 

La partecipazione personale alla comunione trinitaria avviene per la mediazione di Gesù Risorto nella storia attraverso molteplici vie sociali ed ecclesiali. Occorre accompagnare la crescita di Gesù nella persona secondo la sua concreta umanità (età, condizione, cultura ecc.):

 

«Il disegno del Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché “la santità non è altro che la carità pienamente vissuta”. Pertanto, “la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua”. Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo» (GE 21).

 

Discernere significa “ascoltare la voce” dello Spirito che parla in me, nell’altro, nell’umanità e nella Chiesa, rivelandomi la volontà del Padre e il mio desiderio più profondo e autentico:

 

«Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione. Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi. Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita» (GE 23-24).

 

Discernere, in ultima analisi, vuol dire partecipare del discernimento che Gesù compie nella sua interiorità (Spirito santo), che è anche la nostra, per cercare, trovare, scegliere e fare la volontà del Padre: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 22-23).

 

Il Vangelo ci rivela che Gesù stesso ha imparato, e poi insegnato, a riconoscere in sé (mozioni interiori) e negli altri (mediazioni esteriori) la volontà del Padre e gli inganni del nemico. Come pure ha insegnato agli apostoli ad accompagnare nel discernimento le persone e la Chiesa.

 

 

 

1.2. Le “mozioni interiori”

 

Che cosa bisogna discernere? «È opportuno chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio. Questo implica non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo» (EG 51)[3].

 

Ecco il discernimento: riconoscere, interpretare e scegliere le mozioni interiori. Cosa sono? Per “mozione interiore” si intende un movimento dell’affettività, percepito come un impulso, un’inclinazione ad agire che può venire dalla mia libertà e volontà, oppure da due forze (spiriti) opposti: uno buono o uno cattivo: «Presuppongo che in me esistono tre tipi di pensieri: uno mio proprio, che proviene unicamente dalla mia libertà e volontà; e altri due che vengono dall’esterno: uno dallo spirito buono e l’altro dal cattivo»[4].

 

Bisogna infatti essere consapevoli che nelle nostre decisioni possiamo essere ingannati o possiamo ingannarci da noi stessi e che il discernimento è una dimensione costitutiva della vita cristiana, forse si potrebbe dire che la vita cristiana è discernimento!

 

Gesù, insegnando il Padre nostro, ha dedicato l’ultima invocazione alla tentazione e alla liberazione dal male-maligno: «E non ci abbandonare nella tentazione, ma liberaci dal male [maligno, ndr]» (Mt 6, 13).

 

Ancora di più nella preghiera per l’unità Gesù dice: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno» (Gv 17, 15). Prima di chiedere al Padre «che tutti siano uno» (cf. Gv 17, 21-23) egli chiede per tutti noi il dono del discernimento!

 

La maggior parte delle nostre scelte di ogni giorno avviene non in base a ragionamenti e conclusioni, ma sotto la spinta reale, anche se non consapevole, di sensazioni, sentimenti, desideri, paure ecc. Come pure sotto l’influsso di tanti condizionamenti esterni che minacciano la nostra libertà:

 

«Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i “segni dei tempi” – per riconoscere le vie della libertà piena: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1 Ts 5, 21)» (GE 168).

 

Non si tratta di vedere se quello che facciamo è bene o male, ma di prendere atto di quanto avviene dentro di noi anche a nostra insaputa, in modo da progredire sempre più verso una maggiore trasparenza. Non c’è vero progresso spirituale se non si prende consapevolezza del mondo che portiamo dentro.

 

Il cammino di fede proposto nella Bibbia, in particolare il cammino dei discepoli al seguito di Gesù, è caratterizzato dall’emergere progressivo di queste reazioni umane. Proprio perché queste realtà nascoste vengono alla luce, Gesù ha la possibilità di educare i suoi discepoli, purificando i pensieri e i sentimenti del loro cuore. Se invece questi movimenti rimanessero nell’ombra, continuerebbero ad esercitare la loro azione, lasciando nell’illusione di essere penetrati nelle vie di Dio.

 

Bisogna notare che nella letteratura magisteriale le “mozioni interiori” sono quasi del tutto inesistenti oppure vengono citate senza nessun approfondimento, rispetto alla lunga e articolata presentazione delle “mediazioni esteriori”[5].

 

In ampi settori ecclesiali prevale ancora la visione della vita cristiana come obbedienza a una mediazione esteriore (personale o collettiva) ritenuta la sola capace o autorizzata a discernere la volontà di Dio. La mediazione esteriore invece è in qualche modo al servizio del discernimento che avviene nel cuore delle persone e nella rete di relazioni del popolo.  Papa Francesco ci ricorda: «Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37)[6].

 

 

 

1.3. L’affettività

 

Le mozioni interiori sono un movimento dell’affettività. Ma cos’è l’affettività? «È la presa di coscienza della reazione globale dell’essere vivente a contatto con il suo ambiente vitale, in modo tutto particolare a contatto con il suo ambiente interpersonale»[7]. Possiamo individuare tre livelli o dimensioni dell’affettività.

 

Affettività sensibile: quando lo stimolo che provoca la nostra reazione è di ordine sensibile ed è percepito attraverso i sensi (il timore, la paura di fronte ad una minaccia alla nostra integrità fisica, alla malattia o alla violenza di un aggressore ecc.).

 

Affettività culturale: quella destata in noi dalla percezione di un valore o disvalore appreso attraverso l’intelligenza (l’entusiasmo per la giustizia o lo sdegno per l’ingiustizia ecc.).

 

Questi due livelli sono distinti, non riducibili uno all’altro, ma non separati, perché unico è il soggetto che li sente ed esprime. Uno risuona nell’altro, ciò che si percepisce nell’affettività culturale “ridonda” in quella sensibile e viceversa: la confusione per aver commesso un errore mette in movimento la sensibilità magari fino al pianto; una febbre mette in difficoltà l’esercizio dell’affettività culturale come potrebbe essere il godimento estetico ecc.

 

Affettività spirituale: lo Spirito Santo opera una ricreazione, in quanto infonde la fede nella nostra intelligenza e la rende capace di cogliere valori specificamente cristiani. In risposta al loro stimolo reagiamo con le altre due “energie” infuse, cioè con la speranza e la carità. Nasce dunque in noi, mediante il dono dello Spirito, un’affettività nuova, spirituale, quella specifica dei figli di Dio. Non sta però sospesa in aria, ma si inserisce nel soggetto umano, nelle nostre facoltà e nella nostra affettività naturale. E, a motivo dell’unità del soggetto, si verifica anche qui una sorta di intercomunicazione o di “ridondanza”, analoga a quella sopra descritta.

 

 

 

1.4 Un patto di amore reciproco

 

Come accompagnare un processo di discernimento spirituale personale?

 

Il discernimento spirituale è possibile se i due (chi discerne e chi accompagna) si relazionano tra loro come il Padre e il Figlio. Vivendo il comandamento nuovo (cf. Gv 13, 34-35) i due si dispongono a sentire più fortemente la presenza del Risorto (cf. Mt 18, 20) che li rende partecipi del suo Spirito, ovvero, della sua intima relazione con il Padre: è in questo “ambiente umano-divino” (mariano-ecclesiale) che essi possono ascoltare più intensamente e chiaramente la voce del Padre.

 

Per sant’Ignazio di Loyola questa relazione nello Spirito tra “chi dà” e “chi riceve” gli esercizi è il primo passo per entrare nel processo di discernimento. All’inizio degli Esercizi spirituali ci si aspetterebbe di trovare una lista di temi. E invece siamo chiamati a leggere una serie di «Annotazioni per avere qualche idea degli esercizi spirituali che seguono e per aiutare sia chi deve darli sia chi deve riceverli [y para ayudarse (aiutarsi), así el que los ha de dar, como el que los ha de rescibir[8].

 

Sant’Ignazio mette subito i due protagonisti degli esercizi nella prospettiva della comunione, sottolineando fortemente e discretamente, com’è nel suo stile, la dinamica trinitaria che sta sotto tutta l’esperienza degli esercizi spirituali e del discernimento.

 

Se le Annotazioni rappresentano il “contratto” iniziale tra “chi dà” e “chi riceve”, sant’Ignazio vuole andare ancora più in profondità: prima di cominciare il percorso desidera che i due stabiliscano un patto di amore che sostenga e illumini quel “contratto”. E lo fa con il Presupposto:

 

«Affinché tanto chi dà gli esercizi come chi li riceve traggano maggior aiuto e vantaggio [más se ayuden y se aprovechen, più si aiutino si avvantaggino, ndr], bisogna presupporre che ogni buon cristiano dev’essere più pronto a salvare una affermazione del prossimo che a condannarla; e se non può salvarla, cerchi di sapere in che senso l’intenda, e se l’intendesse in modo sbagliato, lo corregga con amore; e se non basta, cerchi tutti i mezzi convenienti perché, intendendola rettamente, si salvi»[9].

 

La relazione tra “chi dà” e “chi riceve”, termini che evocano fortemente il movimento trinitario espresso in particolare nel vangelo di Giovanni, si concretizza soprattutto nella comunicazione verbale, in un dialogo dove i due reciprocamente si dicono (rivelano) e si danno (consegnano) attraverso la parola.

 

Potremmo dire che nel primo movimento di questo dialogo, quando “chi dà” propone a “chi riceve” gli esercizi da fare, il primo fa la “parte” del Padre e il secondo quella del Figlio. Nel secondo movimento del dialogo, quando “chi riceve” gli esercizi racconta a “chi dà” quanto accaduto nella preghiera, le “parti” si invertono: “chi dà” questa volta fa la parte del Figlio (che riceve) e “chi riceve” quella del Padre (che dà).

 

Non a caso alla conclusione dell’itinerario degli Esercizi spirituali sant’Ignazio propone la Contemplazione per giungere ad amare [para alcanzar amor, per raggiungere amore, ndr] in cui viene svelata questa dinamica del comunicarsi e del darsi reciproco:

 

«Anzitutto conviene avvertire due cose. La prima è che l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole. La seconda è che l’amore consiste nella comunicazione reciproca, cioè nel dare e comunicare l’amante all’amato quello che ha, o di quello che ha o può, e così a sua volta l’amato all’amante; di maniera che se l’uno ha scienza la dia a chi non l’ha, e così se onori, se ricchezze l’uno all’altro»[10].

 

L’esperienza degli esercizi spirituali e del discernimento, che ha come fine la pienezza dell’amore (Spirito Santo), si rivela espressione, riflesso, incarnazione tra due persone della vita trinitaria che rende i due “sacramento di Cristo”. D’altra parte chi può conoscere la volontà del Padre se non il Figlio? E a chi può rivelare la sua volontà il Padre se non al Figlio? (cf. Lc 10, 21-22; Gv 17, 25).

 

Scrive Papa Francesco nella Evangelii gaudium nel paragrafo sull’accompagnamento personale dei processi di crescita:

 

«In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3, 5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (169).

 

Di seguito proveremo a estrarre da alcuni testi degli Esercizi spirituali delle indicazioni utili per accompagnare un processo di discernimento.

 

 

 

2. Ordinare la propria vita

 

Innanzitutto potremmo chiederci: qual è il cammino da fare in un discernimento? Sant’Ignazio ci risponde in un modo che rappresenta anche una descrizione degli esercizi spirituali: «Preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza dell’anima»[11].

 

Più o meno lo stesso concetto è espresso nel Titolo: «Esercizi spirituali per vincere se stesso e ordinare la propria vita senza prendere decisioni in base ad alcun affetto disordinato»[12].

Ordinare la propria vita nell’amore a Dio e alle creature, trovando la vera libertà: in fondo non è questo il cristianesimo? Scrive Chiara Lubich:

 

«Amar Dio con tutte le forze ed in Lui ordinatamente tutte le creature: questo è cristianesimo. Ma forse alle volte sbagliamo perché, passando troppo in fretta alla seconda parte, spesso la interpretiamo male. No, quello che dobbiamo fare è: amare Dio. A Lui tutto il nostro essere, il nostro tempo, il nostro lavoro, il nostro amore, il nostro intelletto. E per esprimere ciò è doveroso riversare l’attenzione e la cura e l’amore anche sulle creature. Ma lo dobbiamo fare per Lui, per continuare ad amare Lui. Noi dovremmo essere dei contemplativi perenni. E quanto manchiamo! Quale libertà invece troveremmo in questo solo grande unico amore. Al solo pensarci ci si sente liberare dai mille lacci che la vita in società ci pone»[13].

 

Un processo di discernimento, quindi, ha un obiettivo (salvezza dell’anima), diverse fasi (preparare e disporre, cercare e trovare) e dei mezzi (vincere se stesso, ordinare la propria vita, prendere decisioni). Potremmo anche aggiungere la fase di realizzazione di quanto deciso, come pure il dialogo o il coinvolgimento di altre persone più o meno interessate alla decisione[14].

 

 

 

2.1. Verità, oggettività e libertà

 

Bisogna accompagnare la persona secondo verità, trasparenza, onestà e oggettività, senza altri interessi, neppure di natura religiosa o spirituale, economica o funzionale al mantenimento di una certa organizzazione del lavoro o di un determinato servizio apostolico ecclesiale:

 

«Chi dà a un altro modo e ordine, per meditare o contemplare, deve narrare fedelmente la storia della contemplazione o meditazione, scorrendone soltanto i punti con breve o sommaria spiegazione; perché la persona che contempla, cogliendo il vero fondamento della storia, riflettendo e ragionando da sola, e trovando qualcosa che gliela faccia un po’ più chiarire o sentire, o con il proprio ragionamento o perché l’intelligenza è illuminata dalla divina potenza, ricava maggior gusto e frutto spirituale di quanto non ne troverebbe se chi dà gli esercizi avesse molto spiegato e sviluppato il senso della storia; infatti, non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente»[15].

 

Sant’Ignazio usa una immagine: stare come l’ago della bilancia. Nel discernimento infatti non bisogna spingere le persone da una parte piuttosto che dall’altra:

 

«Chi dà gli esercizi non deve spingere chi li riceve a povertà né a promessa più che ai loro contrari, né a uno stato o modo di vivere piuttosto che a un altro […] in questi esercizi spirituali, è più conveniente e molto meglio, nel cercare la divina volontà, che lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola nel suo amore e lode e disponendola per la via nella quale potrà meglio servirlo in futuro. Di modo che chi li dà non propenda né si inclini verso l’una o l’altra parte; ma, stando nel mezzo, come una bilancia, lasci immediatamente operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore»[16].

 

È un testo bellissimo, di grande respiro, che prende sul serio e rispetta la relazione di libertà tra Dio e la persona, di cui chi accompagna il discernimento è testimone, spesso meravigliato, di questo operare immediatamente dello Spirito Santo nel cuore di ciascuno.

 

Queste parole possono destare scandalo e paura. Perché la immediatezza del rapporto Dio-uomo spaventa non poche persone che tendono invece a cercare di inserire in quel rapporto quante più “mediazioni” possibili. Da un lato, a volte, rinunciando alla propria libertà e dall’altro, soprattutto nei leader ecclesiali, credendo di poter ridurre il discernimento, e la vita della Chiesa, a norme, ruoli e progetti da rispettare. E così facendo impediscono allo Spirito di agire con libertà (cf 2 Cor 3,17-18)!

 

Leggiamo in un altro passo della Evangelii gaudium:

 

«Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà. Alcuni si credono liberi quando camminano in disparte dal Signore, senza accorgersi che rimangono esistenzialmente orfani, senza un riparo, senza una dimora dove fare sempre ritorno. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte. L’accompagnamento sarebbe controproducente se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio con Cristo verso il Padre» (170).

 

 

 

2.2 Conoscere la persona

 

Per accompagnare un processo di discernimento occorre conoscere la persona nella sua reale situazione di vita interiore:

 

«Giova molto che chi dà gli esercizi, senza voler chiedere né conoscere i pensieri e i peccati personali di chi li riceve, sia fedelmente informato delle varie agitazioni e pensieri che i diversi spiriti suscitano in lui; affinché, secondo il maggiore o minore profitto, possa dargli alcuni esercizi spirituali convenienti e conformi alle necessità dell’anima così agitata»[17].

 

Come pure bisogna fare attenzione che la persona s’impegni in un discernimento “possibile”:

 

«Questi esercizi si devono adattare alle disposizioni delle persone che vogliono fare gli esercizi spirituali, cioè alla loro età, istruzione o intelligenza; affinché a chi è poco colto o debole di fisico non si diano cose che non possa portare agevolmente e dalle quali non possa trarre profitto. Allo stesso modo, si deve dare a ciascuno secondo la misura in cui vorrà rendersi disponibile, perché possa trarne più aiuto e vantaggio»[18].

 

In questo passaggio della Evangelii gaudium Papa Francesco sembra quasi fare un commento ai testi di sant’Ignazio:

 

«Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. Sempre però con la pazienza di chi conosce quanto insegnava san Tommaso: che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma non esercitare bene nessuna delle virtù “a causa di alcune inclinazioni contrarie” che persistono. In altri termini, l’organicità delle virtù si dà sempre e necessariamente “in habitu”, benché i condizionamenti possano rendere difficili le attuazioni di quegli abiti virtuosi. Da qui la necessità di “una pedagogia che introduca le persone, passo dopo passo, alla piena appropriazione del mistero”. Per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza. Come diceva il beato [santo, ndr] Pietro Fabro: “Il tempo è il messaggero di Dio”» (EG 171)[19].

 

Accompagnare una persona nel discernimento personale significa dilatare la propria anima per accogliere l’altro con tutto il cuore, facendosi “uno” con lui (cf. 1 Cor 9, 19-23), senza pregiudizi o risposte preconfezionate, evitando atteggiamenti moralistici. Fare il vuoto dentro di sé perché l’altro si senta amato, ascoltato, rispettato, capito, stimato qualunque cosa abbia fatto o pensi di aver fatto. Mai far diventare la vita unica di una persona un “caso” spirituale, morale o psicologico.

 

Coraggio di scendere con la persona dentro il buio, l’oscurità, la tragedia, il trauma, il dolore che si porta dentro e lasciare che possa versarlo in me. Se sono vuoto di me di fronte a lei, chi raccoglie quel sangue è Gesù in me. E la persona lo sente. Sente Gesù in sé che l’accoglie dentro quel buio e la rimette in piedi, donandole nuova luce, forza, coraggio. Solo dopo questo passaggio, questa pasqua vissuta insieme, la persona potrà anche sentire più chiaramente e liberamente il desiderio o la necessità di un ulteriore aiuto anche terapeutico.

 

«Chi accompagna sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno. Il Vangelo ci propone di correggere e aiutare a crescere una persona a partire dal riconoscimento della malvagità oggettiva delle sue azioni (cf. Mt 18, 15), ma senza emettere giudizi sulla sua responsabilità e colpevolezza (cf. Mt 7, 1; Lc 6, 37). In ogni caso un valido accompagnatore non accondiscende ai fatalismi o alla pusillanimità. Invita sempre a volersi curare, a rialzarsi, ad abbracciare la croce, a lasciare tutto, ad uscire sempre di nuovo per annunciare il Vangelo. La personale esperienza di lasciarci accompagnare e curare, riuscendo ad esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna ad essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere» (GE 172).

 

E infine l’umiltà: può succedere di non avere la risposta, di non sapere cosa dire, di rimanere senza parole. È il momento spesso più bello, perché se c’è veramente un cuore che ama e ascolta, lo Spirito santo trova la via libera per illuminare le menti, consigliare i cuori, suggerire le parole, muovere le volontà:

 

 

 

3. Un grande desiderio

 

Finora abbiamo visto qualche suggerimento sul come accompagnare un processo di discernimento. Quali ne sono le condizioni, gli elementi fondamentali?

 

Innanzitutto la persona che inizia un processo di discernimento dovrebbe sentire un grande desiderio di cercare, trovare e fare la volontà del Padre: «Giova molto a chi riceve gli esercizi entrare in essi con magnanimità e liberalità verso il suo Creatore e Signore, offrendogli tutto il proprio volere e libertà, perché sua divina maestà si serva, tanto di lui quanto di tutto quello che possiede, secondo la sua santissima volontà»[20].

 

A volte però questa offerta va conquistata piano piano e con un certo impegno. Soprattutto quando la persona si dimostri molto, troppo convinta di quale sia la scelta da fare, quasi che il discernimento in fondo rappresenti solo una pratica da sbrigare al più presto oppure si cerchi in esso solo una conferma da parte di Dio:

 

«Affinché il Creatore e Signore operi più efficacemente nella sua creatura, se per caso la tale anima è disordinatamente affezionata e incline verso una cosa, è molto conveniente muoversi, impegnando tutte le proprie forze, per arrivare al contrario di ciò a cui è male affezionata. Se, per esempio, è propensa a cercare e a ottenere un ufficio o un beneficio, non per l’onore e la gloria di Dio nostro Signore né per la salute spirituale delle anime, ma per i propri vantaggi e interessi temporali, deve affezionarsi al contrario, insistendo nelle preghiere e altri esercizi spirituali e chiedendo l’opposto a Dio nostro Signore: cioè, di non volere quell’ufficio o beneficio, né qualsiasi altra cosa, se sua divina maestà, riordinando i suoi desideri, non gli cambi la sua prima affezione; di modo che il motivo per desiderare o tenere una cosa o l’altra sia solo il servizio, l’onore e la gloria di sua divina maestà»[21].

 

Sarà utile allora dedicare del tempo per mettersi con calma e pazienza, come già si diceva, nella posizione “0” dell’ago della bilancia, riconoscendo il proprio attaccamento esagerato o interessato a un bene, aprendo il cuore anche a quella soluzione che non piace o spaventa oppure di cui la persona si ritiene inadeguata, impreparata ecc.

 

 

 

3.1. Bene o male

 

Prima di entrare nel processo di discernimento è necessario orientare verso Dio tutta la propria persona, soprattutto l’intelletto, la volontà e l’affettività. A questo scopo sant’Ignazio propone tre esercizi: Due bandiere, Tre categorie di persone e Tre gradi di umiltà.

 

Innanzitutto la persona è chiamata a riconoscere che in ogni scelta c’è una decisione per il bene o per il male, una terza via non c’è (cf. la parabola del grano e della zizzania: Mt 13, 24-30.36-43). La difficoltà del discernimento sta nel fatto che spesso il nemico «si trasforma in angelo di luce»[22] proponendo un “falso bene”. Nell’esercizio delle Due bandiere propone questa grazia: «Chiedere conoscenza degli inganni del cattivo capo e aiuto per guardarmene e conoscenza della vita vera che il sommo e vero capitano indica e grazia per imitarlo»[23].

 

Poi descrive la tattica di Satana e quella di Cristo. Satana tenta in tutti i modi di imprigionare e legare la persona a qualche bene, in modo tale che «Il primo gradino sia quello delle ricchezze, il secondo quello dell’onore e il terzo quello della superbia, e da questi tre gradini induce a tutti gli altri vizi»[24]. Cristo, al contrario, vuole aiutare tutti opponendo altri tre gradini: «Il primo, povertà contro la ricchezza; il secondo, ignominia o disprezzo contro l’onore mondano; il terzo, umiltà contro la superbia; e da questi tre gradini inducano a tutte le altre virtù»[25].

 

 

 

3.2. Utilizzare i mezzi

 

Volontà di utilizzare i mezzi adatti al fine e indifferenza/libertà di fronte a tutte le vie possibili. A volte invece la persona tende a rimandare la decisione, magari fino alla fine della vita, o più spesso cerca di tirare Dio dalla sua parte, cercando una via di compromesso. Sono due atteggiamenti che sant’Ignazio descrive nell’esercizio delle Tre categorie di persone.

 

Evidentemente è la terza categoria di persona quella che può fare una buona elezione:

 

«La terza vuole liberarsi dell’affetto, ma vuole liberarsene in modo tale da non aver neppure affezione a tenere la cosa acquisita o non tenerla, ma vuole soltanto volerla o non volerla secondo che Dio nostro Signore gli metterà nella volontà e a tale persona sembrerà meglio per servizio e lode di sua divina maestà; e, nel frattempo, vuole fare come se lasciasse tutto affettivamente, sforzandosi di non volere né quello né alcuna altra cosa se non lo muova unicamente il servizio di Dio nostro Signore; in maniera che il desiderio di poter meglio servire Dio nostro Signore lo muova a prendere la cosa o lasciarla»[26].

 

 

 

3.3 Amore oltre i limiti

 

La consapevolezza che ogni scelta è tra bene o male e la volontà di usare i mezzi che Dio proporrà ancora non sono sufficienti. Per cercare e trovare la volontà del Padre è necessario che la persona desideri ricevere un amore folle:

 

«Il terzo [grado di umiltà] è umiltà perfettissima, quando, cioè, includendo la prima e la seconda, ed è di uguale lode e gloria della divina maestà, per imitare e assomigliare più attualmente a Cristo nostro Signore voglio e scelgo piuttosto povertà con Cristo povero che ricchezza, piuttosto ignominie con Cristo pieno di esse che onori, e desidero più di essere stimato insensato e folle per Cristo, il quale per primo fu ritenuto tale, che saggio e prudente in questo mondo»[27].

 

Con questi tre esercizi, che sant’Ignazio propone tra i misteri dell’infanzia e il battesimo di Gesù, ci sembra che egli voglia in qualche modo trovare una risposta a questa domanda: che cosa ha vissuto Gesù in tutto il tempo che ha trascorso a Nazaret dopo il ritorno da Gerusalemme a dodici anni? In quale grazia è cresciuto «davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52)?

 

Gesù ha imparato nella vita quotidiana di Nazaret a cercare, trovare e fare la volontà del Padre in ogni momento, orientando a Lui tutto se stesso, il suo intelletto, la sua volontà e la sua affettività e imparando così a riconoscere la voce dello Spirito e quella del nemico.

 

Se l’incarnazione è vera, se cioè Gesù è vero uomo, anzi è l’Uomo, questo processo di crescita, di consapevolezza, di esercizio radicale della propria libertà ha riguardato anche lui, vorremmo dire, soprattutto lui. Perché doveva aprire (essere) la via per innestare la vita trinitaria nella vita ordinaria di ogni persona, anzi, molto di più, unire la natura umana alla natura divina. Che non poteva essere un fatto “meccanico”, ma un evento di liberazione della libertà di ogni persona. E il primo a sperimentare questa liberazione doveva essere Gesù. E tutto questo per amore del Padre e di ogni persona: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5, 8-9).

 

È questa “scuola di vita”, questo lungo e continuo esercizio, che dispone e prepara Gesù all’incontro con il Padre e lo Spirito nel battesimo e alla lotta con Satana nel deserto. E questo esercizio di discernimento continuerà per tutta la sua vita, fino all’ultimo istante, all’ultima terribile prova quando non sentirà più la sua unione con il Padre ma solo la tentazione del nemico!

 

 

 

3.4 Un occhio semplice

 

Entrando nel processo di discernimento occorre ancora ravvivare la decisione fondamentale per il fine, Dio e la salvezza della mia anima, orientando in modo diretto/dritto a Lui tutta la propria persona. Tutto il resto sono solo mezzi/vie.

 

È quanto sant’Ignazio propone nel Preambolo per fare una scelta:

 

«In ogni buona scelta, in quanto dipende da noi, l’occhio della nostra intenzione dev’essere semplice, avendo di mira unicamente il fine per cui sono creato, cioè per lode di Dio nostro Signore e salvezza dell’anima mia; e così qualunque cosa io scelga dev’essere tale da aiutarmi a conseguire il fine per cui sono creato, senza subordinare né tirare il fine al mezzo, ma il mezzo al fine. Accade infatti che molti prima scelgano di sposarsi, il che è mezzo, e poi di servire Dio nostro Signore nel matrimonio, mentre servire Dio è fine. Similmente vi sono altri che prima vogliono avere benefici e poi servire Dio in essi. Di modo che questi non vanno diritti a Dio, ma vogliono che Dio venga diritto alle loro affezioni disordinate; e di conseguenza, fanno del fine il mezzo e del mezzo il fine. Sicché quello che dovevano prendere per primo, prendono per ultimo. Prima infatti dobbiamo prefiggerci il voler servire Dio, che è il fine, e secondariamente prendere beneficio o sposarmi se più mi conviene, che è mezzo per il fine; così nessuna cosa deve muovermi a prendere tali mezzi o a privarmi di essi, se non soltanto il servizio e lode di Dio nostro Signore e salvezza eterna dell’anima mia»[28].

 

 

 

3.5 In unità con la Chiesa

 

A questo punto del processo potrà essere utile o necessario aiutare la persona a impostare il discernimento, o a scegliere l’oggetto della scelta, tenendo presente le indicazioni del Magistero attuale. Chi accompagna ha la responsabilità di assumere e presentare le linee di rinnovamento e cambiamento che la Chiesa oggi, per esempio, chiede alla vita consacrata. Può accadere, infatti, che l’accompagnatore senza rendersene conto cerchi di far seguire alla persona le proprie idee oppure che la persona, per stima o per timore, faccia proprio il punto di vista di chi l’accompagna.

 

Scrive sant’Ignazio: «È necessario che ogni cosa di cui vogliamo fare scelta sia indifferente o buona in sé, rientri nell’ambito della santa madre Chiesa gerarchica e non sia cattiva né in opposizione ad essa»[29]

 

 

 

3.6 Tre tempi per fare elezione

 

Ma come fare una scelta? Ci sono procedimenti particolari suggeriti da sant’Ignazio? Nei Tre tempi per fare una sana e buona scelta[30] egli descrive tre situazioni in cui si può trovare la persona.

 

La prima, «quando Dio nostro Signore così muove e attrae la volontà che, senza dubitare né poter dubitare, l’anima devota segue quello che le è mostrato, così come fecero san Paolo e san Matteo nel seguire Cristo nostro Signore»[31].

 

La seconda, «quando si acquista sufficiente chiarezza e conoscenza per esperienza di consolazioni e desolazioni, e per esperienza di discernimento dei vari spiriti»[32]. Riporto in particolare la descrizione della consolazione e della desolazione:

 

«Chiamo consolazione quando nell’anima si produce qualche mozione interiore, con la quale l’anima viene a infiammarsi nell’amore del suo Creatore e Signore; e, di conseguenza quando nessuna cosa creata sulla faccia della terra può amare in sé ma solo nel Creatore di tutte. Così pure quando versa lacrime che muovono all’amore del suo Signore, ora per il dolore dei suoi peccati, ora della passione di Cristo nostro Signore, ora di altre cose direttamente ordinate al suo servizio e lode. Finalmente, chiamo consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità e ogni letizia interna che chiama e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore»[33].

 

«Chiamo desolazione tutto il contrario […] ad esempio oscurità dell’anima, turbamento in essa, mozione verso le cose basse e terrene, inquietudine da agitazioni e tentazioni diverse, che portano a sfiducia, senza speranza, senza amore, e la persona si trova tutta pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore. Come infatti la consolazione è contraria alla desolazione, alla stessa maniera i pensieri che sorgono dalla consolazione sono contrari ai pensieri che sorgono dalla desolazione»[34].

 

La terza, «quando la persona considerando prima perché è nato l’uomo, cioè per lodare Dio nostro Signore e salvare la propria anima, e questo desiderando, sceglie come mezzo un genere di vita o uno stato entro i limiti della Chiesa, per essere aiutata nel servizio del proprio Signore e nella salvezza della propria anima. Si ha tempo tranquillo quando l’anima non è agitata da vari spiriti e usa le sue facoltà naturali liberamente e tranquillamente»[35].

In questo tempo tranquillo, poi, sant’Ignazio descrive due modi probabilmente adatti a due diverse sensibilità, una più razionale e l’altra più affettiva[36].

 

 

 

4. Essere Luce

 

Quanto detto fino ad ora, però, servirebbe a poco, forse a nulla, senza la contemplazione dei misteri della vita di Cristo. Il discernimento spirituale personale si fa all’interno, alla luce, di una intima relazione che fa crescere l’amore e la sequela, fino alla partecipazione dei sentimenti profondi di Cristo morto e risorto: «Conoscenza interiore del Signore (della sua interiorità in me e della mia interiorità in lui), perché più lo ami e lo segua»[37]; «dolore con Cristo addolorato, strazio con Cristo straziato, lacrime, intima pena di tanta pena che Cristo soffrì per me»[38]; «rallegrarmi e godere intensamente di tanta gloria e gioia di Cristo nostro Signore»[39].

 

Scrive Papa Francesco:

 

«In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti» (GE 20).

 

Il discernimento spirituale personale si fa in “paradiso” (nel “seno del Padre”) dove per grazia ci ha portato il Risorto, si fa “essendo Luce nella Luce”. È l’esperienza mistica di sant’Ignazio che ci spiega la radice divina di tutto quanto poi si muove nel processo di discernimento.

 

«Una volta si recò, per sua devozione, a una chiesa distante da Manresa poco più di un miglio: credo che si chiamasse San Paolo. La strada correva lungo il fiume. Tutto assorbito nelle sue devozioni, si sedette un poco con la faccia rivolta al torrente che scorreva in basso. E mentre stava lì seduto, gli si aprirono gli occhi dell’intelletto: non ebbe una visione, ma conobbe e capì molti principi della vita interiore, e molte cose divine e umane; con tanta luce che tutto gli appariva come nuovo. Non è possibile riferire con chiarezza le pur numerose verità particolari che egli allora comprese; solo si può dire che ricevette una grande luce nell’intelletto.

 

Il rimanere con l’intelletto illuminato in tal modo fu così intenso che gli pareva di essere un altro uomo, o che il suo intelletto fosse diverso da quello di prima.

Tanto che se fa conto di tutte le cose apprese e di tutte le grazie ricevute da Dio, e le mette insieme, non gli sembra di aver imparato tanto, lungo tutto il corso della sua vita, fino a sessantadue anni compiuti, come in quella sola volta.

Rimase un certo tempo in quello stato; poi andò a inginocchiarsi davanti a una croce, lì vicino, per ringraziare Dio. E proprio lì gli apparve quella figura che già molte altre volte aveva contemplato e che non era mai riuscito a comprendere: cioè quella cosa già descritta sopra, che gli pareva bellissima e con molti occhi. Ma ora, stando davanti alla croce, vide molto bene che quella cosa tanto affascinante non aveva la luminosità consueta. Ed ebbe una chiarissima conoscenza, a cui la volontà aderiva totalmente, che quello era il demonio. E anche in seguito, per molto tempo, continuò ad apparirgli spesso. Ma egli, in segno di scherno, la scacciava con il bastone che aveva sempre con sé»[40].

 

Per delineare alcuni tratti dell’esperienza spirituale che deriva dalla “grande luce” di Manresa, mi riferisco alla “giornata tipo” che caratterizza la seconda, terza e quarta settimana degli Esercizi spirituali, quindi, la maggior parte dell’itinerario. In questa “giornata” Ignazio propone cinque esercizi per la contemplazione dei misteri della vita di Cristo e di Maria.

 

Primo e secondo esercizio: due contemplazioni di due misteri[41]. Le contemplazioni iniziano con la preghiera preparatoria e tre preamboli: il primo, «richiamare la storia del mistero che devo contemplare»; secondo, con i sensi dell’immaginazione la «composizione vedendo il luogo»; terzo, «domandare quello che voglio».

 

Dopo questi preamboli inizia la parte centrale delle contemplazioni[42]. Si tratta di «vedere le persone», «udire quello che dicono», «osservare poi quello che fanno» e, in ciascuno di questi tre movimenti, «riflettere in me stesso», cioè, diventare uno con ciò che si vede e si ascolta, lasciarsi unire e unirsi alla persona che si contempla. Quindi, alla luce di questa relazione unitiva e unificante, la persona è invitata a «ricavare frutto». Infine le contemplazioni terminano in un «colloquio» con la persona o le persone che si contemplano.

 

Terzo e quarto esercizio: ripetizioni[43]. Si tratta di ritornare sui punti più importanti, dove ci siano stati i maggiori e più forti movimenti dell’anima, sentimenti spirituali, mozioni ecc. Si fa ripetizione per andare in profondità, interiorizzare, personalizzare, semplificare, per lasciar parlare e agire in sé colui che si contempla, per stabilire con la persona che si contempla una relazione sempre più interiore e profonda.

 

Quinto esercizio: applicare i cinque sensi[44]. Si tratta di «ripercorrere con i cinque sensi dell’immaginazione» le due contemplazioni dei misteri della vita di Cristo e Maria della giornata. Il primo punto è «vedere le persone con la vista immaginativa»; il secondo, «udire con l’udito quello che dicono o possono dire»; il terzo, «odorare e gustare con l’olfatto e con il gusto l’infinita soavità e dolcezza della divinità dell’anima e delle sue virtù e di tutto, secondo la persona che si contempla»; il quarto, «toccare con il tatto… abbracciare e baciare i luoghi». In ciascuno di questi punti sempre si deve «riflettere in se stesso» e «ricavare frutto». Quindi l’esercizio si conclude con il «colloquio».

 

 

 

4.1. Una relazione “sensibile

 

Perché sant’Ignazio propone per un così lungo periodo (tre settimane su quattro) tutte queste contemplazioni? Egli vuole condurre la persona che contempla a far crescere la propria “sensibilità-affettività spirituale”, quella dell’uomo nuovo in Cristo.

 

Nelle contemplazioni la persona entra in contatto con il modo di sentire di Gesù e Maria e, in particolare, con la “divinità dell’anima”. Egli, cioè, entra dentro la loro anima e vi trova e fa esperienza di Dio. Nello stesso tempo, però, mentre sente e gusta la persona di Gesù, o Maria o la loro relazione reciproca, l’esercitante conosce il suo personale modo di sentire, entra dentro la sua anima e diventa sempre più capace di “sentire e gustare le cose internamente”, cioè, di sentire e gustare Dio in sé e fuori di sé, nell’altro e insieme con l’altro.

 

Nella “relazione sensibile” con Gesù e Maria l’esercitante impara a trovare Dio nella “sua” anima. Nella reciproca inabitazione, raggiunta attraverso l’esercizio dei sensi nella loro dimensione più interna (spirituale), la sensibilità dell’esercitante diventa capace con sempre maggiore immediatezza di amare, sentire, trovare Dio e compiere la sua volontà.

 

La contemplazione, che raggiunge il suo vertice nell’esercizio dei sensi, è una relazione di unità tra colui che contempla e colui che è contemplato. Essi stanno quindi come il Padre e il Figlio. Il “frutto” che si ricava è quindi Spirito Santo, Gesù in me ed io in lui, l’uomo nuovo che tutto ricapitola in sé, che tutto “sente in sé”.

 

 

 

4.2. Trovare Dio in ogni momento

 

Potremmo dire quindi che l’esperienza spirituale per sant’Ignazio è un sentire che discerne ed elegge in se stesso ciò che è riconosciuto come volontà del Padre. Attraverso le contemplazioni, il “sentire di Dio” diventa il “mio sentire”. In Gesù, da me conosciuto sensibilmente, io e il Padre sentiamo e operiamo come uno (cf. Gv 10, 30; 1 Cor 6, 17).

 

La “grande luce” del Cardoner ha condotto Ignazio a «trovare Dio in qualunque momento lo desiderasse»[45], come dire, ad amare Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio[46]. Questa grazia corrisponde alla “visione” della realtà sperimentata nel Paradiso, è la partecipazione alla visione e all’azione dello Spirito Santo, quella di cui l’esercitante nella contemplazione e nell’esercizio dei sensi fa esperienza in Gesù e Maria e in sé, nell’Anima di Cristo che è anche la sua. L’esercitante, in altre parole, contemplando la Luce diventa Luce che vede e compie la volontà del Padre che è anche la Sua.

 

Sensi umani, dell’immaginazione e spirituali. Sensi che entrano in relazione con l’umanità e la divinità di Cristo. Proiettando i propri sensi fuori di sé in Cristo, la persona che contempla si apre e si dispone a ricevere la divinità, o meglio e in più, a lasciar manifestare lo Spirito Santo che già è in lei. Questa apertura è uno svuotamento, è un consegnare il proprio spirito nelle mani di un altro, è un morire per amore: modello e via di questa esperienza è Gesù crocifisso e abbandonato, nel quale l’esercitante trova la sua “nuova” sensibilità.

 

Contemplando Cristo e Maria, applicando alle loro persone i propri sensi, entrando cioè in una “relazione sensibile” con la Luce, l’esercitante è condotto, dentro i suoi sensi e con i suoi sensi, cioè con tutta la sua persona, a sentire in sé come Luce la Realtà:

 

«Non debbo mai dimenticarmi - scrive Chiara Lubich - che la Realtà è dentro di me e che io debbo dar ai fratelli soprattutto la linfa che sale dal fondo dell’anima, che è la voce sottile di Dio che sprona ed illumina. Occorre far tacere tutto in noi per scoprirvi la voce di Lui. E bisogna estrarre questa voce come si toglie un diamante dal fango: ripulirla, metterla in mostra e donarla a tempo opportuno, perché è amore e l’amore va dato: è come il fuoco che, comunicato con paglia ed altro, arde, altrimenti si spegne. Corriamo, ché la luce sta accesa solo nell’anima in cui l’amore è in moto, è vivo»[47].

 

Sentire Cristo rende capace l’esercitante di sentire Dio tutto in tutti, Paradiso, “grande luce”. E, diventato Luce, egli è reso capace di sentire e compiere la volontà di Dio e riconoscere la “falsa luce” del demonio.

 

Così sant’Ignazio concludeva la maggior parte delle sue lettere: «Pregando la Santissima Trinità che per la sua infinita e somma bontà ci dia grazia abbondante perché sentiamo la sua santissima volontà e la compiamo interamente»[48].

 

Possiamo allora leggere ancora un altro passaggio della Evangelii gaudium:

 

«L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice. La relazione di Paolo con Timoteo e Tito è esempio di questo accompagnamento e di questa formazione durante l’azione apostolica. Nell’affidare loro la missione di fermarsi in ogni città per “mettere ordine in quello che rimane da fare” (cf. Tt 1, 5; cf. 1 Tm 1, 3-5), dà loro dei criteri per la vita personale e per l’azione pastorale. Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari» (173).

 

Vivere un processo di discernimento spirituale personale significa lasciarsi educare dallo Spirito Santo a rileggere il vissuto nella luce del Risorto, ovvero, a partire dal futuro: ne sono esempi fondanti il colloquio di Gesù con i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24, 13ss) e il dialogo di Pietro con la comunità dopo l’esperienza con Cornelio (cf. At 10-11).

 

Discernere vuol dire in fondo lasciarsi accompagnare dal Risorto verso quella pienezza di vita e comunione di cui ogni decisione è segno profetico e passaggio necessario alla sua crescita!

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Libri suggeriti

 

Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, Editrice AdP, Roma 2007.

Ignazio di Loyola, Autobiografia, in Gli scritti, Editrice AdP, Roma 2007.

M. Ruiz Jurado, Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pratica, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997.

Jean-Claude Dhotel, Per discernere insieme, Edizioni AdP, Roma 2002.

 

Libri consigliati

 

M.I. Rupnik, Il discernimento, Lipa, Roma 2004.

S. Fausti, Occasione o tentazione. Discernere e decidere, Ancora, Milano 2005.

P. Schiavone, Il discernimento. Teoria e Prassi, Paoline, Milano 2009.

G. Piccolo, Testa o cuore, Paoline, Milano 2017.

G. Costa, Il discernimento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.

 

Articoli

 

S. Rendina, Mozioni spirituali e discernimento negli esercizi spirituali, in Appunti di spiritualità n. 50, C.I.S., Napoli 2000.

P. Monaco, Cercare insieme la volontà di Dio, in Unità e Carismi 6 (2006) 21-26.

P. Monaco, Sentire in sé la volontà del Padre, in Unità e Carismi 1 (2007) 35-41.

 

Magistero

 

Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, nn. 9ss.

Papa Francesco, Evangelii gaudium, nn. 169-173.

Papa Francesco, Amoris letitia, nn. 34.307.

 

Chiara Lubich

 

Se il tuo occhio è semplice, in La dottrina spirituale, Città Nuova Editrice, Roma 2006, pp. 134-135.

La carità è ciò che conta, la carità è ciò che resta, in In cammino col Risorto, Città Nuova
Editrice, Roma 1987, pp. 44-46.

Gesù educatore, in Città Nuova, 31 (1987), n. 9, pp. 33-36.

La prudenza, in In unità verso il Padre, Città Nuova Editrice, Roma 2004, pp. 40-43.

Per una politica di comunione, in Nuova Umanità, 23 (2001/2), n. 134, pp. 211-222.

Maria e la comunicazione, Castel Gandolfo, 6 giugno 2003.

Santità di popolo, in Città Nuova, 22 (1978), n. 19, pp. 40-41.

Spesso l’amore non è amore, in La dottrina spirituale, Città Nuova Editrice, Roma 2006,
pp. 219-221
.

Pensieri: Il Maestro interiore, in La dottrina spirituale, Città Nuova Editrice, Roma 2006,
pp. 221-222.

 

 

 

Laboratorio

 

1. Ho imparato a riconoscere, interpretare e scegliere le “mozioni interiori” dello Spirito in me?

 

2. In che modo aiuto le persone che mi sono affidate a formarsi nel discernimento spirituale personale?

 

3. Richiamare alla memoria un'esperienza in cui il discernimento spirituale personale ha aiutato la comunità a migliorare nelle scelte e/o relazioni.

 

 

 

ALTRI TESTI

 

CIVCSVA, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, n. 9

 

“Dio manifesta la sua volontà attraverso la mozione interiore dello Spirito, che «guida alla verità tutta intera» (cf. Gv 16,13), e attraverso molteplici mediazioni esteriori. In effetti, la storia della salvezza è una storia di mediazioni che rendono in qualche modo visibile il mistero di grazia che Dio compie nell’intimo dei cuori. Anche nella vita di Gesù si possono riconoscere non poche mediazioni umane, attraverso le quali Egli ha avvertito, ha interpretato e ha accolto la volontà del Padre, come ragione di essere e come cibo permanente della sua vita e della sua missione”.

 

Amoris laetitia 37

 

“Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”.

 

Amoris laetitia 304

 

È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare». È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.

 

Chiara Lubich, Un occhio semplice

 

Quanti prossimi incontri nella giornata tua – dall’alba alla sera – in altrettanti vedi Gesù.

Se il tuo occhio è semplice chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire conquistando.

Quanti – errando – guardano alle creature e alle cose per possederle! Ed il loro sguardo è egoismo od invidia o, comunque, peccato. O guardano dentro di loro per possedersi, per possedere la loro anima, e il loro sguardo è spento perché annoiato o turbato.

L’anima perché immagine di Dio, è amore e l’amore ripiegato su se stesso è come la fiamma che, non alimentata, si spegne.

Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con Lui.

Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza.

Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato.

Così l’amore è amare ed esser amato: come nella Trinità.

E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari, per la grazia, ma vi è spenta.

Non accendi la luce in un ambiente – pur essendovi la corrente elettrica – finché non provochi contatto dei poli.

Così la vita di Dio in noi: va messa a circolare per irradiarla al di fuori a testimoniare Cristo: l’uno che lega Cielo a terra, fratello a fratello.

Guarda dunque ad ogni fratello donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù Si donerà a te. È legge d’amore: «Date e vi sarà dato» (Lc 6, 38).

Lasciati possedere da lui – per amore di Gesù -, lasciati “mangiare” da lui – come altra Eucarestia -; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. E nel fraterno amore è il compimento d’ogni desiderio di Dio che è comando: «Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34)”[49].

 

 

 

 

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[1] Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Per vino nuovo in otri nuovi, Roma 2016, n. 16. Il presente articolo amplia e approfondisce quanto già pubblicato in Unità e Carismi 3 (2018) 17-23, in particolare per quanto riguarda l’accompagnamento e le condizioni di un processo di discernimento spirituale personale. Cf. P. Monaco, Cercare insieme la volontà di Dio, in Unità e Carismi 6 (2006) 21-26; P. Monaco, Sentire in sé la volontà del Padre, in Unità e Carismi 1 (2007) 35-41.

[2] Cf. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, AdP, Roma 2007, n. 32. Bibliografia consigliata: M. Ruiz Jurado, Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pratica, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997; Jean-Claude Dhotel, Per discernere insieme, Edizioni AdP, Roma 2002; S. Rendina, La pedagogia degli esercizi spirituali, AdP, Roma 2002; M.I. Rupnik, Il discernimento, Lipa, Roma 2004; S. Fausti, Occasione o tentazione. Discernere e decidere, Ancora, Milano 2005; P. Schiavone, Il discernimento. Teoria e Prassi, Paoline, Milano 2009; G. Piccolo, Testa o cuore? L’arte del discernimento, Edizioni Paoline, Milano 2017; P. Schiavone, Discernere la volontà di Dio. Finalità e dinamiche, Paoline, Milano 2018; G. Costa, Il discernimento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.

[3] Papa Francesco fa riferimento alle Regole per il discernimento degli spiriti di sant’Ignazio di Loyola, in Gli scritti, op. cit., nn. 313-336.

[4] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., n. 32.

[5] Valga come esempio: Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, nn. 9-15.

[6] Si veda anche il n. 304 in cui Papa Francesco alla luce di san Tommaso d’Aquino ricorda che il discernimento è il frutto di un dialogo, non sempre facile, tra la situazione particolare della persona e le norme generali: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano […] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma».

[7] C. Bernard, Pour mieux donner les exercíces spirituels, CIS, Roma 1980, p. 102.

[8] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., nn. 1-20.

[9] Ibidem, n. 22.

[10] Ibidem, nn. 230-231.

[11] Ibidem, n. 1.

[12] Ibidem, n. 21.

[13] Chiara Lubich, Penseri: Dammi di amarti, in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 110.

[14] Per approfondire questo punto si veda la bibliografia consigliata.

[15] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., n. 2.

[16] Ibidem, n. 15.

[17] Ibidem, n. 17.

[18] Ibidem, n. 18.

[19] La prima citazione è di San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 65, art. 3, ad 2: “propter aliquas dispositiones contrarias”. La seconda da: Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), 20: AAS 92 (2000), 481.

[20] Ignazio di Loyola, Autobiografia, in Gli scritti, op. cit., n. 5.

[21] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., n. 16.

[22] Ibidem, n. 332.

[23] Ibidem, n. 139.

[24] Ibidem, n. 142.

[25] Ibidem, n. 146.

[26] Ibidem, n. 155.

[27] Ibidem, n. 167.

[28] Ibidem, n. 169.

[29] Ibidem, n. 170.

[30] Ibidem, nn. 175-188.

[31] Ibidem, n. 175.

[32] Ibidem, n. 176.

[33] Ibidem, n. 316.

[34] Ibidem, n. 317.

[35] Ibidem, n. 177.

[36] Per l’approfondimento si veda la bibliografia consigliata.

[37] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., n. 104 (misteri della vita apostolica).

[38] Ibidem, n. 203 (misteri della passione e morte).

[39] Ibidem, n. 221 (misteri della risurrezione).

[40] Ignazio di Loyola, Autobiografia, in Gli scritti, op. cit., nn. 30-31.

[41] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, in Gli scritti, op. cit., nn. 102-104.

[42] Ibidem, nn. 106-109.

[43] Ibidem, n. 118.

[44] Ibidem, nn. 121-126.

[45] Ignazio di Loyola, Autobiografia, in Gli scritti, op. cit., n. 99.

[46] Cf. Ignazio di Loyola, Costituzioni della Compagnia di Gesù, in Gli scritti, op. cit., n. 288.

[47] Chiara Lubich, Pensieri: il Maestro interiore, in La dottrina spirituale, op. cit., p. 221.

[48] Ignazio di Loyola, Lettera a sr. Teresa Rejadell (18.06.1536), in Gli scritti, op. cit., p. 941.

[49] C. Lubich, Se il tuo occhio è semplice, in La dottrina spirituale, Città Nuova Editrice, Roma 2006, pp. 134-135.